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Dazi sull’auto elettrica cinese: la vexata quaestio della soglia

L’Europa potrebbe dover imporre dazi fino al 55% per scongiurare con l’export dell’auto cinese di veicoli elettrici il ripetersi dell’esperienza negativa del fotovoltaico?

L’ultima edizione del Salone Auto di Pechino non ha mancato di sollevare inquietudine di fronte all’ondata di nuove offerte cinesi che istituzioni e industria temono di veder arrivare quanto prima in Occidente.

Come sappiamo dai dati di vendite dello scorso anno e da quelli più recenti, le auto in arrivo dalla Cina non sono ancora un diluvio, e il grafico proposto dall’esperto Matthias Schmidt ce lo ricorda perfino per un settore in cui la manifattura dell’Impero di Mezzo è certo più avanti come quello dei veicoli elettrici.

Ma a preoccupare è soprattutto il tasso di crescita delle quote dei gruppi cinesi, così come la sovra-capacità produttiva di quelle fabbriche che ha portato a effetti bizzarri come l’accumulo di veicoli nei porti europei.

Per evitare i ritardi che hanno nociuto ad altri settori come ad esempio il fotovoltaico occidentale che ha finito per soccombere allo strapotere asiatico, le capitali si sono mosse con contromisure che nel caso di Bruxelles in particolare puntano su un’indagine per accertare la presenza di dumping ed aiuti di stato sleali e distorsivi della concorrenza.

Senza attendere i risultati dell’indagine della Commissione Europea, il think-tank tedesco Kiel Institute ha pubblicato a inizio aprile le sue conclusioni, in base alle quali indica che Pechino sovvenziona pesantemente le sue industrie nazionali, in particolare in settori come le tecnologie verdi come la mobilità elettrica o l’energia eolica. Le stime indicano sussidi della Cina da tre a nove volte superiori complessivamente a quelli di altri paesi OCSE come Stati Uniti o Germania.

Cosa dovrebbe fare l’Europa quindi nell’applicare dazi all’auto cinese, se dovesse davvero arrivare alle stesse conclusioni? Se lo chiede la società di consulenza americana Rhodium Group, che ha una attenzione particolare sulle dinamiche economiche e politiche del paese asiatico.

In un suo report recentemente ripreso dalla TV finanziaria CNBC, i suoi esperti sostengono che l’Unione Europea dovrà imporre dazi più alti del previsto, fino alla soglia del 55% sulle auto elettriche di produzione cinese per riuscire a frenare il loro export nella nostra area.

In realtà, nel contesto dell’indagine anti-sovvenzioni in corso sulle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina, Rhodium Group prevede che l’UE imporrà dazi doganali compresi in una forchetta tra il 15% e il 30% sui veicoli elettrici cinesi.

Ma tali dazi difficilmente sarebbero sufficienti a mettere sotto controllo la concorrenza della Cina. Bruxelles potrebbe utilizzare altri mezzi per proteggere l’industria europea dei veicoli elettrici, come ad esempio limitare le importazioni cinesi per motivi di sicurezza nazionale o aumentare i sussidi al consumo per i veicoli prodotti nell’UE.

Ma quella delle barriere tariffarie sembra la soluzione più verosimile e il loro livello sarà una premessa essenziale della loro efficacia. Creando non pochi grattacapi ai Commissari che avranno in mano la questione. “Anche se i dazi si collocano nella fascia più alta di questo intervallo, alcuni produttori con sede in Cina saranno comunque in grado di generare margini di profitto confortevoli sulle auto che esportano in Europa a causa dei sostanziali vantaggi in termini di costi di cui godono”, si legge nel report.

Un’azienda cinese come BYD, che a fine 2023 aveva scavalcato Tesla come maggior produttore di veicoli elettrici al mondo per poi riconsegnare alla casa di Elon Musk il primato nel primo trimestre 2024, possono vendere auto a prezzi e con margini di profitto molto più alti in regioni come l’UE rispetto al mercato interno, nonostante paghino dazi del 10%.

Il modello Seal U di BYD è venduto a €20.500 in Cina e €42.000 nella UE e genera un profitto stimato di €1.300 nel mercato interno contro €14.300 per auto in Europa, secondo Rhodium. Anche con dazi del 30%, un’azienda come BYD otterrà un profitto maggiore nell’UE, ha aggiunto il report.

Pochi giorni fa aveva effettuato una analisi strettamente collegata al tema l’agenzia di stampa Reuters, sottolineando che per alcuni paesi occidentali BYD fissa più del doppio e a volte quasi il triplo del prezzo che prevede per tre dei suoi modelli-chiave sul mercato nazionale.

BYD Atto 3, un crossover elettrico compatto (visibile nella foto di apertura) che in Cina viene venduto col nome Yuan+ all’equivalente di $19.283, in Germania ha un cartellino di $42.789, un prezzo comunque ancora competitivo con veicoli elettrici comparabili in quel mercato.

È normale che le case auto applichino prezzi leggermente diversi per le esportazioni della stessa versione o di versioni simili di un veicolo anche in paesi vicini, ma l’entità delle differenze di BYD per i mercati esteri è insolita.

Il fatto è che i produttori cinesi di veicoli elettrici (e Tesla che è un player importante nel settore) sono bloccati in un’intensa guerra dei prezzi nel loro mercato interno. Le case cinesi già fronteggiano la strenua resistenza degli Stati Uniti ad aprire al loro prodotto, il che rende il mercato europeo decisivo per aziende come BYD (o Geely, Chery o SAIC Motor) che stanno inseguendo una espansione globale.

I margini nell’export di BYD richiamano sì la questione degli aiuti di stato all’industria esportatrice, ma sottolineano anche i vantaggi competitivi in termini di costi che l’industria cinese dei veicoli elettrici ha rispetto alla concorrenza.

Non è un mistero per nessuno l’integrazione verticale maniacale di BYD, invidiata persino da Tesla, che consente al leader cinese dei veicoli elettrici di ridurre i costi in ogni fase della produzione, dalle materie prime alle batterie, in aggiunta a vantaggi che spaziano dai terreni per le fabbriche alla manodopera.

Il resoconto di Rhodium afferma che BYD dovrà probabilmente ridurre i prezzi per raggiungere i suoi obiettivi di guadagnare maggiore quota di mercato nell’UE. Un’aliquota tariffaria del 30% lascerebbe comunque spazio sufficiente per farlo.

“Dazi molto più elevati, pari a circa il 45%, o addirittura al 55% per produttori fortemente competitivi come BYD, sarebbero probabilmente necessari per rendere le esportazioni verso il mercato europeo poco attraenti per motivi commerciali”, concludono quindi gli esperti di Rhodium.

Ci sono previsioni di veicoli elettrici delle aziende cinesi attestati all’11% del mercato dell’UE nel 2024 e potrebbero raggiungere il 20% entro il 2027, secondo un’analisi della Federazione europea per i trasporti e l’ambiente. Se si tiene conto dei veicoli fabbricati in Cina da aziende occidentali la cifra potrebbe superare il 25% quest’anno.

Anche le importazioni di veicoli elettrici da aziende non cinesi potrebbero rientrare nell’indagine sui sussidi dell’UE, con Rhodium che stima che dazi al livello del 15%-30% nuocerebbero molto agli affari di aziende occidentali come BMW, Tesla o Polestar che importano in Europa auto dalla Cina.

Le politiche tese tra Occidente e Cina sembrano uno sprone per i produttori di veicoli elettrici (e quelli della filiera) per spostare la loro produzione in Europa. Infatti BYD lo scorso anno ha confermato di voler costruire una fabbrica in Ungheria, mentre Chery ha scelto la Spagna e, forse, Dongfeng l’Italia.

credito foto di apertura: ufficio stampa BYD via NewspressUK