I piani sulla neutralità carbonio piacciono alla politica
Le promesse sui futuri obiettivi di neutralità carbonio di GM in America, Nissan in Giappone segnalano il ritorno di istituzioni e industria dell’auto a un’agenda comune
General Motors, che nella mobilità sostenibile e innovativa sta scommettendo $27 miliardi, questa settimana ha affermato di puntare ad avere una gamma globale (ovvero Americhe ed Asia) a zero emissioni entro il 2035, e punta inoltre al 2040 come data entro cui tutti i suoi prodotti e fabbriche saranno carbon neutral, acquistando ove necessario crediti con certificati verdi per bilanciarne gli effetti.
Considerato che il piano annunciato giovedì scorso è stato preparato da un gruppo attualmente noto per pickup e SUV questo annuncio non era scontato. General Motors quando indica un obiettivo a zero emissioni peraltro non chiarisce le percentuali di prodotto a batterie e di quello supportato dall’idrogeno. Gli ultimi sviluppi lasciano credere che a Detroit abbiano comunque ambizioni sostanziali per i sistemi fuel cell Hydrotec, che anche questa settimana hanno trovato un nuovo cliente nei veicoli commerciali Navistar.
General Motors ha anche firmato il Business Ambition Pledge fo 1.5-degree Celsius che impegna aziende, agenzie, consorzi e gruppi aderenti a contribuire contenere le emissioni nei livelli dell’accordo di Parigi (l’accordo intenderebbe limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius).
Quanto è diverso il quadro rispetto allo scorso settembre: il mese in cui il governatore della California Gavin Newsom seguiva l’esempio di molti stati europei annunciando il bando alle vendite di nuovi veicoli con motori tradizionali entro il 2035, seguito da altri stati americani, a cominciare dal Massachusetts.
All’epoca alla Casa Bianca c’era ancora l’esecutivo precedente e la California era bersaglio abituale delle ire anti-ambientaliste di Donald J. Trump, così minaccioso che al contrario di Ford il gruppo diretto da Mary Barra si era schierato con Washington nella disputa sul diritto dello stato a stabilire proprie soglie di emissioni.
Ma da allora c’è stato l’arrivo alla Casa Bianca di un nuovo inquilino che tra i primi progetti ha quello di installare 500.000 nuove postazioni di ricarica, per incrementare di cinque volte la rete nazionale coprendo il 57% delle necessità di ricarica entro il 2030 è quello che serve, secondo gli esperti di BloombergNEF, per sostenere una flotta di 25 milioni di auto e camion.
Con Joe Biden a Washington esecutivo e obiettivi del settore della manifattura sostenibile sono sulla stessa lunghezza d’onda, e proprio General Motors era stata rapidissima (e sfacciata) a recepire la mutata atmosfera cambiando fronte in California per appoggiare le posizioni di Sacramento. Non solo in America politica e industria sostenibile stanno tornando a marciare in sincronia.
Il giorno precedente alla promessa proveniente da Detroit, da Yokohama Nissan Motor faceva sapere che tutta la nuova offerta della propria gamma sui mercati fondamentali sarà elettrificata entro il 2030, nel quadro del piano aziendale di raggiungere la neutralità carbonio entro il 2050.
Accelerare sull’abbandono di motori puramente termici non è sorprendente per il gruppo giapponese che ha lanciato la Leaf al 100% elettrica e che ha trovato nell’ibrido seriale E-Power una tecnologia di successo che taglia in modo sostanziale le emissioni rispetto ai veicoli convenzionali. Quello che dà da pensare è il timing dell’intervento Nissan: avvenuto mentre in Giappone c’è un dibattito acceso sul ritmo della transizione alla neutralità carbonio nel settore dei trasporti in particolare.
Come noto il primo ministro Yoshihide Suga ha delineato a fine 2020 una nuova strategia per una crescità più verde che comporta la rimozione dal mercato dei veicoli convenzionali per metà degli Anni ’30 e di raggiungere un traguardo carbon neutral entro il 2050. Una roadmap a cui fa resistenza anche molto vocale il gruppo Toyota, che non la vede coincidere con la propria.
General Motors in particolare in America e Nissan in Giappone sembrano segnalare una sostanziale concordanza di intenti con la politica nazionale. Di norma il settore auto e la politica dominante hanno storicamente proceduto in accordo. Guardando all’indietro, nel corso della decade passata e specialmente nell’ultimo lustro, c’era stata una insolita e forse poco sottolineata distonia tra istituzioni e manager.
Inevitabile, probabilmente, visto che in entrambe c’erano divergenze tra chi ha iniziato a muoversi verso l’auto sostenibile ed innovativa, con ritmi, piani e investimenti anche molto diversi, e una politica che a macchia di leopardo appoggiava o osteggiava l’auto sostenibile.
Sarebbe edificante poter scrivere che dichiarazioni di facciata e greenwashing a parte, tutta o quasi la politica e tutto o quasi l’automotive hanno ormai capito che la soluzione della sostenibilità non ha alternative. In effetti non crediamo che sia così. Ma dove non arrivano gli argomenti dei climatologi arrivano gli argomenti degli investimenti.
E mentre i casi di General Motors e Nissan segnalano che la direzione è ormai presa anche in America e Giappone, in Europa i politici anche conservatori o sovranisti (che certo non sono i primi fan di Greta Thunberg) da tempo hanno cominciato ad aprire le porte a incentivi all’auto elettrica come Markus Söder nella conservatrice Baviera oppure all’industria delle batterie come ha fatto e sta facendo Viktor Orban in Ungheria.
Per l’unico pianeta che hanno a disposizione tutti i terrestri che non si chiamino Elon Musk (che come noto ha in mente da anni l’alternativa di Marte) non fa poi così differenza che a quegli 1,5° si arrivi per una via o per l’altra tutto sommato.