MATERIE PRIME

Perché il litio adesso attrae anche miliardari anti-ambientalisti?

Il periodo di tassi d’interesse alti e prezzi della materia prima bassi è favorevole alle speculazioni nel settore, e quello della donna più ricca d’Australia sembra diventare un caso-scuola

Ci sono poche aree del pianeta così favorevoli per le materie prime come l’Australia. In effetti down under, là sotto, ci sono i maggiori siti in cui si ricava il litio indispensabile alle celle dei veicoli elettrici e alla loro filiera.

Il vero e proprio boom della tecnologia elettrica sta creando sorprendenti situazioni, anche in un momento come l’attuale in cui la crescita delle vendite di auto e SUV a zero emissioni locali non è più tumultuosa come come qualche mese fa.

Come l’improvviso interesse proprio per questo settore, il litio, della donna più ricca d’Australia. Gina Rinehart, 69 anni, vanta secondo Forbes un patrimonio personale di oltre $25 miliardi, soprattutto grazie alla sua quota di maggioranza nelle miniere di ferro di Roy Hill in Western Australia aperte dal padre nel secolo scorso e a vasti allevamenti di bestiame.

Il suo ingresso nel minerale critico per la transizione ad una economia a basse emissioni è una sorpresa, non fosse altro perché è nota per il sostegno alle posizioni anti-ambientaliste, se non palesemente negazioniste su argomenti come la crisi climatica in corso.

Attraverso aziende controllate, Rinehart si sta inserendo in particolare in accordi e operazioni di fusione e acquisizione con chiari obiettivi speculativi. Una svolta agevolata dalla necessità di capitale che assilla in particolare i nuovi progetti, che sempre più spesso attirano gli occhi di gruppi più grandi in una fase come l’attuale in cui i tassi di interesse elevati non rendono semplice ad aziende con pochi ricavi e ancora meno utili muoversi sulle proprie gambe.

Come se non bastasse, guardando ai prezzi delle materie prime aggiornati dalla autorevole società di consulenza Benchmark Mineral Intelligence dall’inizio dell’anno i prezzi per lo spodumene (il minerale contenente il 6% di litio che è esce dalla tipica miniera australiana) sono scesi del 62% a $2.450 a tonnellata, mentre i prezzi del carbonato di litio in Cina sono scivolati anche di più, del 69% da inizio anno a $22.275 la tonnellata. Anche la dinamica dei prezzi delle materie prime rende quindi favorevole il momento per chi intende cercare “prede” tra le società del settore più piccole o più giovani.

Un primo esempio degli effetti dei movimenti della signora Rinehart si era visto lo scorso 10 ottobre quando Liontown Resources, obiettivo di acquisizione del grande gruppo americano Albemarle, aveva dovuto ampliare i tempi necessari alla due diligence collegata all’offerta pubblica di acquisto non vincolante.

Gli americani infatti avevano riconsiderato le loro intenzioni perché nel frattempo Hancock Prospecting (la società della miliardaria australiana) aveva aumentato la sua partecipazione in Liontown al 19,9%.

L’esito era scontato: con Hancock che aveva creato una minoranza di blocco, l’interesse di Albemarle sfumava e quindi abbandonava l’acquisizione da 6,6 miliardi di dollari australiani ($4,2 miliardi), col naufragio di quello che sarebbe stato uno dei più grandi affari riguardanti il litio fino ad oggi.

Ansiosa di aggiungere nuove fonti alla propria filiera globale, Albemarle aveva perseguito per mesi il suo obiettivo tenendo d’occhio il progetto Kathleen Valley, uno dei giacimenti più promettenti dell’Australia, che vedete in fase di realizzazione nella foto di apertura.

Liontown dopo aver puntato i piedi all’inizio a settembre aveva accettato l’offerta “migliore e definitiva” della società americana di 3 dollari australiani per azione, trattandosi di un premio di quasi il 100% rispetto al prezzo prima che il progetto di Albemarle per l’acquisizione fosse reso pubblico lo scorso marzo.

Ma in seguito Albemarle aveva dovuto fare i conti con l’arrivo della combattiva miliardaria delle miniere di ferro, mentre la sua Hancock Prospecting accumulava nella massima discrezione una partecipazione in Liontown appena al di sotto del livello del 20% che farebbe scattare un’offerta obbligatoria.

Liontown è il più significativo investimento nel litio mai deciso da Rinehart: si colloca in un momento in cui le prospettive per l’industria siderurgica sono fiacche ma l’appetito per i metalli delle batterie cresce, spinto dalla transizione energetica globale. Liontown dopo il fallimento dell’acquisizione di Albemarle si è affrettata a trovare una fonte alternativa di capitale per il progetto Kathleen Valley, contattando il gruppo bancario UBS per guidare la raccolta di capitali.

Ha evidentemente avuto successo: meno di una settimana dopo il siluramento del piano di Albemarle è stato perfezionato un collocamento che ha portato a coprire, secondo la pubblicazione normativa ufficiale diffusa agli investitori e all’authority australiana di borsa, il 90% del capitale totale (951 milioni di dollari australiani) necessario ad arrivare fino a inizio produzione, destinata a contratti firmati con gruppi come Tesla, Ford, LG Energy Solution.

Se questo sembra aver messo per un po’ in sordina l’eventualità di altre iniziative di Hancock nel progetto di Kathleen Valley, l’iperattività nel litio della Rinehart continua con nel mirino altri business miliardari. Infatti la sua società si è immediatamente dedicata a cercare modi per bloccare l’offerta di 1,63 miliardi di dollari australiani ($1 miliardo) del colosso cileno del litio SQM per la società Azure Minerals, che era stata accettata il 26 ottobre.

L’accordo proposto aveva fatto seguito dopo circa un semestre all’acquisizione di una partecipazione del 19,99% dei sudamericani in Azure per 20 milioni di dollari australiani. Inizialmente il gruppo estrattivo cileno doveva consolidare la proprietà del 100% di Azure per 3,52 dollari australiani per azione, con un premio del 44,3% rispetto all’ultima chiusura del titolo di 2,44 dollari australiani del 27 ottobre. Inoltre ci sarebbe stata un’offerta pubblica di acquisto extra-mercato di SQM di 3,50 dollari australiani per azione, nel caso in cui l’accordo annunciato non fosse accettato.

Azure Minerals possiede circa il 60% delle azioni del progetto Andover che rigarda il litio (ma con estrazione anche di nichel, rame e cobalto) nella regione di Pilbara in Western Australia. Il suo consiglio di amministrazione diretto da Tony Rovira aveva affermato di vedere nell’offerta SQM una transazione che offriva agli azionisti Azure un’opportunità convincente per ridurre i rischi del proprio investimento.

Ma le quote accumulate da Hancock Prospecting, che possiede una partecipazione del 19,9% in Azure, adesso esercitano una influenza sull’offerta di SQM, con voci della stampa finanziaria australiana che ipotizzano che dopo la Rinehart anche il milionario Mark Creasy, uno dei principali azionisti di Azure con una quota del 13,2%, stia valutando una mossa per bloccare SQM.

Paradossalmente il potenziale duello in borsa che potrebbe attendere SQM è un effetto collaterale dell’intenzione del gruppo di diversificare la produzione rispetto al nativo Sud America con una presenza nel paese primo produttore globale di litio, appunto l’Australia, che di solito è visto come un mercato “tranquillo”…

L’interesse per i progetti di Azure in effetti è il terzo investimento di SQM nel continente, dopo la presenza praticamente dalla fondazione nel futuro grande sito estrattivo di Mt. Holland come partner della società Wesfarmers e il recente acquisto di una quota della giovane società Pirra Lithium, una partecipazione salita dal 30% al 40% con una inieizione di capitale di $3 milioni di dollari australiani ($1,9 milioni) utili a pagare i costi di esplorazione e progettazione in Western Australia.

Che l’iperattività di investitori miliardari sia neofiti nel litio come Rinehart sia stabilmente inseriti nel settore non sia passeggera lo suggeriscono altri movimenti. Mercoledì scorso la società australiana Mineral Resources ha acquistato ulteriori azioni di Azure Minerals, aumentando la sua partecipazione al 12,29%, come mostrato ieri da un documento normativo.

Mineral Resources ha diverse attività nel settore estrattivo e la principale in Australia nel litio riguarda il sito a Wodgina, poco più grande come capacità di quello di Kathleen Valley e nel quale è partner degli americani di Albemarle.

MinRes ha costantemente aumentato la sua partecipazione a progetti sul litio di recente, con la società che in precedenza aveva acquistato azioni per un valore di 158,7 milioni di dollari australiani in Wildcat Resources, aumentando la sua partecipazione al 19,85%.

Intanto le azioni di Azure sono aumentate di oltre il 10% dal 26 ottobre, giorno in cui la società ha ricevuto l’offerta da SQM. In questi affari e confronti miliardari non è ancora chiaro quali saranno le prossime mosse di SQM e della Rinehart, né se per questo da che parte si schiererà Mineral Resources. Di certo però non sembra che i cileni intendano subito venire a patti, anche perché non si presenta a mani vuote, avendo appena due giorni fa concluso il collocamento di green bond di nuova emissione per $750 milioni, da utilizzare per le strategie aziendali.

In questo quadro effervescente, specialmente per una piazza borsistica solitamente poco abituata ai riflettori come quella australiana, c’è anche da chiedersi se le schermaglie speculative possano avere effetti negativi sul mercato complessivo delle materie prime e quindi (nel caso di picchi di prezzi) complicare la diffusione della mobilità elettrica facendo da freno al raggiungimento della parità dei costi tra veicoli elettrici e convenzionali, visto che la batteria e le sue materie prime sono ancora il maggior fattore di costo di un veicolo a zero emissioni locali.

La risposta a breve termine sembra essere forse sì, considerato che la concentrazione dei gruppi porterebbe a una minore concorrenza almeno nel breve termine. Ma se si guarda a medio termine o ancora più lontano la risposta sembra essere invece forse no.

A pagina 27 della presentazione PowerPoint di Liontown Resources che abbiamo citato e linkato poco sopra, c’è una mappa interessante che riguarda il distretto del litio di South Kalgoorlie: solo lì ci sono sette progetti estrattivi, la maggior parte nuovi, la maggior parte con investimenti miliardari.

E che il boom delle materia prima per eccellenza per la mobilità elettrica abbia effetti di effervescenza sul maggior produttore globale è forse alla fine naturale e persino scontato, ma molto meno lo è che guardando all’oro bianco ormai si muova il settore estrattivo persino in un mercato apatico e sonnolento come quello italiano.

Molti mesi fa ormai abbiamo segnalato come in particolare nel Lazio ci sia il potenziale per accedere a risorse preziose (e a basse emissioni) di litio geotermico. Ma dopo l’interesse di Enel e Vulcan per l’area di Cesano, dallo scorso settembre è ormai ufficiale che anche un altro gruppo, l’australiano Altamin, vuole esplorare un sito tra Anguillara Sabazia e Campagnano di Roma.

Credito foto di apertura: sito web Liontown Resources