MATERIE PRIME

Ford fa il pieno di nichel con nuovi investimenti in Indonesia

In Indonesia i grandi gruppi attivi nell’auto, nelle batterie e loro filiere vengono spinti o obbligati agli investimenti per creare in fretta un’industria di trasformazione locale a partire dal nichel

Ford ha confermato che collaborerà direttamente con società minerarie indonesiane e cinesi, investendo in un progetto di lavorazione del nichel nel paese del Sud-est Asiatico nel quadro del rafforzamento della filiera delle materie prime chiave per le batterie dei veicoli elettrici.

Lo scorso luglio la casa di Dearborn aveva affermato di essersi assicurata il 100% della capacità della batteria di cui aveva bisogno fino al 2026 (quando intende arrivare alla capacità annua di produzione di 2 milioni di veicoli elettrici) e la responsabile di settore Lisa Drake aveva dichiarato: “abbiamo acquistato direttamente il nostro litio e nichel per scalare la produzione di batterie più rapidamente e mantenere i volumi e i costi più stabili nel tempo”. All’epoca era già stato fatto cenno al prendere in considerazione il progetto sul nichel ufficializzato questa settimana.

PT Vale Indonesia e la cinese Zhejiang Huayou Cobalt hanno annunciato che l’accordo con Ford prevede che tutte e tre le società assumano quote di partecipazione nel progetto Pomalaa Block che rappresenta un investimento complessivo di $4,5 miliardi, secondo i resoconti dei media locali.

Ma Ford non ha rivelato quanto sta investendo nel progetto che prevede lavorazioni High-Pressure Acid Leaching, o HPAL che consentono di lavorare miniere a bassa percentuale di nichel, con in passato più di una preoccupazione sui rischi ambientali dovuti ai grandi volumi di materiali trattati.

Secondo la casa l’accordo consente di garantire che il nichel venga estratto in linea con gli obiettivi di sostenibilità dell’azienda. In ogni caso la stessa presidenza del paese asiatico si sta muovendo perché non si ripetano casi di cattivo trattamento dell’ambiente circostante da parte delle industrie insediate.

Il progetto elaborerà il minerale proveniente da una miniera di PT Vale Indonesia per produrre precipitato di idrossido misto, meglio noto come MHP, prodotto da cui si ottiene nichel utilizzato nelle celle che muovono i veicoli elettrici. Le società hanno affermato che l’impresa dovrebbe iniziare le operazioni commerciali nel 2026 e potrebbe produrre fino a 120.000 tonnellate annue di MHP.

La casa auto ha dichiarato in una nota stampa che il progetto, combinato con un accordo di fornitura separato, sta lavorando con Huayou per un materiale catodico attivo necessario per realizzare batterie agli ioni di litio e contribuirà in modo significativo a sostenere i suoi obiettivi.

L’Indonesia non è tra gli oltre venti paesi con cui gli Stati Uniti condividono un accordo di libero scambio: Ford non vuole sorprese col minerale, ma di certo vorrà che i suoi veicoli elettrici possano beneficiare di sconti per i consumatori approvati nell’estate 2022 attraverso l’ormai conosciutissima legge Inflation Reduction Act.

Richiedono che le batterie siano costruite con almeno il 40% del valore dei loro minerali provenienti dagli Stati Uniti o da un paese con cui condivide un accordo di libero scambio, con la percentuale che aumenta ogni anno. Un accordo con il Giappone è stato annunciato all’inizio di questa settimana e viene da chiedersi se l’Indonesia sia il prossimo.

Come è ormai evidente Ford non si è certo mossa da sola per rendere sicure le forniture di componenti per veicoli elettrici e le materie prime necessarie per realizzarli. E non solo gruppi auto, da Tesla a Volkswagen, o delle batterie ma sempre più spesso anche fornitori intermedi lavorano per rendere la supply chain stabile e priva di colli di bottiglia.

Uno dei colossi coreani dei materiali attivi per gli elettrodi delle celle, EcoPro, ieri durante l’assemblea degli azionisti ha dichiarato che prevede di investire per essere coinvolta direttamente nell’approvvigionamento di materiali utilizzati nella produzione di batterie. E a lungo termine vuole investire nelle miniere stesse. Ciò comporta che EcoPro diventerà concorrente diretto di altre imprese di settore coreane come Korea Zinc, LG Chem e Posco.

I movimenti rapidi della filiera della mobilità elettrica peraltro in pochi casi hanno tanti sussulti e creano nuovi business come in Indonesia, che negli ultimi mesi per attività e dinamismo rivaleggia con l’ingombrante colosso economico cinese.

Se non è un paese arcinoto per la manifattura innovativa, proprio l’Indonesia sta cercando di uscire al galoppo con grandi investimenti dal ruolo di nazione di materie prime per diventare un paese trasformatore, iniziando dai suoi più noti asset, come appunto il nichel.

Come recentemente ha fatto notare il sito dedicato al settore estrattivo Mining.com, il valore delle esportazioni di nichel dell’Indonesia è aumentato di dieci volte in cinque anni, dopo aver costretto gli acquirenti a creare raffinerie nel paese vietando nel 2020 le esportazioni di minerale. Le esportazioni di prodotti indonesiani in nichel valevano 30 miliardi di dollari l’anno scorso, più di dieci volte quello che erano nel 2013.

Le fonderie di nichel sono spuntate in tutto il paese e i produttori di batterie o loro componenti (e come sappiamo per le celle NCM ad alte prestazioni di questo minerale non si può fare a meno), lì stanno costruendo fabbriche.

Il 17 gennaio scorso un funzionario dell’esecutivo ha dichiarato che il governo era vicino a siglare accordi con i due maggiori produttori mondiali di veicoli elettrici Tesla e BYD per costruire auto in Indonesia e sembra che i cinesi precederanno Elon Musk.

Coi progressi recenti visti nel nichel e suoi derivati, il governo sta ora pensando oltre questo minerale. L’obiettivo è raddoppiare il PIL pro capite a $10.000 entro il 2045, il che porterebbe l’Indonesia vicino alla soglia di alto reddito della Banca Mondiale. Allo stesso tempo, il cambiamento creerebbe nuovi centri di crescita al di fuori di Giava, la sua isola più ricca e popolata.

Il presidente Joko Widodo indica come modelli economici Taiwan e la Corea del Sud, due delle poche nazioni che sono riuscite a sfuggire alla cosiddetta trappola del reddito medio costruendo produzione e aumentando la produttività. Per decenni l’Indonesia ha invece fatto affidamento sulle esportazioni di materie prime dovendo quindi sopportare cicli e saliscendi, attraendo investimenti nel settore minerario durante i periodi di boom, ma soffrendo e molto ogni volta che i prezzi delle materie prime sono crollati.

Passare alla trasformazione del nichel ha già permesso agli economisti dell’Indonesia di fare i primi conti: nella regione di North Maluku, gli investimenti nella raffinazione del nichel hanno ampliato l’economia della provincia del 29% l’anno scorso.

“Le aziende hanno estratto nichel lì per decenni, ma è solo ora che vediamo questa crescita massiccia”, ha detto il ministro degli Investimenti Bahlil Lahadalia. “Con la crescita, arrivano i posti di lavoro. Le persone non devono più andare a Java per cercare buoni lavori”.

La strategia indonesiana sembra ormai diventare un nazionalismo delle risorse, che nella storia non ha sempre dato risultati eclatanti ai governi che ci hanno provato, dalla Persia degli Anni ’50 al Messico degli Anni ’40. Dopo il nichel in effetti in Indonesia ci vorrebbero provare anche con la bauxite e creare una prospera industria locale dell’alluminio.

Il presidente Widodo, meglio noto in patria come Jokowi, afferma che i problemi iniziali che si stanno verificando col divieto di esportazione applicato al minerale alla fine porterà a triplicare le entrate a base di bauxite. Il governo ha suggerito che un divieto sulle esportazioni di rame potrebbe essere implementato in seguito, con divieti sulle esportazioni di stagno e oro a seguire.

Ma non è detto che la possibilità di fare leva nel mercato globale del nichel dovuta al boom dell’auto elettrica, in un paese che ne produce il 37% del totale mondiale sia replicabile anche con la produzione di bauxite, oro e rame: in questo caso l’Indonesia conta per una quota inferiore al 5% del totale globale.

Così se la politica ha spinto le aziende cinesi a fare gli investimenti per costruire fonderie di nichel e siti di raffinazione in Indonesia, quando in passato un analogo divieto era stato messo in campo gli acquirenti cinesi di bauxite erano passati a servirsi in Guinea e Australia.

L’Indonesia peraltro attira le nuove fonderie e siti di raffinazione del nichel promettendo una “vacanza fiscale” decennale, uno sconto sulle royalties minerarie ed esenzioni sui dazi all’esportazione. Costringe anche le imprese del nichel a vendere loro minerale al di sotto del tasso di mercato.

Forse anche gli smelter per la bauxite avranno un trattamento altrettanto generoso, anche se l’alluminio non ha l’importanza strategica del nichel, ma questi impianti sono più costosi e più difficili da costruire rispetto alle fonderie di nichel e per ora gli investimenti sono tutti cinesi, e il paese rischia di aumentare la sua dipendenza economica dalla Cina.

Il nazionalismo delle risorse dell’Indonesia comporta anche rischi legali: l’Organizzazione Mondiale del Commercio si è da poco pronunciata a favore del reclamo dell’Unione Europea contro il divieto di esportazione di minerale di nichel. Jokowi ha promesso di appellarsi alla sentenza e si è rifiutato di cambiare la sua politica, per ora.

Credito foto di apertura: sito web PT Vale Indonesia