OPINIONI

I destination charger sono il “mediano” dell’infrastruttura

Le colonnine HPC attirano tutto l’interesse e i fondi PNRR, ma il successo della mobilità elettrica dipende da wallbox e capillarità di postazioni AC presso attività commerciali e luoghi di lavoro

La diffusione dei veicoli elettrici, che come sappiamo in Italia non tiene il passo di altri mercati occidentali quali Germania o Francia, dipende molto da abitudini e comportamenti. Specialmente dove la sostituzione di un veicolo termico con uno elettrico comporta grandi cambiamenti: questo non è il caso nella guida, ma lo è nel rifornimento di energia, che ha caratteristiche del tutto diverse dalla sosta alla pompa di carburante.

Finora, specialmente in Italia ma anche altrove, l’enfasi è stata sui punti di ricarica iper-veloci, che ambiscono a consentire di raggiungere tempi di sosta simili a quelli di un’auto tradizionale, calmando i timori di chi fa o farà paragoni esclusivamente con le abitudini dell’auto termica.

Ma sebbene indispensabili nelle tappe intermedie, le reti per la ricarica HPC non dovrebbero essere il solo punto focale degli investimenti, specialmente di quelli pubblici. Le reti sui grandi assi viari col crescere delle quote di veicoli elettrici in circolazione raggiungeranno una loro consistenza e anche una percorribilità economica per i gestori che se ne occuperanno.

Ma una volta raggiunta una densità appropriata (anche e soprattutto grazie a fondi come quelli del PNRR) sui tratti autostradali e sui grandi assi viari (che spaziano dall’E45 all’Aurelia) questo tipo di infrastruttura non dovrebbe più essere il fulcro della spesa e dei sussidi concessi a chi li realizza.

Nel giro di poco tempo, forse tre-quattro anni, si porrà la questione di favorire la ricarica in corrente alternata: sia domestica, sia quella delle modeste ma indispensabili colonnine per la ricarica lenta e notturna cha ancora oggi sono la maggioranza dei punti visibili a Milano, Roma o Firenze.

Le colonnine ultra-veloci sono l’infrastruttura che fa notizia, come i centravanti in una squadra di calcio, ma il successo della mobilità elettrica dipende dal lavoro oscuro dei suoi mediani: ovvero Destination Charger e colonnine AC.

Sempre più frequentemente addetti ai lavori ed esperti di settore ne difendono il ruolo dall’ondata di enfasi sulle colonnine a grande potenze, che in qualche esemplare ultra-moderno (e ultra-costoso) ormai raggiungono i 400 kW di potenza di picco.

Sono potenze quasi da veicolo commerciale, ma se per i camion le alte potenze saranno indispensabili, per i veicoli passeggeri la questione è più articolata, e siamo del parere che tra breve tempo anche l’erogazione di sussidi pubblici dovrebbe preferibilmente guardare alla capillarità delle colonnine, puntando su un numero ampio di unità poco costose, piuttosto che a poche postazioni HPC.

Questo perché anche prendendo in esame i viaggi di una certa durata, non è pensabile di sostenere una mobilità elettrica efficiente con le sole colonnine HPC. E non abbiamo in mente in questo caso solo gli esodi di Ferragosto o picchi analoghi.

Uno dei punti di forza riconosciuto a Tesla e al gradimento del suo pubblico è come tutti sappiamo la sua rete di ricarica. A prendere la scena sono i Supercharger, anche per la loro visibilità.

Ma a far contenti gli automobilisti al volante di Model 3, Model Y eccetera c’è anche una rete di Destination Charger, punti di appoggio modesti per potenza ma preziosi: chiunque abbia fatto un viaggio in elettrico, sa che aggiungere durante una cena anche 20-30 chilometri di autonomia può fare la differenza tra il tornare a casa senza fermarsi oppure no.

Una mobilità quotidiana che non sia quella dei rappresentanti di commercio e dei loro tragitti, trasformata in viaggio elettrico ha bisogno di capillari colonnine poco costose. Questa necessità si scontra col fatto che viene oggi riconosciuto un lavoro da fare ancora ampio in punti critici della mobilità, come ad esempio le soste presso gli alberghi.

Negli Stati Uniti, dove l’automobilista medio percorre più chilometri di quello europeo, il problema è stato ammesso recentemente dall’American Hotel and Lodging Association, che raccoglie 17.000 hotel grandi e piccoli nei 50 stati. Ad oggi solo circa un quarto offre una postazione di ricarica, particolarmente utile a chi dorme in una delle stanze durante un tragitto. Perfino alcune grandi catene come Hilton e Hyatt hanno colonnine in meno di un terzo delle località.

Catene come Marriott o Wyndham non lasciano nemmeno al cliente la possibilità di prenotare la colonnina online quando riservano la stanza, mentre lo fanno con una serie di opzioni anche molto superflue. Paradossalmente è più facile scoprire se un hotel americano ha una colonnina per la ricarica notturna su siti di prenotazione come Expedia o Kayak che sui portali delle catene.

I manager se ne stanno accorgendo ed è probabile che le cose cambieranno: intanto Airbnb fa già sapere che 850.000 proprietà hanno una colonnina per chi prenota presso di loro. Questo genere di problematica, spiega perché accennavamo alla rete Tesla di Destination Charger come a un fattore di gradimento altrettanto importante della disponibilità dei Supercharger.

Una più efficiente distribuzione di punti di ricarica con colonnine da 22 kW o potenze simili adatte per le lunghe soste o i parcheggi notturni non è solo un potenziale asso nella manica per migliorare la mobilità richiesto dai gestori di reti elettriche.

Anche molti addetti ai lavori difendono e sostengono la necessità di non lasciarsi irretire dal miraggio della sola ricarica ultra-veloce. L’ex-capo progetto della Tesla Model S, Peter Rawlinson, da anni alla guida di Lucid Motors, sostiene da tempo che proprio come nelle auto sportive il componente migliore è quello che non si monta, nell’ambito della ricarica il miglior “fast charger” è quello di cui si può fare a meno.

L’ingegnere britannico ritiene che le sovvenzioni pubbliche per l’infrastruttura di ricarica dovrebbero essere dirette alla ricarica lenta notturna, quella che serve ai condomini o a quartieri a densa percentuale abitativa.

Anche per la sostenibilità economica ed ambientale avere centrali elettriche sulle quali il carico sia distribuito nelle 24 ore sarebbe un vantaggio e i gestori dovrebbero preoccuparsi meno dei picchi di carico nel caso non si colleghino i veicoli a colonnine HPC proprio quando tutti i condizionatori sono accesi e le fabbriche lavorano.

In Germania, dove i fondi pubblici sono più generosi rispetto all’Italia grazie ai conti meno disastrati, attualmente è prevista una allocazione fino all’equivalente di un miliardo di euro per arrivare a creare entro il 2030 un milione di postazioni di ricarica pubblica entro il 2030, come parte dell’accordo dei partiti della coalizione al governo che prevede anche di arrivare a mettere 15 milioni di auto elettriche sulle strade entro quell’anno.

Ufficialmente i due obiettivi sono confermati dall’esecutivo, e tuttavia pochi giorni fa un portavoce del ministero dei trasporti del paese gestito dai LiberalDemocratici ha ammesso con l’agenzia di stampa Bloomberg, che per quanto riguarda l’infrastruttura quell’obiettivo non sarà perseguito alla lettera.

Perché non sembra in effetti più rispecchiare i progressi tecnologici e le preferenze mutevoli e rischierebbe di costruire colonnine con fondi pubblici che ricevono poco uso. La Germania ha circa 85.000 stazioni di ricarica accessibili al pubblico e quasi un quinto di queste sono classificate come punti di ricarica rapida.

Ma gli automobilisti nella più grande economia europea scelgono di avere quando possibile wallbox per la ricarica dell’auto a casa, con circa 10 installazioni private per ogni punto di connessione pubblico. Questa è una svolta che il governo non si aspettava. Il cambiamento evidenzia la sfida che molti paesi europei devono affrontare quando pianificano infrastrutture pubbliche per incoraggiare il trasporto elettrico.

L’obiettivo di un milione, rafforzato in un piano generale in ottobre, è stato inizialmente sancito nel trattato della coalizione di governo dopo le pressioni dell’industria automobilistica del paese attraverso in particolare l’associazione delle case VDA, secondo l’agenzia di stampa americana.

Lo studio a sostegno dell’obiettivo delineato nel 2020 aveva visto coinvolti player rilevanti dell’industria automobilistica, del settore energetico, della scienza e della politica. Tuttavia, il report aveva visto la necessità di un milione di punti di ricarica scegliendo uno tra quattro scenari valutati, mentre altri indicavano già allora esigenze inferiori.

Una rete più ampia di infrastrutture di ricarica potrebbe diventare utile man mano che i prezzi dei veicoli elettrici caleranno e crescerà la percentuale di proprietari di veicoli elettrici senza opzioni di ricarica private, ma anche in quel caso ci sarà da distinguere tra opportunità di ricarica lenta e notturna e postazioni HPC urbane.

Che le prospettive stiano cambiando rapidamente non è un segnale che arriva solo dal primo mercato europeo dell’auto elettrica, malgrado la posizione dell’industria dell’auto italiana non sia molto diversa da quella tedesca, ovvero preferisca puntare sulle colonnine ultra-veloci.

La scorsa primavera, la lombarda A2A E-Mobility a Brescia ha iniziato ad installare nuove colonnine a partire da quella che l’amministratore delegato Fabio Pressi chiama l’idea di portare in strada l’esperienza della ricarica domestica. In altre parole più nuove colonnine che scendono in potenza rispetto alle classiche postazioni AC da 22 kW.

Ovvero, guardando a quella cittadinanza che è sprovvista di garage o posto auto condominiale, l’utility ha installato una postazione con 5 colonnine a bassa potenza, ciascuna corrispondente a un punto di ricarica con presa Tipo 2.

In futuro ogni stazione City Plug come quella inaugurale già attivata, disporrà di 7 colonnine collegate tutte in parallelo e alimentate in bassa tensione, con potenza di 7 kW distribuita fra le colonnine.

Inoltre come ha sottolineato in una intervista a Vaielettrico l’amministratore delegato di A2A E-Mobility, postazioni come questa appaiono meglio calibrate su città come quelle italiane che hanno centri storici dove anche l’arredo urbano è importante e l’infrastruttura di ricarica non può essere troppo invasiva.

Per fortuna le cose sembrano già andare nella direzione della capillarità: l’associazione di settore Motus-E fa notare che in Italia i dispositivi per la ricarica domestica sono aumentati del 700% in due anni.

Sono cresciuti di ben 8 volte in soli due anni grazie soprattutto alle incentivazioni connesse alla riqualificazione energetica degli edifici (il bonus 110%) per 304.000 delle installazioni, secondo i dati ENEA.

Numeri importanti che rispecchiano una diffusa apertura dei cittadini al trend di elettrificazione della mobilità, il che non sarebbe la conclusione da trarre guardando invece ai più recenti dati nazionali di vendite di auto elettriche.

Tra l’altro l’adeguamento infrastrutturale è una risorsa che ricade in gran parte sull’economia nazionale: oltre il 70% delle wallbox vendute in Italia sono infatti di produzione domestica ed e oltre il 50% del costo chiavi in mano è appannaggio dell’installazione, svolta da aziende e professionisti locali.

La cosa che tende a trasmettere più fiducia sull’adeguamento dell’infrastruttura è che ormai si sta sviluppando una aneddotica di casi che si possono conoscere di prima mano, trasformando la mobilità elettrica da eccentricità in realtà.

E quello che più importa è che capita di vedere spuntare nuove opportunità di ingrandire la rete lontana da quelle aree metropolitane che si tende a pensare come accentratrici di ogni novità.

Nella Toscana in cui abita chi scrive e molto lontane entrambe dalla città metropolitana di Firenze, in questo 2023 ne abbiamo constate due nuove, che ci sono saltate agli occhi tra tante altre perché conosciamo bene i siti in cui sono spuntate nuove colonnine o perfino chi le ha messe lì.

A Campiglia Marittima, nel bellissimo borgo dei minatori che è una perla della regione ma anche una destinazione che non è vicina a nessun grande centro urbano, è entrato nella lista del sito web EViaggio di località che dispongono di destination charger per turisti e viaggiatori lo spettacolare resort Castello Bonaria, un segnale forse che l’industria turistica ha ben chiare le necessità degli ospiti del 21° secolo.

Molto più a nord, a Orentano, un’impresa pisana del legno, la Gruppo Camarlinghi oggi diretta da Michele Camarlinghi, dopo aver attivato un impianto fotovoltaico da 200 kW ha installato colonnine AC da 22 kW per la ricarica gratuita dei veicoli elettrici dei dipendenti.

L’impianto fotovoltaico insieme al già presente impianto di riscaldamento a biomassa (alimentato dal legno di scarto delle lavorazioni effettuate) copre il 90% del fabbisogno energetico complessivo e questo crea lo spazio per offrire il benefit all’organico aziendale.

Questi due esempi, a Campiglia Marittima e a Orentano, rispondono a esigenze opposte: la prima quella di automobilisti che fanno quasi certamente molta strada per arrivare a un resort; la seconda a quella di automobilisti che percorrono poca strada da pendolari, ma che magari abitano in comuni vicini dove le colonnine pubbliche sotto casa non ci sono proprio.

L’impulso a mettersi in linea col futuro di imprese di Campiglia Marittima e Orentano sono particolarmente significativi perché simboleggiano cosa si stia muovendo proprio nell’Italia produttiva più profonda, tra l’altro quella che non finisce spesso sulle testate finanziarie.

Un dinamismo che accompagnandosi a quello che c’è già nell’approccio dei privati lascia credere che la Penisola stia rispondendo bene alla sfida della diffusione delle infrastrutture modeste e poco appariscenti ma indispensabili al successo della mobilità elettrica.

Da un impianto fotovoltaico da 200 kW come questo e da un impianto a biomasse un’impresa del legno del pisano, Gruppo Camarlinghi, ottiene il 90% del proprio fabbisogno e può offrire ai propri dipendenti la ricarica gratuita dei veicoli elettrici con colonnine AC da 22 kW (credito foto: Michele Camarlinghi)
Credito foto di apertura: AUTO21