OPINIONI

Washington “congela” i sussidi per le elettriche perché…

L’amministrazione Biden inserisce molti paletti ai fondi all’acquisto di auto e SUV elettrici: perché la Casa Bianca vuol spronare il settore a staccarsi quanto prima dalla Cina, anche a costo di ridurre la platea di chi vi accede

Con 220 voti favorevoli contro 207 contrari, ieri sera a Washington la Camera ha approvato un denso pacchetto legislativo di 700 pagine lanciato dall’attuale amministrazione democratica che prevede $370 miliardi di investimenti, soldi recuperati in gran parte da una nuova tassa sui controversi buyback di azioni a Wall Street e da una nuova minimum tax del 15% sulle corporation i cui profitti superano il miliardo di dollari, società che già beneficiavano di una flat tax in realtà spesso aggirata grazie a mille cavilli ed eccezioni.

A cosa serviranno questi investimenti? Un ruolo importante riguarda la lotta al cambiamento climatico, attraverso il sostegno alle energie rinnovabili, all’auto elettrica e alla sua filiera. Ma altrettanto importanti saranno misure che mirano ad abbassare il prezzo dei farmaci nonché, proprio in un’estate ricca di cronache preoccupanti, investimenti per rafforzare la resilienza delle foreste agli incendi che devastano l’Ovest americano e per proteggere le aree costiere dagli uragani.

Nell’Inflation Reduction Act si è cercato di puntare sulle carote, più che sui bastoni: parte dei fondi sarà così utilizzata per mettere in atto incentivi finanziari volti a far evolvere l’economia americana verso le fonti energetiche non fossili, piuttosto che introdurre nuove sanzioni e penali contro chi inquina, per consentire agli Stati Uniti di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 40% entro il 2030 rispetto ai valori dell’anno 2005.

Con la riforma, un americano riceverà fino a $7.500 di crediti d’imposta per l’acquisto di un’auto elettrica e $4.000 per un’auto usata. L’installazione di pannelli solari sul suo tetto sarà coperta al 30%. Sono previsti anche circa $60 miliardi per la costruzione di turbine eoliche, pannelli solari e veicoli elettrici negli Stati Uniti. La stessa somma è destinata a una serie di programmi per assistere le famiglie più modeste nella transizione energetica, in particolare ristrutturando le loro abitazioni.

Ma quello che potrebbe sembrare un programma win-win ha già creato rumore e soprattutto per quanto riguarda l’auto elettrica. A sollevare perplessità sono i dettagli della concessione dei nuovi sussidi: e non solo perché Washington ha rimesso in gioco anche le elettriche di Tesla e General Motors, che secondo la vecchia norma non avevano più diritto ai sussidi avendo già raggiunto il tetto massimo di 200.000 esemplari.

Ci saranno limiti al prezzo dei modelli che potranno accedere: fino a $55.000 per le auto e fino a $80.000 per SUV e pickup, così come $25.000 per i modelli usati. Inoltre un veicolo elettrico dovrà essere assemblato negli Stati Uniti. Non solo: almeno il 40% dei materiali delle sue batterie dovrà essere di origine nordamericana o di un paese che con Washington ha accordi di libero scambio.

E tra 2023 e 2024 scatteranno ulteriori restrizioni sulle batterie con percentuali di materie prime e componenti americani o di paesi amici in crescita del 10% ogni anno. In altri termini, dal 2024 tanti auguri a chi pensa di ricevere il sussidio all’acquisto se la batteria della sua auto non conterrà, ad esempio, litio cileno raffinato in una fabbrica canadese.

Si tratta, è del tutto evidente e da Washington anzi ci tengono a sottolinearlo, di misure che vogliono incoraggiare gruppi auto e delle batterie e tutta la loro filiera ad allontanarsi in gran fretta dalla dipendenza dalla Cina nel settore, per evitare il rischio di ripetere quanto si sta vedendo oggi in Europa con la eccessiva dipendenza dal gas russo.

Se pensate che non ci siano i caratteri dell’urgenza, forse vi farà cambiare idea il grafico che ha pubblicato recentemente il Financial Times, nel quale si notano molto bene le quote da leader che la Cina occupa in numerosi settori collegati alla manifattura delle batterie. La Casa Bianca intende usare ogni possibile sprone per mettere fretta all’industria e cambiare al più presto i colori del grafico aumentando la quota delle aziende americane.

In blu scuro la quota della Cina nell’attività estrattiva, nella raffinazione e trattamento delle materie prime, nella manifattura delle batterie (credito grafico: FInancial Times; fonte dati Agenzia Internazionale per l’Energia)

Anche sapendo i motivi che stanno dietro alla rigidità prevista nell’erogare sussidi, il nuovo sistema approvato da Washington ora sta rallentando le vendite di elettriche negli Stati Uniti, mentre clienti e venditori cercano di orientarsi nel nuovo spazio. Per alcuni mesi la legge sembra destinata a rivoluzionare i progetti di acquisto del pubblico: secondo i calcoli, il 70% dei 72 modelli in vendita negli Stati Uniti non soddisferebbe i requisiti per dare all’acquirente diritto al sussidio.

E, secondo un primo studio del Congressional Budget Office, solo 11.000 veicoli elettrici potrebbero avere i requisiti per permettere ai clienti americani di beneficiare dei crediti di $7.500 nel 2023. Nella lista di modelli che potranno beneficiarne subito peraltro ci sarebbero anche veicoli prodotti da case non americane ma assemblati negli States: ad esempio il SUV ID4 da pochissimo prodotto da Volkswagen anche in Tennessee, o la Volvo S60 Recharge costruita in Carolina del Sud.

Ma questo non è bastato a impedire che giovedì scorso l’Unione Europea abbia espresso la sua preoccupazione che il nuovo provvedimento possa discriminare l’auto elettrica del Vecchio Continente e costituire una violazione delle regole del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. In pratica a Bruxelles vedono nelle misure dell’Inflation Reduction Act che riguardano il mercato delle elettriche una discriminazione tra produttori americani ed europei.

All’obiezione si è subito associata la Corea del Sud, preoccupata per la svolta sia per via del gruppo Hyundai/Kia che ha in gamma modelli elettrici di crescente successo in America, sia per il tris di produttori di batterie LG Energy Solution, SK On e Samsung SDI. In effetti i piani dei grandi gruppi coreani e della fornitura, come ad esempio il colosso POSCO, prevedono già di potenziare la capacità produttiva americane e spesso in joint venture con gruppi auto americani.

Ma i sussidi calibrati dalla nuova legge lascerebbero per molti mesi le Hyundai e Kia elettriche prive di incentivi perché il gruppo sarà pronto a produrre localmente elettriche solo tra tre anni, e ancora peggiore sarebbe la situazione per i produttori coreani di batterie, che ancora si affidano molto alla fornitura e alla raffinazione di materie prime in Cina.

E questa inquietudine che tocca l’impresa coreana sembra rivelare come in effetti il piano dell’amministrazione Biden sia destinato ad accelerare una tendenza alla strategia local-to-local a cui fanno riferimento sempre più aziende per puntare alla regionalizzazione: ultimo esempio proprio in queste ore CATL che aprirà una seconda Gigafactory in Europa, ovvero anche i cinesi si adeguano.

Circoscrivere per alcuni mesi la scelta possibile al pubblico americano che acquisterà auto elettriche accedendo a sussidi, in altri termini a Washington deve essere parso un prezzo da pagare accettabile, se servirà ad allontanare dalla dipendenza cinese la catena della fornitura americana, molto evidente per materie prime come litio e grafite.

Se nel caso della grafite degli anodi cinese spesso è anche l’attività estrattiva, nel caso del litio è invece dominante il ruolo nella raffinazione e nella purificazione del metallo al livello, estremamente esigente, dei produttori di celle globali.

Per una parte della gamma elettrica di maggior successo, quella premium, il cambio di norme sui sussidi in America non sembra destinato ad avere un effetto sostanziale: elettriche dei costruttori tedeschi o modelli Tesla di fascia alta si misuravano sul mercato senza avere il supporto del contributo dello Zio Sam.

Anche per startup come Rivian o Lucid, che sono partite producendo una gamma di pickup e berline rivolti al solo pubblico luxury, gli incentivi meno liberali nell’erogazione cambieranno poco sulle prospettive a breve e medio termine.

L’Inflation Reduction Act peraltro contiene anche una misura che pare destinata a interessare e promuovere un altro mercato di veicoli elettrici dal prezzo elevato: quello dei veicoli commerciali. Perché contiene la promessa di erogare $40.000 per l’acquisto di camion a zero emissioni, un sussidio federale a cui stati come California e New York aggiungono altri benefici locali.

Questa opportunità potrebbe beneficiare Tesla, che di recente ha dato un improvviso impulso alla produzione del suo Semi, che parrebbe ben piazzato per accedere ai sussidi, visto che potrebbe beneficiare di celle prodotte in Nevada. E forse anche altri protagonisti meno scontati.

Come Nikola, che ha appena scelto come amministratore delegato l’ex-Opel Michael Lohscheller e, con la linea di montaggio del Tre BEV e fuel cell che finalmente si è messa in moto, potrebbe rilanciarsi in questa fase favorevole, grazie alla produzione di batterie dell’appena acquisita Romeo Power.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Ford Motor Co.