OPINIONI

Perché gli scarti di una «Gigafactory» sono una “miniera” per un’altra

Chi ha in antipatia l’auto elettrica farà fatica a crederlo: le aziende in grado di riciclare con efficienza e sicurezza le batterie agli ioni di litio a breve e medio termine rischiano di avere troppo poco materiale…

In America le implicazioni dell’Inflation Reduction Act fatto approvare lo scorso agosto dall’amministrazione Biden stanno imprimendo un forte impulso a un’attività come quella dell’economia circolare applicata al riciclo delle batterie.

Pertanto sorprende molto poco che l’elenco di accordi tra gruppi industriali e startup di settore si allunghi: il più fresco di inchiostro delle firme è di questa settimana, tra General Motors e la canadese Lithion Recycling che punta ad aprire nel 2025 una Gigafactory in grado di elaborare materie prime da scarti e batterie usate con processi idro-metallurgici.

Si tratta di uno dei molti investimenti recenti che hanno visto oggetto dell’interesse dei partner aziende come Ascend Elements, startup che ha ricevuto oltre $300 milioni dalla coreana SK Ecoplant e da Jaguar Land Rover con una operazione che l’ha valutata oltre $500 milioni, per una azienda che oggi gestisce un impianto di riciclo delle batterie in Georgia e ne sta costruendo uno su larga scala nel Kentucky che costerà $1 miliardo.

Senza scomodare la leader di settore Redwood Materials guidata dall’ex-Chief Technology Officer Tesla JB Straubel, che è già valutata $4 miliardi e ha avuto la fila di investitori interessati alla porta, i casi di rapido successo si susseguono: Li-Cycle, già quotata in borsa, collabora col colosso coreano LG Energy Solutions ed è stata in grado di attirare un investimento di $200 milioni da Glencore, una società mineraria di livello mondiale e che sa quanto tempo richieda nel settore estrattivo passare dal progetto alla miniera, e quindi si apre una alternativa nel business del riciclo, dove un impianto si può mettere in moto più rapidamente rispetto a una miniera.

La cartina, aggiornata a maggio 2022, delinea i nomi dei maggiori protagonisti del settore del riciclo di batterie agli ioni di litio e dove sono insediati nei vari paesi europei (credito immagine e fonte dati: Institute Fraunhofer)

Questo, se è complicato in America, lo è molto di più in Europa. Così non sorprende che, guardando una cartina compilata dagli esperti dell’Istituto Fraunhofer ci si renda conto come nel Vecchio Continente siano già molto numerosi i poli per il riciclo di batterie di auto elettriche e dell’elettronica di consumo.

Lo scorso agosto uno dei colossi della produzione di materiali attivi per catodi, la tedesca BASF, ha aperto a Schwarzeide a sua volta una fabbrica-pilota per il riciclo. Lì, ha spiegato il direttore della divisione dedicata a riciclo e ai materiali per batterie Matthias Dohrn, nasce un impianto che insieme ai ricercatori con sede a Ludwigshafen provvederà a perfezionare la tecnologia idro-metallurgica che è destinata a un rapido passaggio a grandi dimensioni future per riciclare batterie e completare in modo totalmente circolare la catena del valore di settore.

Pertanto, viene da concludere che in Europa si possa fare già affidamento su punti di appoggio certi per riciclare le batterie dei veicoli elettrici usati, arrivati a fine vita. In altri termini non mancano risposte per chi, insofferente verso la mobilità elettrica, chiede “che fine faranno le batterie esauste” già convinto che andranno a finire nei fossi o in qualche campo di periferia.

E invece la realtà non è solo capovolta rispetto a quanto pensa questo genere di critici. Sia in Europa, sia in America, sorprendentemente questi impianti, che arrivano a riciclare il 95% o anche più di materie prime per reimmetterle in nuove celle, le batterie esauste delle auto elettriche le vedranno in misura molto minoritaria.

Ma non per il motivo che ritengono i nostalgici dell’auto termica. Questo perché di fatto le auto elettriche continuano a viaggiare e a viaggiare, al di là delle più fosche aspettative di chi ad esse e alle loro batterie tende ad addebitare assai poca affidabilità.

Il perché lo spiega uno dei maggiori esperti globali di riciclo delle batterie, Hans-Eric Melin: “la ragione per cui le batterie dei veicoli elettrici durano per anni è che le auto hanno scopi differenti in fasi diverse della loro vita. Più un’auto invecchia è meno sono le percorrenze che si aggiungono al suo chilometraggio. Questo ha un forte impatto sui volumi di batterie End-of-Life in Europa e in America”.

Come saranno alimentati quindi i poli del riciclo?

Gli scarti delle sempre più numerose Gigafactory a breve e medio termine saranno la fonte primaria di materiale riciclabile per batterie per il prossimo decennio, secondo il Recycling Report pubblicato da Benchmark Mineral Intelligence e compilato dall’analista Sarah Colbourn.

Benchmark prevede che questi scarti rappresenteranno il 78% del pool di materiali riciclabili nel 2025. Le batterie a fine vita (EOL) non dovrebbero diventare una delle principali fonti di materiale fino al 2030, poiché i veicoli elettrici venduti ora non saranno rottamati per altri dieci anni circa, secondo la società di consulenza inglese.

Nel grafico tratto dal Recycling Report di Benchmark Mineral Intelligence le barre in giallo indicano la percentuale di materiale proveniente da batterie esauste di auto elettriche, in blu il materiale proveniente dagli scarti di produzione delle Gigafactory globali (credito grafico e fonte dati: Benchmark Mineral Intelligence)

Questo appare convergere con quanto emerso in vari interventi di JB Straubel durante conferenze e webinar nei mesi scorsi: Redwood stessa oggi lavora in prevalenza su scarti di produzione delle celle oppure su batterie provenienti dall’elettronica di consumo.

Sebbene la quota più rilevante degli scarti si verifichi nelle fasi preliminari della produzione delle celle, perdite hanno luogo anche nelle fasi finali, sotto forma di celle già completate che non passano controlli di qualità i cui standard col tempo tendono a diventare più rigidi (dopo le sorprese negative che hanno costretto produttori ad alcuni clamorosi maxi-richiami).

Di che entità sono questi scarti provenienti dalle linee delle Gigafactory? Quest’anno Benchmark prevede che oltre 30 GWh di materiale proveniente dai processi saranno disponibili per il riciclo, crescendo di dieci volte nel prossimo decennio.

Melin da parte sua sottolinea che la carenza di alcune materie prime, e soprattutto i livelli dei prezzi per alcune (come continua ad avvenire per il litio ed è stato a lungo critico nel caso del nichel) hanno reso una assoluta priorità per produttori di celle asiatici ed occidentali il ridurre gli scarti.

“A lungo termine, i tassi di perdita si stabilizzeranno, ma ci saranno sempre perdite”, prevede tuttavia Colbourn. Secondo i dati in possesso di Melin, la percentuale di scarto d’una fabbrica efficiente (oggi quelle asiatiche sono più efficienti che in Occidente) dovrebbe attestarsi sotto al 10% dei volumi di produzione.

Nonostante questa disponibilità, l’esperto in più occasioni ha sottolineato come sia necessario smettere di trattare il riciclo come la soluzione alle carenze dei materiali critici per le batterie, intendendolo cioè come alternativa integrale all’attività estrattiva.

A medio termine perché la vita delle auto elettriche sarà giunta a completamento c’è l’eventualità che quelle celle siano avviate a impieghi second-life negli impianti di accumulo. Inoltre a breve termine ci sono poche possibilità anche di accedere all’alternativa delle auto elettriche usate.

Questo perché tutto il settore dell’auto pre-owned è oggi a livelli di prezzi record per i problemi alle catene della fornitura che le hanno rese sempre più appetibili. Questo fenomeno si è allargato a macchia d’olio anche ai modelli al 100% elettrici.

Hans-Eric Melin con la sua società Circular Energy Storage ha indicato per Europa, in alto, e Nord America la capacità potenziale di tonnellate di materiale da trattare (in verde) e il materiale da riciclare effettivamente disponibile (color turchese). (credito grafico e fonte dati: Circular Energy Storage)

Al riguardo la scorsa estate Melin ha scritto un post intitolato significativamente “Many monks, little porridge – How battery recycling in Europe and North America will suffer from over capacity and material shortage”. Come lascia intuire il titolo, da un lato dell’equazione c’è la (sovra)capacità e dall’altra il volume di materiale riciclabile.

Circular Energy Storage, la società di Melin, prevede per il 2030 1,7 milioni di tonnellate di materiali di batterie da riciclare: sebbene questo rappresenti il 259% in più del 2021, e di questo il 60% riguardi la Cina la raffica di progetti già avviati o pianificati porterà a una sovracapacità di impianti privi di materiale da trattare a sufficienza.

Questo avrà effetti sulle prospettive di redditività degli investimenti nel settore, con una probabile spinta al consolidamento delle aziende che operano nel riciclo, e probabilmente anche con una più ampia serie di accordi tra produttori di batterie e case auto destinata a dipanarsi in futuro, intrecciandosi con le alleanze globali e regionali. Abbiamo già visto anche in Europa numerosi esempi, messi in campo da gruppi che vanno da Renault a Volkswagen.

Se la crescita del riciclo appare quindi esposta al rischio di un eccesso di offerta, quello che i tassi di crescita dell’auto elettrica lasciano pensare è che non c’è alcun rischio di assistere a un effetto economico di distruzione della domanda di materiali per le celle agli ioni di litio.

Perciò in attesa di un maggiore equilibrio, le prospettive sulle attività di riciclo collegate al settore delle batterie potrebbero avere come supporto in grado di tenerlo in linea di galleggiamento le misure che provengono dalle istituzioni, sui due lati dell’Atlantico.

Questa settimana a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite c’è stata una riunione periodica della Minerals Security Partnership (MSP), iniziativa multilaterale che coinvolge i principali paesi ricchi di minerali per discutere le priorità e sfide nelle catene di approvvigionamento essenziali alle batterie delle Gigafactory e agli altri settori della transizione verso l’energia pulita, ma anche per il loro riciclo, incluso quello degli scarti.

Come noto da tempo, l’Unione Europea sta prendendo in considerazione una legislazione che allarghi il ruolo del riciclo nella catena del valore di settore, essendo orientata a richiedere che le batterie vendute nell’UE contengano una percentuale minima di minerali critici riciclati entro il 2030. Vuole inoltre stabilire obiettivi per quanto efficienti dovrebbero essere i processi di riciclo all’interno della sua regione.

Il quotidiano finanziario Wall Street Journal, pur non essendo un conclamato supporter del green o dell’economia circolare, il 14 settembre evidenziava proprio l’espansione di questo business e degli investimenti correlati, dopo l’entrata in vigore dell’Inflation Reduction Act (IRA).

Poiché questa offre un trattamento preferenziale ai prodotti fabbricati negli Stati Uniti delineando una scaletta che porterà a una supply chain sempre più regionale, piuttosto che globale nei contenuti delle auto elettriche e dei materiali che le compongono, la rapidità con cui si possono avviare impianti di riciclo rispetto alle tradizionali miniere lascia credere che il settore non sia destinato a rivelarsi una moda passeggera.

Credito foto di apertura: sito web GE-News