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Perché questa potrebbe non essere l’ultima Golf elettrica nata a Wolfsburg

Dopo il taglio netto sulla guida autonoma, ora a non convincere l’amministratore delegato Blume sarebbe il progettoTrinity, nel migliore dei casi rinviato agli Anni ’30

Per Volkswagen i ritardi nello sviluppo del software e della piattaforma di guida ad elevata autonomia potrebbero trasformarsi in fattori di un inatteso e clamoroso rilancio della Golf come modello vivo ed essenziale nella gamma anche alla fine del decennio.

Fonti interne al gruppo tedesco hanno infatti confidato al quotidiano finanziario Handelsblatt che proprio l’inossidabile hatchback (o in alternativa il crossover Tiguan) potrebbero essere chiamati a contribuire significativamente a tenere alta la domanda per la gamma elettrica fino al 2030.

La marca tedesca ha venduto 132.989 Golf in Europa nei primi nove mesi del 2022, in calo rispetto alle 177.963 dello stesso periodo dell’anno precedente, secondo i dati della società di consulenza Dataforce. Le vendite di Tiguan sono state 102.272, in calo da 140.052.

Il risveglio dell’interesse a Wolfsburg per Golf, la cui versione al 100% elettrica è stata archiviata dopo il lancio della famiglia ID a fine 2020 (nei giorni scorsi ha superato il mezzo milione di esemplari prodotti), sarebbe una diretta conseguenza dei ritardi che software e guida autonoma comporteranno per il progetto Trinity.

Un progetto per il quale Volkswagen, sotto il precedente amministratore delegato Herbert Diess, aveva previsto un inizio nel 2023 e il lancio a cavallo decennio, con un sostanziale ampliamento della sede di Wolfsburg per ospitare le nuove linee, mentre la nuova Golf elettrica utilizzerebbe invece una piattaforma elettrica MEB aggiornata.

L’aggiornamento e l’ampliamento di questo pianale che oggi supporta ID3, ID4 e ID Buzz (oltre a ID6 in Cina) era già peraltro previsto con il varo del progetto di una piccola MEB riservato alla produzione di modelli a prezzi contenuti ed affidato a SEAT, che per questo ha ottenuto anche il supporto di incentivi pubblici spagnoli ed europei.

Il ricorso alla piattaformia MEB in una ulteriore variante consentirebbe a Volkswagen di costruire Golf o Tiguan elettrica nella fabbrica di Wolfsburg con un assetto delle linee non troppo diverso da quello cui la casa automobilistica fa ricorso per costruire oggi varianti con alimentazione convenzionale. Questo garantirebbe che l’impianto e il suo organico possano continuare a essere utilizzati con un salutare grado di utilizzo.

Inoltre il nuovo BEV potrebbe mantenere la data di uscita fissata per l’esordio di Trinity, il 2026, con una offerta meno drasticamente innovativa rispetto all’ambizioso progetto di Diess (che prevedeva anche varianti con guida autonoma di Livello SAE 4, dove il guidatore diventa in sostanza un passeggero), ma comunque in grado di occupare una quota rilevante di una domanda di mezzi a zero emissioni locali che si prevede in costante crescita.

Il CEO di Volkswagen e Porsche Oliver Blume dimostra quindi di continuare col suo attento esame del business plan e dei suoi costi, senza farsi dettare i tempi dalle scadenze dei progetti. Un piano che oggi prevederebbe per Trinity un nuovo impianto da €2 miliardi: nel marzo scorso, il Consiglio di Sorveglianza aveva deciso dovesse sorgere nel confinante distretto di Warmenau.

Qui si sarebbero in futuro costruiti modelli in grado di ospitare la nuova piattaforma elettrica SSP destinata a supportare fino a 40 milioni di veicoli prodotti; una piattaforma che rispetto alla MEB vedrà i veicoli sempre più guidati dal software sviluppato interamente dalla travagliata divisione Cariad.

Volkswagen all’inizio di questo mese aveva in programma l’approvazione di un periodico round di pianificazione, una tappa rinviata citando le “mutevoli realtà economiche”. Di fatto Blume prevede di rimandare il progetto Trinity alla fine del decennio, perché il nuovo software non sarà pronto in tempo.

Giovedì in una lettera inviata ai dipendenti e vista da alcuni organi di stampa tedeschi e internazionali, Blume e il CEO della marca Thomas Schäfer hanno indicato che il progetto più importante dei prossimi anni sarà ancora una volta valutato: “attualmente stiamo cogliendo l’occasione per esaminare tutti i progetti e gli investimenti e verificarne la fattibilità”.

Se la grande mole dei veicoli sulla piattaforma elettrica SSP scivola agli Anni ’30, si aprirà anche l’interrogativo se la fabbrica prevista a Warmenau sarà mai costruita oppure se a fine decennio, dopo aver rilanciato Golf, non sarà forse la “vecchia” Wolfsburg destinata a ristrutturazione, che comunque sarà costosa e complessa.

Quello che appare del tutto certo è che quel capex il gruppo non lo spenderà subito. Il che consentirà a Blume e ai suoi manager di decidere con molta più calma e con un assillo assai inferiore di scadenze alle porte le allocazioni di risorse.

Risorse che peraltro non dovrebbero scarseggiare, dopo che un taglio sostanziale alla joint venture con Ford per controllare la società della guida autonoma Argo AI è già stato dato e che di recente appare prendere più consistenza l’intenzione di procedere ad un IPO per la nuova società specializzata nelle batterie PowerCo., coinvolgendo investitori e partner esterni.

Le Gigafactory collegate all’azienda insediata a Salzgitter in questo momento appaiono infatti più urgenti e dirimenti del potenziale di una futuristica gamma come quella che avrebbero dovuto nascere a Warmenau, (troppo dipendente da quello che attualmente non è un punto forte dei tedeschi) mentre nelle celle e nelle batterie gli esperti ed ingegneri Volkswagen sembrano rapidamente acquisire know-how e reputazione.

Nel campo del software invece, le divisioni premium Audi e Porsche ancora prima dell’IPO della casa di Stoccarda avevano deciso di non poter aspettare per i loro futuri modelli il completamento della versione 2.0 del nuovo software. Si “accontenteranno” della versione 1.2, la cui attesa e messa a punto ha peraltro già portato allo slittamento di qualche lancio, il più noto dei quali riguarda la versione elettrica della Porsche Macan.

Ma sarebbe sbagliato ritenere che il software sia diventato un settore meno attrattivo di risorse ed interesse da parte di Blume & C. O vorrebbe dire non essersi accorti che lo scorso 13 ottobre il gruppo ha firmato un accordo coi cinesi di Horizon Robotics per creare una nuova joint venture che richiederà fondi per €2,4 miliardi con l’obiettivo di ottenere risultati sostanziali nella guida autonoma.

Col mercato cinese che conta per il 40% delle vendite e metà dei profitti, è stato sfondare una porta aperta, anche in considerazione della maggiore predisposizione dei regolatori e della clientela del primo mercato al mondo a vedere con favore l’assistenza alla guida o addirittura a lasciar prendere il controllo del veicolo a chip e software dove possibile.

Questo sfondo incentrato sulla Cina pertanto dovrebbe di qui a fine decennio consentire a Volkswagen di arrivare a quegli stessi traguardi di sistemi di guida autonoma che avevano invece conosciuto delle battute d’arresto in Occidente quando messi in mano alla sfortunata Argo AI e ad un progetto Trinity che, visto oggi, appare avere molto sottostimato la tempistica delle sue tappe.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Volkswagen Group Italia