L’auto elettrica accessibile nell’era dei tassi alti
Non è un caso che in una fase in cui i conti traballano, dalle famiglie all’industria, il primo gruppo occidentale a proporne una sia la redditizia Stellantis
Col senno di poi, se si rileggeranno le cronache fra quattro o cinque anni, questi potrebbero rivelarsi giorni in cui il mondo dell’auto volta pagina. Martedì scorso Citroën ha presentato la nuova C3 e soprattutto la sua versione elettrica E-C3 che a partire dalla primavera 2024 sarà in vendita a partire da €23.900 (in Francia a €23.300 e dedotto il premio ambientale partirà da €18.800, rendendola più economica di alcuni modelli termici comparabili per segmento).
Il momento del lancio della prima auto elettrica davvero accessibile costruita in Europa da un gruppo tradizionale come Stellantis è un fatto da considerare ancora più epocale, se visto accanto alla quasi contemporanea pubblicazione della trimestrale Tesla.
Una trimestrale che ha confermato i timori di analisti e addetti ai lavori con un preoccupante crollo dei margini sulle vendite e una contrazione (meno preoccupante) dei ricavi: il margine operativo è stato del 7,6% rispetto al 17,2% dello stesso periodo un anno fa.
La lettura delle cronache potrebbe indurre a esprimere lo stupore per un gruppo dell’automotive storico in grado di anticipare anche Elon Musk nel raggiungere l’obiettivo dell’auto da città a zero emissioni accessibile.
Un Musk che tra accelerazioni e retromarce aveva più volte accennato ad una sua Tesla affordable, ma che poi non ne ha fatto niente, ed attualmente è già abbastanza aggrovigliato nel lancio di un veicolo complesso come si sta rivelando il Cybertruck.
La lettura più appropriata dell’uscita della citycar elettrica di Stellantis, la prima di sette modelli che nasceranno sulla piattaforma Smart Car, è però forse un’altra, alla luce della realtà macro-economica globale: quella del successo che arride a chi riesce a lavorare per evitare il debito e con margini appropriati per ripararsi dagli imprevisti.
In questo senso non appare casuale che a presentare la “Citroën 2CV del 21° secolo” sia stato proprio il gruppo euro-americano a trazione francese che quest’estate il quotidiano finanziario La Tribune in prima pagina a caratteri cubitali sottolineava essere “le plus rentable du monde”.
Il gruppo auto più redditizio al mondo quindi, giustamente rilevando quanto difficile sia raggiungere margini sulle vendite in doppia cifra per un gruppo generalista come Stellantis: certo meno agevole che per un costruttore di nicchia come Ferrari, attestata al 24,1%. Nel novero delle doppie cifre sui margini come abbiamo visto Tesla non è riuscita a confermarsi, e questo incide e inciderà sulle aspettative verso l’azienda e il suo titolo.
Stellantis, con la sua doppia matrice PSA ed FCA sembra invece confermare quella cifra che ha contraddistinto i leader di ieri e di oggi, da Sergio Marchionne a Carlos Tavares, quest’ultimo capace di raddrizzare in pochi mesi anche un marchio perennemente in rosso come Opel.
Aver presentato per primi e realizzare per primi l’auto elettrica per tutti appare il risultato di questa impostazione, ma anche una assicurazione contro il clima economico attuale. Gli alti tassi di interesse, ormai a livelli record e senza più la effimera speranza che si trattasse di un fenomeno passeggero, sono uno scoglio che pesa e peserà sui tanti investimenti che la transizione richiede. Solo chi fa margini favorevoli e sa evitare il debito in questa fase sarà in grado di continuare a investire per non restare indietro.
Il mondo dei tassi alti a medio e lungo termine sta già falcidiando alcune startup della mobilità elettrica e delle batterie, confermando l’estrema fluidità dello scenario di chi produce e vende veicoli elettrici.
Non conta essere stati in passato un leader, come dimostra il caso Nissan: battistrada di settore con Leaf ma finita sugli scogli con l’accoglienza tiepida alla pur interessante Ariya, che in Italia in questi giorni ha visto il listino tagliato per la versione 63 kWh da €50.850 a €42.600 per smuovere il libro degli ordini.
Non conta nemmeno essere stati recenti “fenomeni” di crescita come appunto Tesla: perché anche quei “fenomeni” incontrano e si scontrano con chi cresce più di loro. Lo conferma il sorpasso in corso nelle vendite globali di auto elettriche della cinese BYD sulla casa di Musk.
Durante il sorpasso, e torniamo ai conti e ai bilanci, la crescita delle immatricolazioni per la società appoggiata dal miliardario Warren Buffett è stata contraddistinta da profitti in decollo: nell’ultimo trimestre del 2023 +142% nelle cifre preliminari, che seguono un primo semestre da +204,7% che si traduce in $1,5 miliardi.
L’auto elettrica accessibile come sarà la E-C3 e i modelli che la seguiranno (incluso in futuro uno promesso a meno di €20.000) apre a grandi volumi, relativi anche a segmenti che le case occidentali avevano quasi abbandonato per lasciarli a pochi modelli superstiti: ad esempio di Toyota. Quei prezzi alla portata di molte tasche sono una necessità tutta contemporanea.
Dall’Europa agli Stati Uniti la crescita dei prezzi medi delle auto nuove si è mossa in modo così sconsiderato che anche un quotidiano certo non ostile al capitale come il Wall Street Journal il 21 agosto titolava “Car Prices Might Be Unsustainable”, prendendo atto del crescente numero di rate dei finanziamenti non pagate, malgrado le auto agli americani costino normalmente meno che in Europa.
Una Europa che come l’America beneficia oggi malgrado tutto di un elevato livello di occupazione: ma come nel caso degli Stati Uniti sempre più importante anche qui è diventata la quota dei redditi bassi, tanto da ampliare anno dopo anno la platea dei working poor.
Se si aggiunge che la Vecchia Europa ha anche oggettivi problemi demografici con l’invecchiamento costante della popolazione, per un costruttore aprire la gamma elettrica a modelli adatti a un pubblico molto diverso da quello di 20 o 30 anni fa non è solo opportuno ma indispensabile, insieme a strategie di finanziamento agevolato che includono noleggi a lungo termine da €100 mensili, ormai richiesti anche dalla politica, ad esempio in Francia.
Una urgenza che si tradurrà anche nella possibilità di inserire quei modelli di auto elettrica accessibile nelle fabbriche garantendone la capacità ed evitando il rischio della sovra-produzione, una “peste” che da decenni è il peggior incubo dei manager dell’automotive.
Un incubo che periodicamente si ripropone, anche per chi era invidiato in un passato non così distante. Come nel caso Volkswagen, che fatica a riempire tutti i turni delle fabbriche impegnate a costruire auto della famiglia ID, ma ora persino Tesla, con Musk dichiaratamente intenzionato ad aspettare prima di avviare una nuova Gigafactory in Messico nel mezzo delle incertezze economiche attuali per evitare di trovarsi con fabbriche a mezzo servizio.