Su elettrico e «green», l’informazione tradizionale perde colpi?
Anche la stampa internazionale un tempo definita autorevole può faticare a stare al passo coi ritmi dell’innovazione nella mobilità; piccoli scivoloni sulle batterie lo confermano, ma dimostrano anche il contrario…
Da oltre un decennio il dibattito sui limiti dell’informazione vede spostarsi continuamente l’ago della bilancia verso una crescente sfiducia del pubblico nei media. Questo è particolarmente vero in Italia, che i dati annuali del Digital News Report curato da Reuters Institute e università di Oxford ci dicono essere tra i più scettici sull’affidabilità dei media.
Se questo è un dato di fatto in una informazione a 360° resa oggi sempre più complicata dall’eccesso e non dalla carenza di input, sempre più frantumati e di difficile verifica, la vita non è più semplice per chi fa e chi cerca informazione su settori specializzati. Questo avviene anche là dove la ricerca di dati fattuali dovrebbe essere più semplice, nel mondo scientifico o in quello economico.
Scrivere di auto era certo meno complicato nel 20° Secolo rispetto a quanto non sia diventato di recente, mentre la ricerca ormai più istantanea che quotidiana di polemica e di clickbait tende a fare di ogni argomento una controversia o un campo di battaglia.
Proprio per questo tuttavia è ancora più importante avere dei fari con cui orientarsi, avere una ricchezza di quelle fonti autorevoli a cui un tempo si riconosceva assenza di partigianeria e di estremismo. Ma quando gli argomenti diventano complicati e poco familiari, anche le fonti migliori fanno fatica a evitare errori.
Qui citerò due fonti, che considero molto autorevoli e a cui va riconosciuto il massimo dello sforzo di precisione e accuratezza, proprio per sottolineare come sia facile riportare ai lettori imprecisioni quando si entra in argomenti difficili. Nell’auto elettrica certi aspetti ancora sono poco familiari e le batterie sono forse quello più ostico.
Se avete ancora qualche dubbio, suggeriamo di leggere (in inglese) questo ottimo articolo di Claudia Lee apparso sul sito di notizie della BBC col titolo “We rely heavily on lithium batteries – but there’s a growing array of alternatives”.
L’autrice ha fatto un lavoro eccellente di sintesi delle prospettive future per le batterie che propongono alternative alle celle agli ioni di litio che vanno oggi per la maggiore, trattando quelle sodio-ione (a cui si riferisce la foto di apertura), le celle con elettroliti allo stato solido, le batterie litio-zolfo.
Le fonti sono di valore e lo sforzo di sintesi in pochi paragrafi di una ricerca complessa e articolata è stato davvero importante. Per il 99% si tratta di righe che sono davvero appropriate e anche una buona fonte sull’argomento, specialmente venendo da una organizzazione autorevole. Anche la professionalità di chi ha scritto, però, almeno a un errore va incontro, perché anche al fact-checking della BBC è sfuggito che un paragrafo (quello sulle celle litio-zolfo) contiene una inesattezza palese.
“Lithium-ion batteries use rare earth minerals like nickel, manganese and cobalt (NMC) in their cathode”, si legge ed è una delle inesattezze in cui più frequentemente capita di inciampare negli articoli che prendono posizione contro la mobilità elettrica per i suoi aspetti di sostenbilità ambientale. Ovvero che l’industria delle batterie dell’auto elettrica non esista senza le terre rare.
I metalli citati però, nichel, manganese, cobalto, non sono terre rare. Nichel, manganese e cobalto sono minerali critici indicati come tali per la loro valenza strategica e sottoposti a monitoraggio ormai in ogni continente, dall’America che applica la legge IRA al Green New Deal nell’Unione Europea.
Qualcosa che non sorprende in una fase in cui anche altre materie prime che rare non sono, come ad esempio la grafite basata sull’atomo del comune carbonio, nella stessa Cina che ne ha un semi-monopolio sono ormai sottoposte a controlli.
Al gruppo delle terre rare appartengono minerali come disprosio o neodimio, non certo nichel o cobalto. La definizione terre rare forse scatena una reazione pavloviana nel nostro DNA di discendenti di contadini, come a questi ultimi la provocherebbe un fenomeno di scarsità di acqua. Ma in effetti le terre rare sul nostro pianeta non sono poi tali, e nemmeno sono una recente sciagura nata con l’auto elettrica.
Non lo dice chi scrive, lo ha detto Enzo Ferrari. Il fondatore dell’azienda di Maranello nel suo libro “Le miei gioie terribili”, uscito all’inizio degli Anni ’70, le cita in due capitoli della sua opera autobiografica.
In entrambi i casi le descrive come materie prime indispensabili ai motori da competizione per ottenere straordinarie prestazioni. Anzi, si lamenta del monopolio di pochi fornitori e della loro avidità nel farsi pagare pochi grammi di materiale però indispensabile a trasformare le leghe dei suoi 12 cilindri in prodotti fuori dall’ordinario.
Oggi Ferrari sarebbe forse contento di leggere che per evitare quello avvenuto a lui gruppi auto stiano lavorando per evitare proprio quel collocarsi in posizione di dipendenza da un fornitore: Renault e BMW, ad esempio, sostengono startup e aziende che producono motori elettrici i cui magneti sono privi di terre rare.
Magneti, quelli sì, comunemente collegati a questa materia prima, come del resto il fotovoltaico o l’industria degli smartphone. Negli elettrodi delle batterie che spingono i veicoli elettrici no, le terre rare non ci sono.
Un altro esempio che vogliamo richiamare alla vostra attenzione, è un articolo pubblicato sulla bibbia dei motori, l’antica testata britannica Autocar col titolo “How sodium ion batteries could slash the price of EVs”.
Il pezzo firmato da Jesse Crosse, al contrario di quello della sua collega Lee, nel trattare l’argomento dello stato delle cose e delle prospettive per i veicoli elettrici mossi da celle agli ioni di sodio di inaccuratezze non ne presenta alcuna. Zero. Nada.
Il problema della pagina menzionata è nel suo sotto-titolo. Anzitutto è il caso di precisare che nei giornali di carta e in quelli online di regola inviati e cronisti non scrivono titoli, occhielli, catenacci dei loro articoli. Si tratta di un compito che tocca a caporedattori o capo-sezione.
Ma forse per la fretta, forse per un argomento tecnico molto meno familiare di quanto non sia un tipo di motore o sospensione, anche a un capo-redattore di una testata come Autocar può succedere di riassumere così il contenuto: “The replacement for lithium ion batteries is more sustainable, provides greater energy density, and is much cheaper”.
Chi sa già di cosa stiamo parlando avrà visto dove si colloca il problema; se le batterie agli ioni di sodio sono valutate come sostitute plausibili per quelle agli ioni di litio perché più sostenibili (c’è molto più litio disponibile sul pianeta e la sua produzione comporta meno emissioni) e molto più economiche una volta raggiunta la scala adeguata, non è affatto vero che come indica il sotto-titolo forniscano una maggiore densità di energia.
Caso mai l’aspetto della densità di energia è il loro punto debole rispetto alla tecnologia oggi dominante. Le celle agli ioni di sodio di aziende come BYD e rivali arriverebbero a densità di energia gravimetrica di 130, 140 Wh/kg al massimo a livello di pacco, valori inferiori a quanto ottenibile sul mercato dalle principali celle convenzionali litio-ione in commercio.
Ci si potrebbe domandare perché anche una fonte come Autocar inciampi su un punto del genere, fondamentale per una batteria come lo sarebbe la coppia massima per un motore termico: per un editor di una rivista del genere, la competenza di base non è in discussione, la familiarità con lo specifico argomento potrebbe però esserlo.
Arrivati a questo punto, forse vi chiederete se sulle batterie anche fonti come Autocar o la BBC faticano a mantenere quella impeccabilità che un lettore si attende da esse, cosa resta su cui fare affidamento, o addirittura aggrapparsi?
Come abbiamo premesso, riteniamo l’una e l’altra fonte autorevoli nonostante queste disavventure. Fa parte delle fonti autorevoli il correggersi e adeguarsi, dopotutto entrambe le fai fanno parte dell’apprendimento continuo.
Soprattutto, è la constatazione a cui non riusciamo a sottrarci, se possono avere delle manchevolezze di tal fatta fonti di informazione molto autorevoli, altri media su argomenti controversi come l’auto elettrica o l’economia green richiederebbero al lettore davvero interessato a capire la precisione di un argomento o la legittimità di una opinione uno sforzo e un fact checking sfiancante. Più o meno andare a verificarne ogni riga…
La nostra conclusione riguardo alle fonti di informazione tradizionali quando si tratta di argomenti come la green economy o le batterie finisce quindi per arrivare a una conclusione simile a quella dell’aforisma di Winston Churchill sulla democrazia: imperfetta e complicata sì, ma con molti meno difetti di tutte le altre (rovinose) alternative.