MATERIE PRIME

Quello che il nichel e il Canada insegnano sulla sostenibilità

Perché di botto BASF, General Motors, POSCO, Northvolt si mettono in fila per lavorare in Quebec o a Terranova? La risposta breve: lì abbondano energia rinnovabile e materie prime

Arrivare a produrre automobili con autentico impatto zero sulle emissioni, senza ricorrere all’espediente delle compensazioni, è un progetto di lungo periodo e ambizioso, ma che ha già trovato aziende come Polestar disposte ad affrontare questa sfida, con obiettivo il 2030 per quel Progetto 0 degli svedesi a cui hanno già aderito firmando lettere di intenti i primi partner come SSAB, Hydro, ZF Friedriechshafen, ZKW e Autoliv.

Tuttavia quel progetto che punta alla perfezione non significa che non siano stati già avviati progetti meno ambiziosi, ma altrettanto importanti e che rappresentano tappe intermedie di un percorso virtuoso. Nel trasformare la manifattura in modo autenticamente ed efficacemente sostenibile, quello che non è ancora perfetto non dovrebbe essere considerato un fallimento o un ripiego, ma un gradino che avvicina alla vetta.

Lezioni e segnali in questo senso arrivano con sempre maggiore frequenza in queste ultime settimane, e vale la pena di ritornarci e considerarle l’una accanto all’altra, perché rappresentano elementi di una tendenza che può influenzare positivamente il modo di lavorare dei grandi gruppi della manifattura globale.

In comune hanno l’attenzione per le aziende e le aree che sono in grado di offrire immediatamente un contributo fondamentale alla catena della fornitura, grazie all’energia proveniente da fonti rinnovabili. In Europa lo abbiamo visto col crescere delle attività di aziende delle batterie che hanno deciso di insediarsi in Scandinavia, in particolare in Svezia e Norvegia.

La loro grande disponibilità di idroelettrico per alimentare la manifattura delle celle è essenziale: come ben noto la fase in cui il confronto di emissioni nel ciclo di vita completo di un’auto elettrica rispetto ad una convenzionale ha terreno da recuperare è quella a chilometri zero, a causa della manifattura energivora delle batterie nelle sue varie fasi.

Gli studi ormai sempre più consolidati del fattore LCA (life-cycle assessment) stanno orientando sempre più produttori di batterie (e i gruppi auto che di quelle celle si serviranno) a privilegiare i produttori di celle che riducono radicalmente il problema della manifattura utilizzando energia rinnovabile, riducendo l’incidenza della CO2 nel produrre una cella rispetto a una fabbrica che sia alimentata da combustibili fossili.

Per contribuire alla lotta alla crisi climatica, la supply chain si sta riorganizzando anche al di fuori di un’area tradizionalmente attenta all’impatto ambientale come l’Europa, e va ormai a ritroso a monte nella catena. Non è infatti un fattore nelle emissioni di gas clima-alteranti solo la produzione della cella vera e propria, ma lo sono anche la realizzazione dei materiali catodici attivi (o degli anodi) e ancora prima l’industria estrattiva. L’aspetto interessante è che cresce il numero di società che sta prendendo di petto anche questi mattoni dell’edificio complessivo.

E qui passiamo dai progetti ai veri e propri contratti. Nel corso di questo marzo ormai agli sgoccioli infatti, dapprima la tedesca BASF, e pochi giorni dopo il consorzio della coreana POSCO Chemical e del gruppo americano General Motors, hanno deciso di insediarsi in Canada, per la precisione in Quebec a Bécancour, lungo le rive del fiume San Lorenzo, per creare le rispettive fabbriche di materiali catodici attivi.

Sia BASF, di cui si vede l’area selezionata nella foto di apertura, sia la joint venture tra GM e POSCO, hanno gli stessi buoni motivi per andare ad installarsi in Canada, come hanno confermato i vertici coreani: “Bécancour ha dei vantaggi nella catena della fornitura dei materiali grezzi e strutture logistiche vicine alle miniere, energia rinnovabile con abbondanza di idroelettrico”.

Quello che ormai vale per chi come BASF, POSCO e GM intende produrre in Canada precursori indispensabili alle celle (i materiali catodici come NMC o NCA, sigle che corrispondono a nichel-manganese-cobalto o nichel-cobalto-alluminio), si può applicare anche alla stessa produzione di materie prime. La ricerca di tagli alle emissioni e di valori più favorevoli da far valere in una valutazione del ciclo di vita completo, sta spingendo anche a rivedere le scelte per quanto riguarda i minerali grezzi.

Uno dei componenti più importanti per chi oggi produce celle agli ioni di litio ad alta densità di energia è come noto il nichel. E anche i grandi gruppi estrattivi si stanno adeguando alla crescente e sempre più esigente richiesta dei produttori. Di alcuni per lo meno.

È il caso di Northvolt, che non contenta di produrre in Svezia e in futuro nello Schleswig-Holstein, nel primo caso alimentata dall’idroelettrico nel Nord della Germania dall’eolico, punta a tagliare il costo di emissioni anche nelle singole materie prime.

Così non stupisce che Vale Canada in questi giorni abbia confermato un contratto pluriennale con Northvolt per la fornitura di prodotti a basso tenore di carbonio in nichel. Vale è il più grande produttore mondiale di nichel, e quindi non è così sorprendente che gli svedesi si siano rivolti a loro.

Ma è fondamentale l’aspetto dell’origine della materia prima: l’imperativo di Northvolt di ridurre al minimo le emissioni di carbonio e altri impatti ambientali nella catena del valore delle batterie sarebbe infatti stato meno adeguato se avesse firmato un contratto per nichel proveniente, ad esempio, dall’Indonesia.

Nel paese asiatico sono attivi siti estrattivi delle cinesi Tsingshan e Hoayou Cobalt che utilizzano processi più impattanti per produrre minerale di Classe 1 alla massima purezza richiesta per le celle delle auto elettriche. Altri siti asiatici, ad esempio nelle Filippine, utilizzano metodi industriali HPAL che sono quasi altrettanto problematici per la necessità di energia ed emissioni richieste per arrivare al prodotto finale.

Invece Vale nella raffineria di Long Harbour a Terranova, quindi sempre in quel Canada nel quale l’energia rinnovabile è facilmente disponibile anche per l’industria più energivora, ha un’impronta di carbonio verificata di 4,4 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di nichel: circa un terzo della media del Nickel Institute per il minerale di Classe 1.

Il colosso estrattivo brasiliano con la sua divisione locale si è impegnata a investire tra i $4 e i $6 miliardi per ridurre le emissioni assolute di carbonio del 33% entro il 2030, come parte degli sforzi per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050. Vale ridurrà anche il 15% delle emissioni della sua catena del valore entro il 2035. Tra le altre opzioni, Vale sta considerando a sua volta di insediarsi in Quebec per costruire in quella provincia del Canada un impianto di produzione di solfato di nichel.

Questi esempi aiutano a prendere nota delle opportunità di miglioramento delle catene della fornitura che esistono ad ogni livello. Le opportunità di fare molto bene, o benissimo, peraltro si scontrano con le necessità di far quadrare i conti. L’elevata sostenibilità richiederà tempo, forse molto tempo per diventare la norma piuttosto che una curiosità. Prendendo il caso di Northvolt, così apprezzabile, va peraltro evidenziato che alcune scelte sono facilitate dall’impostazione aziendale che sta puntando ai prodotti di elevata qualità e alte prestazioni.

Non è un caso che annunciando la scelta di Sagunto in Spagna per la seconda Gigafactory di batterie, il gruppo Volkswagen abbia precisato anche che la fornitura di Northvolt Ett sarà di celle per modelli ad alte prestazioni: come dire veicoli di fascia alta, oppure per i marchi Audi, Volkswagen o Cupra. Ben difficilmente vedremo celle Northvolt sulla futura citycar ID Life, anticipata con un cartellino del prezzo accessibile.

Ma questo vorrà anche dire che i migliori valori sulle emissioni tenderanno a contraddistinguere i modelli premium. Restando nell’ambito delle scelte recenti del gruppo Volkswagen, di recente si è notato l’ accordo per il mercato cinese proprio con quelle Tsingshan e Hoayou Cobalt che in Indonesia producono nichel con emissioni molto meno favorevoli di quelle del nichel che Northvolt si sta assicurando in Canada. In questa fase la sostenibilità ha un costo, e il livello ideale della catena della fornitura non è ancora a portata di mano.

Credito foto di apertura: ufficio stampa BASF