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Cosa hanno in mente di fare Mobileye e Waymo nelle strade di Torino?

Se è prematuro scommettere su un boom della guida autonoma a Torino, non lo è chiedersi perché la città piemontese adesso interessa ai due partner FCA

A Torino la presentazione del piano industriale di Sergio Marchionne di venerdì scorso era attesissima, per ovvie ragioni. L’importanza della giornata di Balocco per il futuro del gruppo FCA sembra aver fatto peraltro ombra ad altri sviluppi che in questi stessi giorni hanno al centro la città in cui il ramo italiano dell’azienda è nato.

E riguardano due protagoniste di primo piano dell’innovazione nell’automobile come Mobileye e Waymo. Mentre Marchionne e i suoi manager spiegavano i loro piani, il sindaco Chiara Appendino, si entusiasmava per l’eventualità che Mobileye faccia di Torino un pilastro dei suoi piani di sviluppo, come ha riassunto in questo tweet.

Le possibilità di uno sbarco a Torino di Mobileye (un vero caso-scuola di startup di successo a livello globale) e di Waymo, sono attribuibili ad un clima locale favorevole. La città piemontese ha firmato da poco un protocollo con imprese e centri universitari locali per aprire le braccia a chi intenderà sceglierla per lavorare sulla guida automatica.

Una scelta di campo a cui si aggiunge e contribuisce la recente pubblicazione del decreto Smart Road che ha definito, anche se non sempre chiarito, le modalità di autorizzazione dei test di guida automatica su strade aperte al pubblico.

L’interesse di Mobileye su Torino si può considerare un effetto di questo clima e dell’apparente entusiasmo attuale di FCA per l’innovazione?  Sia il sindaco Appendino che il quotidiano La Stampa hanno scritto che i test Mobileye riguarderebbero veicoli a guida autonoma di livello 3 SAE (ovvero la controversa guida autonoma condizionale).

A uno sguardo frettoloso questa road map pare coincidere con quella indicata in alcune slide presentate a Balocco da FCA per alcuni modelli dei propri marchi. Ma a leggere con attenzione i piani, non è proprio questo il caso.

Perché in effetti a Balocco FCA ha confermato che sta lavorando con BMW (e insieme ai tedeschi è partner di una piattaforma sulla guida automatica di cui fanno parte proprio Intel/Mobileye).

Si tratta però di un progetto rivolto all’impiego di sistemi di guida automatica per uso autostradale. Un software cui si fa ricorso solo su strade ben divise e con segnaletica orizzontale di solito efficiente è qualcosa che è più semplice da realizzare rispetto a un sistema in grado di muoversi nel traffico urbano.

A cosa potrebbe voler lavorare allora a Torino lo staff di Mobileye? Con buona approssimazione potrebbe essere una evoluzione di quello che è stato annunciato poche settimane fa con l’inizio dei test di un centinaio di auto nel traffico di Gerusalemme, dove la startup ha sede.

I sensori ed anzitutto le camere (ce ne sono almeno dodici su ogni veicolo) dell’azienda diretta dal professor Amnon Shashua puntano a dare un taglio al cosiddetto MTBF, acronimo di mean time between failure, il tempo che passa tra un errore e l’altro.

I sistemi di guida automatica basati sui sensori, mappe e chip sono sistemi probabilistici. L’obiettivo è arrivare ad un miliardo di ore tra gli errori, il che renderebbe il controllo di un’auto affidato al computer statisticamente mille volte più affidabile di quello affidato ad un essere umano.

Per arrivare a quel livello va realizzata una true redundancy, una autentica ridondanza dei sensori che registrano gli eventi e dei sistemi che li gestiscono. A Torino, una flotta come quella dell’utility Iren che La Stampa ha indicato come possibile partner di Mobileye, una volta dotata dei sensori appropriati e dei chip giusti potrebbe raccogliere una mole determinante di dati per identificare casi limite da gestire che nella programmazione e nella simulazione non sono stati previsti.

Cosa hanno in mente Mobileye e Waymo per le strade di Torino?

I sistemi di guida automatica, è la filosofia di Mobileye illustrata a più riprese anche con slide come quella tratta da una presentazione del suo fondatore, sono una ricetta fatta di sensing (sensori e chip), mapping (mappature di grande precisione) e driving policy (grosso modo: regole di comportamento).

I sensori ed i chip possono essere migliorati senza differenziazioni tra un’area, una regione e l’altra. Non così, per definizione, le mappe. E lo stesso vale per le regole di comportamento nel traffico, poiché oltre a quelle esplicite esistono quelle non scritte.

Per arrivare in orario al traguardo del 2021 in cui Mobileye si è impegnata a fornire sensori, i prossimi chip EyeQ5 e sistemi sufficienti ad equipaggiare otto milioni di auto ad un gruppo auto europeo ancora ignoto, è essenziale l’esperienza fatta in ogni genere di scenario, e i tessuti urbani di città diverse come Gerusalemme e Torino (e molte altre) sono il banco di prova.

A chi legge forse sarà sorto un dubbio: i test su strade aperte al pubblico non stanno forse usando il traffico e chi c’è dentro come cavie? Anzitutto, se l’idea a Torino fosse solo di raccogliere dati in quantità sul traffico, da riversare magari poi su simulatori, il rischio non ci sarebbe affatto.

Quello che avverrebbe sarebbe la creazione di un altro imponente database di situazioni proposte dal traffico di una grande città italiana.

Qualora invece Mobileye avesse in programma di testare anche le risposte dei suoi sistemi agli ostacoli e difficoltà costituite dal traffico torinese la cosa assumerebbe un aspetto diverso. In questo caso la risposta risiede nella natura degli attuali sistemi basati sul deep learning: quell’apprendimento automatico che le aziende come Mobileye e Waymo da anni sviluppano.

L’apprendimento automatico (e le reti neurali che girano sui chip della guida automatica ne rappresentano una delle tecniche più efficaci) è un metodo di programmazione basato su esempi. In un certo senso quindi proprio le aree dove i sistemi accumulano più esperienza possono essere considerate quelle meno a rischio di errori.

Possono ancora presentarsi, non si può nascondere, situazioni critiche a cui un veicolo a guida automatica di Livello 3 SAE come quelli che Mobileye potrebbe testare, non è in grado di assicurare una risposta. In questi casi a bordo dovrà intervenire il supervisore.

Un caso di questo genere si è verificato in modo abbastanza clamoroso di recente proprio a Gerusalemme. Un veicolo di Mobileye impegnato nelle riprese di un filmato ha passato un semaforo col rosso: il segnale della telecamera della troupe ha interferito con i chip di bordo.

La realtà, come si vede, sa presentare problemi ed ostacoli più impensati della fantasia di qualsiasi programmatore. Anche per questo Torino potrebbe essere considerato un banco di prova da Waymo. Forse quello che il traffico urbano di Gerusalemme rappresenta per Mobileye.

E’ quello che viene da pensare dopo aver visto un altro tweet rivelatore, questa volta pubblicato dal numero uno della società californiana John Krafcik.

L’ex-manager Hyundai ora alla testa dell’azienda nata dalla tecnologia della Google-car, punta a non perdere il primato nella guida pienamente autonoma che ha consentito a Waymo, unica al mondo, di essere la prima a mettere in strada in America robo-taxi privi di autista, il cosiddetto Livello SAE 4.

Tagliato un simile traguardo in strade e clima ideali, Waymo sta puntando, in Michigan, a far convivere sensori, chip e software con le sfide rappresentate dal maltempo (in Arizona, dove i taxi ora già marciano senza autisti, c’è invece il record di ore di sole).

All’azienda che è leader nei veicoli di Livello 4 SAE, quelli che non hanno alcun bisogno di controllo umano, potrebbe ora interessare lo sviluppo dei propri sistemi in ambienti di traffico completamente diversi da quelli in cui già eccelle.

Come ha scritto nel tweet Krafcik, alle Chrysler Pacifica ibride e soprattutto alla batteria di sensori e chip che su quelle sono installati, potrebbe infatti essere di grande aiuto imparare l’italiano.

Nel solo 2017 in America le auto di Waymo hanno accumulato dal vero dati su strada per due milioni di miglia. Camere e sensori sono stati in grado di raccogliere nuovi esempi che poi possono essere “addomesticati” anche, e di fatto soprattutto lo sono, con le simulazioni.

In Italia, vista la legislazione recente sui test per veicoli a guida automatica, Waymo non potrebbe come in America addirittura mandare in strada i suoi robo-taxi seguiti solo da un supervisore in remoto, come fossero droni con le ruote.

Ma quello che serve per rendere la guida automatica sempre più efficiente, quello che occorre per creare come promette Waymo il miglior guidatore al mondo (anche se virtuale e non in carne ed ossa) sono anche database sempre nuovi e diversi.

Mentre dalle calde California ed Arizona al freddo Michigan si adattano sensori e sistemi a climi diversi, ora a Waymo può servire aprire nuovi database. Database in cui, per cominciare, automobilisti, ciclisti e pedoni avranno approcci al traffico molto diversi da quelli californiani. Waymo, come Mobileye, ha bisogno di posti in cui imparare.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Intel Corporation