INFRASTRUTTURA

Buio sulle colonnine di Tritium, avviata all’insolvenza

Il produttore australiano di postazioni di ricarica HPC è in mano agli amministratori fallimentari, che adesso cercano nuovi finanziatori o acquirenti per l’azienda quotata a Wall Street

La società produttrice di colonnine ad alta potenza per la ricarica dei veicoli elettrici ha ammesso in un testo depositato presso la Securities and Exchange Commission che Tritium DCFC e tre delle sue filiali australiane “sono o potrebbero diventare insolventi”.

Sebbene Tritium sia stata fondata in Australia e abbia ancora la sua sede lì, da inizio 2022 è quotata al Nasdaq negli Stati Uniti tramite una fusione inversa con una società veicolo, il che spiega la comunicazione obbligatoria al riguardo all’autorità di borsa SEC americana.

Dopo che gli stessi amministratori hanno dichiarato il probabile fallimento, la società ha nominato amministratori tre manager della società di consulenza aziendale KPMG. Inoltre, gli stessi finanziatori di Tritium hanno nominato curatore fallimentare lo studio legale McGrathNicol Restructuring. Insieme stanno prendendo il controllo delle attività e sono alla ricerca di acquirenti.

“Il nostro obiettivo immediato è stabilizzare le operazioni e lavorare a stretto contatto con i dipendenti, i clienti e i fornitori di Tritium mentre cerchiamo di ottenere il miglior risultato possibile per tutte le parti”, ha dichiarato in una nota il partner di McGrathNicol Restructuring Shaun Fraser, citato dal portale australiano The Driven.

E il manager di KPMG Peter Gothard ha affermato che gli amministratori lavoreranno coi curatori della fase di insolvenza “per proteggere le risorse e stabilizzare le operazioni di Tritium per massimizzare il risultato per tutte le parti interessate”.

Nel corso degli Anni ’10 la società era apparsa una delle più promettenti nel settore della ricarica ultra-veloce e per un periodo aveva svettato per primato tecnologico, appoggiandosi anche a molta tecnologia della francese Schneider Electric. Ma già lo scorso anno quando lo spettro dell’insolvenza era lontano la situazione finanziaria di Tritium appariva complicata.

A novembre è stato deciso che l’azienda avrebbe chiuso la sua fabbrica australiana a Brisbane per produrre in futuro esclusivamente negli Stati Uniti: apparentemente la fabbrica australiana non era redditizia e il governo locale non voleva sostenerla ulteriormente.

In precedenza la Tritium aveva fallito nel suo piano di ricevere un investimento di 54 milioni di euro per l’impianto, e di conseguenza lo stabilimento è stato chiuso a favore della fabbrica americana aperta nel Tennessee, per la quale aveva l’ambizione di costruire a regime 10.000 colonnine HPC l’anno. L’amministratore delegato Jane Hunter all’epoca disse che “la ristrutturazione strategica della nostra attività era necessaria per aumentare sia la redditività che il valore per gli azionisti”.

La parabola di Tritium comporta che se la società era stata fugacemente valutata quasi $2 miliardi al momento dell’ingresso a Wall Street, da allora il prezzo delle azioni è crollato a tal punto che l’azienda faticava a soddisfare le linee guida per mantenere la quotazione.

Prima dell’insolvenza Tritium valeva meno di $4 milioni e questo nonostante un portafoglio ordini che a suo tempo ha interessato aziende ben conosciute come BP, Shell e la rete europea ad alta potenza di Ionity, che però negli ultimi tempi le aveva preferito un’altra startup, l’altoatesina Alpitronic.

Ma anche dopo la chiusura dello stabilimento di Brisbane la situazione non si è stabilizzata o non si è stabilizzata abbastanza. Come ha affermato il curatore fallimentare Shaun Fraser, un processo di vendita delle attività e dei beni di Tritium era già in corso.

Non ha fornito dettagli, ma questo processo è stato probabilmente avviato dalla direzione di Tritium per coinvolgere i donatori. Fraser ora vuole basarsi su questo: “ci impegneremo nuovamente con urgenza con le parti interessate e col mercato per trovare una soluzione di capitale e/o proprietà a lungo termine per Tritium”.

Come scrive la testata australiana The Driven, entro il 26 aprile dovrebbe svolgersi un primo incontro dei creditori. Poi potrebbero esserci anche le prime informazioni su cosa accadrà ai posti di lavoro esistenti e su come sarà possibile garantire funzionamento e manutenzione delle postazioni di ricarica esistenti.

credito foto di apertura: ufficio stampa Ionity