Volkswagen è entrata nel fortino tedesco dell’intelligenza artificiale e…
Il 16 maggio il più grande produttore europeo di auto, il gruppo Volkswagen, ha annunciato di essere entrato a far parte del DFKI, il Centro Tedesco di Ricerca per l’Intelligenza Artificiale. Si tratta di un ente di ricerca no-profit rinomato a livello mondiale e al vertice per volume di finanziamenti (€42 milioni e mezzo nel 2015) e personale al lavoro, oltre 750 persone provenienti da sessanta paesi. Con la quota societaria acquisita, Volkswagen è entrata nel consiglio di sorveglianza del DFKI, che in Germania ha poteri di indirizzo e supervisione, rafforzando le proprie prospettive in tutti i settori in cui l’organismo tedesco con sede principale a Saarbrucken (che vedete nella foto di apertura) è attivo: apprendimento automatico, sistemi autonomi, robotica, analisi dei dati, realtà virtuale e sistemi aziendali intelligenti.
Guida autonoma e fabbrica digitale nel solco del progetto Industry 4.0 sembrano i più immediati obiettivi del gruppo con sede a Wolfsburg. Non lo ha certo nascosto il presidente del gruppo tedesco Matthias Müller: “L’intelligenza artificiale è una tecnologia chiave per la guida autonoma e perciò un investimento nel nostro futuro. Questa partecipazione ci consentirà di lavorare ancora più intensamente in questo campo. Vogliamo fare progressi nella ricerca sull’intelligenza artificiale, nell’industria automobilistica ma non solo. Ci aspettiamo che l’ingresso in DFKI dia un nuovo impulso per la digitalizzazione dei nostri stabilimenti e la progressiva automazione dei processi aziendali”.
Durante il simposio sulle tecnologie digitali organizzato la settimana scorsa a Wolfsburg, Nicholas Doll del quotidiano Die Welt ha dato un’occhiata ai programmi del gigante dell’automobile arrivando in questo articolo ad una conclusione: “Volkswagen non vuole più lasciare ad altri le aree Industry 4.0, digitalizzazione e rivoluzione della produzione industriale. Specialmente ai giganti americani dell’IT”. Che le cose debbano cambiare, dopo che altri sono stati battistrada nelle tecnologie EV e AV, ovvero Tesla Motors e Google, lo conferma il fatto stesso che oggi per la prima volta proprio con Matthias Müller sia arrivato al vertice del gruppo un uomo che proviene dal mondo dell’IT.
Invece di alzare bandiera bianca si vanno a cercare nuovi strumenti per affrontare le sfide del futuro prossimo e remoto. Ma è ancora in tempo? La settimana scorsa l’ufficio stampa della regione della Saarland, in cui DFKI ha alcuni dei siti più importanti, in un comunciato dava il benvenuto a Volkswagen titolando il comunicato: “Dopo Google, ora anche Volkswagen entra a far parte del Centro Tedesco di Ricerca per l’Intelligenza Artificiale”. Volkswagen insomma è entrata nel sancta sanctorum dell’intelligenza artificiale tedesca e ci ha trovato già Google. Che aveva acquisito una quota ed era entrata nel consiglio di sorveglianza a propria volta ad ottobre dell’anno scorso.
La corsa dei grandi gruppi mondiali ad assicurarsi la collaborazione dei maggiori centri di ricerca non è un Giro d’Italia on un Tour de France. Non ci sono maglie rosa o maglie gialle. Il DFKI però all’epoca ci ha tenuto a ricordare di essere l’unico centro di ricerca europeo in cui il gigante californiano abbia deciso di acquistare una quota. La collaborazione tra Google e DFKI, rispetto a quella con Volkswagen, può rivolgersi ad un numero maggiore di aree: in passato Google aveva già assegnato all’istituto vari contratti di ricerca e sviluppo. E lo stesso era avvenuto per quanto riguarda Volkswagen, che con DFKI ha già, ad esempio, iniziato a sviluppare una architettura software (ROCK) per aumentare l’interazione tra robot ed esseri umani.
Se c’è un dettaglio che colpisce della stretta collaborazione già all’opera tra Google e il DFKI è l’interscambio intenso dei rispettivi staff (il che non vuol dire che la stessa cosa non possa avvenire tra un grande gruppo automobilistico e un prestigioso centro di ricerca). Quando è stato stipulato l’accordo lo scorso autunno trenta ex-membri del DFKI erano in attività nei vari uffici tedeschi di Google. E questo, viene da credere, è incoraggiante, perché è una ulteriore conferma dell’importanza dei cluster, l’equivalente tecnologico dei distretti italiani. Un concetto che non si basa solo sulla presenza di aziende, di società più o meno ricche ed efficienti. Si basa molto anche sulle persone.
Se ne è resa conto molto bene di recente Toyota, come segnalava un recente articolo sulla edizione inglese della Nikkei Asia Review. Il Toyota Research Institute ha appena aperto due ambiziosi hub tecnologici vicino all’MIT in Massachussets ed all’università californiana di Stanford. Per quest’ultimo, che si occuperà di intelligenza artificiale e di guida autonoma, progettava di assumere 50 ricercatori il primo anno, ma è già a 60. Il motivo? Secondo la rivista giapponese è il direttore dell’istituto di ricerca avanzata della Toyota: Gill Pratt. Noto per la sua precedente attività nel DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), la sua leadership e la sua rete di contatti si è rivelata una calamita per moltissime menti brillanti che sono entrate nel giro o per progetti specifici o come consulenti o supervisori. Il marchio della società sul biglietto da visita conta, certo. Ma, per fortuna, ancora di più il nome.