L’idrogeno verde, tra nuovi corridoi mediterranei e progetti naufragati
In Svizzera Hyundai blocca il programma che doveva mettere in strada 1.600 camion fuel cell e in Inghilterra le stazioni di rifornimento chiudono: ma il primo gasdotto europeo nato in tempo di guerra punta proprio sull’idrogeno verde
Se si guarda alle novità proposte in questi giorni dall’ultimo Salone Auto di Parigi, non è difficile trovare chi abbia presentato l’idrogeno come una tecnologia dal brillante futuro per modelli che hanno saputo attirare l’attenzione.
In particolare da parte del gruppo Renault, che ha svelato progetti come il concept sportivo Alpenglow, in cui l’idrogeno verde sarà possibile combustibile per le auto sportive e da competizione di fine Anni ’20 e anche più in là. Inoltre Renault ha presentato il modello di produzione del furgone Master H2-Tech, frutto del lavoro della joint venture Hyvia concentrata proprio su questa tecnologia.
Ma questa settimana si è segnalata anche per vistosi ostacoli e imprevisti che appaiono destinati a rallentare la crescita di un settore in cui sono ancora da chiarire perfino ruoli e primato delle varie componenti, tra veicoli passeggeri e commerciali, industria dei trasporti, settori energivori.
Il segnale più inquietante arriva dalla Svizzera, dove uno dei progetti più ambiziosi e promettenti per i veicoli commerciali spinti da sistemi fuel cell ha subito una grave battuta d’arresto, come ha dettagliatamente riferito la stampa specializzata locale: in pratica Hyundai sta interrompendo il progetto sui camion Xcient Fuel Cell.
Il motivo addotto risiede nei prezzi dell’energia estremamente fluttuanti, ha confermato il CEO di Hyundai Svizzera Beat Hirschi alla rivista di settore trans aktuell. Perciò i contratti per camion alimentati ad idrogeno verde che stavano per essere consegnati (si puntava secondo i progetti a 1.600 esemplari entro il 2025) sono stati annullati, come un fulmine a ciel sereno.
Hyundai ha deciso di proseguire il programma pay per use per i primi 47 veicoli commerciali che erano già stato consegnati e che stanno già circolando già sulle strade della Confederazione.
Ma non si sa a questo punto se la prosecuzione sia una buona notizia o meno per la clientela, visto che il problema risiede nelle carente disponibilità di idrogeno verde, l’unico carburante che potrebbe rendere questi mezzi davvero sostenibili, se originati da energie rinnovabili.
Ma i prezzi dell’energia estremamente volatili hanno sconvolto la percorribilità del business plan dei coreani, rendendo un potenziale autogol rispettare i termini contrattuali fissati di otto anni. Peraltro gli esemplari destinati alla Svizzera saranno ora messi in vendita in Germania.
A nord del confine svizzero potranno, secondo i contratti locali, funzionare con idrogeno grigio, ovvero derivato da combustibili fossili, con un beneficio ambientale ampiamente mortificato rispetto ai progetti incentrati sull’idrogeno verde.
In poche parole la Svizzera e il rapporto con la società H2 Energy non saranno più la punta di diamante della precedente strategia europea di Hyundai sull’idrogeno, e sulla convinzione dei coreani per le prospettive commerciali del settore continuano ad aleggiare i dubbi.
Per garantire il traffico dei camion erano state messe in moto anche società dell’energia per realizzare una infrastruttuta adeguata sostenuta da idrogeno ottenuto da virtuosi elettrolizzatori.
E tuttavia la costosa rete delle stazioni di servizio di idrogeno stava crescendo abbastanza lentamente, cosa non sorprendente perché anche in un paese che ha fortemente appoggiato la tecnologia come la Corea del Sud i ritardi di infrastruttura sono un problema noto.
Le nubi di crisi sull’economia globale in genere ed europea in particolare del resto stanno complicando la vita a filiere secolari, possiamo immaginare l’effetto su settori agli albori come questo.
Nella stessa Svizzera, tra l’altro, un progetto che poteva contribuire a creare idrogeno verde anche per i camion Hyundai è appena saltato: Axpo ha fermato una struttura di elettrolizzatori da 2.5MW a Eglisau-Glattfeld che doveva sfruttare la centrale idroelettrica locale.
Ma la popolazione locale ha respinto l’ipotesi di ingrandire l’impianto esistente per far posto al polo produttivo di idrogeno: insomma le popolazioni non dicono no solo ai rigassificatori, ma anche a ciò che dovrebbe consentire di fare a meno delle energie convenzionali.
Così non sorprende troppo che gruppi dell’energia che hanno già investito in alternative al settore tradizioale come le colonnine di ricarica oppure le postazioni di rifornimento di idrogeno stia ricalibrando la loro infrastruttura che dovrebbe sostenere la diffusione di veicoli fuel cell.
E` proprio quello che sta facendo il gruppo Shell nel Regno Unito. Il gruppo ha chiuso tutte le sue stazioni di rifornimento di idrogeno su uno dei suoi maggior mercati, affermando che la tecnologia-prototipo impiegata in queste stazioni aveva raggiunto la fine del suo ciclo di vita.
Shell disponeva di strutture col suo marchio all’aeroporto di Gatwick, a Cobham e Beaconsfield, ma in effetti gestiti dal partner Motive, di proprietà del produttore britannico di elettrolizzatori ITM Power, ma rivelatesi non redditizie per le poche auto a idrogeno circolanti, nonostante il gestore ci abbia investito oltre due milioni di sterline l’anno. Così oggi restano solo undici stazioni pubbliche di rifornimento di idrogeno aperte nel Regno Unito.
Secondo l’operatore Motive, i siti sono anche troppo piccoli per essere aggiornati per veicoli più grandi e tecnologie future. E questo potrebbe essere, rispetto a quanto avvenuto in Svizzera, un segnale che alcuni operatori credono nonostante tutto che per i veicoli commerciali a idrogeno lo spazio di crescita ci sia ancora: Shell stessa pare interressata a esplorare le opportunità per costruire hub multimodali per autocarri pesanti nel Regno Unito.
In sintesi, le difficoltà che investono quasi tutti i settori in questi difficili e travagliati mesi, sembrano particolarmente critiche per una tecnologia che, per essere considerata comune, ha ancora più terreno da recuperare rispetto anche all’auto elettrica.
Ma che ci sia ancora spazio per l’idrogeno verde, se non nell’immediato nel medio e lungo termine, sembrano crederlo in tanti. A cominciare da alcuni esecutivi europei, come quelli di Francia, Spagna e Portogallo.
Infatti i tre governi nelle scorse ore hanno deciso di mettere definitivamente in soffitta il progetto del gasdotto MidCat da far passare per i Pirenei, progetto difficilmente digeribile per molte regioni potenzialmente interessate, specie sul versante francese.
Ma hanno deciso di sostenere (ai primi di dicembre ad Alicante probabilmente lo approveranno e decideranno i finanziamenti) un gasdotto che passerà nel Mediterraneo, collegando Barcellona e Marsiglia.
L’aspetto interessante è che Parigi, Madrid e Lisbona hanno approvato non un gasdotto convenzionale, ma un progetto (il BarMar) che dovrà portare lungo 360 chilometri sottomarini idrogeno verde prodotto grazie alle rinnovabili della penisola iberica verso il grande porto della Provenza: nel periodo iniziale di vita dell’infrastruttura peraltro, vista la crisi dell’energia, sarà utilizzata anche per trasportare gas naturale, fino a quando la transizione alla molecola più sostenibile non sarà completata.
Insomma c’è appoggio politico a un corridoio di energia verde per il futuro, il che fa pensare che questa tecnologia la renderà disponibile per una economia più sostenibile. Se saranno metri cubi di gas che finiranno a spingere i veicoli commerciali sulle autostrade del continente e il settore dei trasporti in genere, oppure alimenteranno acciaierie o industrie energivore, è una questione aperta.