AUTO

Sui richiami anche GM deve seguire l’esempio Hyundai

Sulle Chevy Bolt EV prima versione non erano state sostituite le celle LG Chem come avvenuto per i clienti di Kona e Ioniq; ma procrastinare e “cura del software” non è servito: nuove batterie su 68.000 elettriche americane

General Motors da ieri sta richiamando migliaia di Chevrolet Bolt prima generazione (costruite in America ma vendute anche in Europa come Opel Ampera) per la seconda volta in meno di un anno: per il potenziale rischio di incendio dovuto a fenomeni di thermal runaway riguardanti le celle di queste elettriche pure.

A costringere la casa di Detroit al nuovo richiamo sono stati altri due recenti incendi di Bolt EV regolarmente parcheggiate, non coinvolte in impatti o incidenti. GM ha dovuto confermare alla stampa specializzata americana che almeno uno degli incendi ha riguardato un modello che era stato già sottoposto ai precedenti richiami.

Il punto è che la casa americana aveva proceduto a richiamo con interventi soltanto sul software. Ma questa volta al richiamo in corso che riguarda i model year dal 2017, come quella della foto di apertura, al 2019, riguarderà 68.000 veicoli, di cui 50.925 americani e altre vendute in Asia ed Europa. Tutti i veicoli erano equipaggiati con celle costruite nell’impianto di Ochang, in Corea del Sud, appartenente al produttore LG Chem, che dallo scorso anno si chiama LG Energy Solution.

“Come parte dell’impegno GM verso la sicurezza, esperti di GM e LG hanno identificato la presenza simultanea di due rari difetti di manifattura nelle stesse celle come causa originaria di incendi alle batterie di talune Chevrolet Bolt EV”, recita la nota ufficiale.

La cosa importante e sostanziale è che dopo aver puntato i piedi col primo richiamo, contando sulla possibilità di riparare al difetto con interventi via software come era stato affermato la scorsa primavera, questa volta GM (ed LG Chem), interverranno sostituendo i moduli difettosi nella gamma interessata dai richiami. In pratica un bagno di sangue economico, considerando quanto costerà ai partner sostituire le celle di 68.000 auto.

E un bagno di sangue a cui era già stata sottoposta Hyundai che aveva vissuto lo stesso problema con delle Kona EV preda delle fiamme in parcheggi o peggio garage. Il gruppo coreano aveva, al contrario di GM, deciso di sostituire le celle degli 82.000 modelli interessati (oltre a Kona EV, Ioniq ed autobus elettrici Elec City), rinunciando alla scorciatoia della riparazione via software. Invece tentata da GM ma, come abbiamo visto, con esito finale negativo e utile solo per rinviare il salasso dei prossimi richiami.

In Corea del Sud la via crucis di Hyundai e LG Chem oltre a creare confronti sull’onere economico aveva a lungo suscitato interrogativi sulla spiegazione di una tale debacle. Inizialmente sembrava che la radice del problema fosse da identificare nei separatori che dividono gli elettrodi: ma in seguito questa ipotesi è stata scartata.

La causa più verosimile viene attribuita alle linguette che connettono le celle (e che saranno assenti nelle celle cilindriche di grande formato 4860 appunto definite tabless), che peraltro nelle Hyundai e nelle Chevy sono dovute a impianti del tutto indipendenti gli uni dagli altri. GM non ha confermato che questa sia in effetti la ragione, anche perché ha menzionato due difetti contemporanei nella manifattura: la curiosità resta quindi inappagata.

Mentre scalpitano per l’intervento delle officine, i proprietari delle Bolt EV di prima generazione dovranno usare il dispositivo di ricarica al massimo al 90% della capacità; è loro consigliato di ricaricare le batterie dopo ogni uso e di evitare di scendere sotto le 70 miglia (112 chilometri) di autonomia minima; dovranno parcheggiare fuori il veicolo dopo le ricariche ed evitare quelle notturne; infine chi non ha ricevuto l’aggiornamento alla diagnostica da maggio in poi dovrebbe anche subito rivolgersi all’assistenza per evitare rischi attendendo la sostituzione dei moduli.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Chevrolet