Il “Carbon Border Adjustment Mechanism” per aiutare le Gigafactory d’Europa
Tra le iniziative della UE per equilibrare il confronto sulla sostenibilità della manifattura, una sulla CO2 per ridurre la dipendenza dalle importazioni creando ulteriore occupazione
Uno dei temi affrontati dal presidente Ursula von der Leyen nel suo discorso di ieri a Bruxelles potrebbe avere effetti pratici particolarmente importanti per l’industria auto e quella delle batterie. Non ci riferiamo qui all’intenzione (su cui torneremo) della Commissione europea di aumentare l’obiettivo di riduzione delle emissioni 2030 almeno al 55%.
Ci riferiamo al piano di implementare un Carbon Border Adjustment Mechanism. Un nome forse ostico per una delle 44 iniziative inserite nel Green Deal che si tradurrebbe nel tassare le importazioni che provengono da fonti che non si fanno scrupoli sulle emissioni clima-alteranti.
Ha detto il presidente della Commissione: “Il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera dovrebbe motivare i produttori stranieri e gli importatori dell’UE a ridurre le emissioni di carbonio, garantendo nel contempo pari condizioni di concorrenza in modo compatibile con il WTO”.
In passato una delle critiche alle auto elettriche in particolare da parte dei settori ultra-conservatori dell’economia e dell’industria, ha riguardato l’origine di alcuni componenti essenziali dei veicoli a zero emissioni locali, emissioni che possono non essere tali là dove si produce magari materia prima, oppure sostanze chimiche, elettroliti, anodi, catodi. Talvolta in fabbriche alimentate da energia elettrica non verde, specie in Asia.
Questo tipo di critiche si è trasformato in una sempre maggiore caccia alla trasparenza dell’industria dell’auto e delle batterie nella filiera produttiva. In particolare per quanto riguarda il ciclo di vita completo di un veicolo elettrico (analisi cosiddetta LCA).
A fronte di opinioni molto pubblicizzate ma basate su dati traballanti che sostengono che l’impronta ambientale di un veicolo elettrico sia maggiore di quella di uno alimentato a gasolio, non c’è stato solo debunking convincente, ma sempre maggiore sforzo da parte dell’industria.
La divisione elettrica Polestar, che fa capo a Volvo, per la sua nuova vettura ha deciso di mostrare le cifre dell’impatto sul clima perché, come ha commentato il CEO Thomas Ingenlath “i costruttori non sono stati chiari in passato coi consumatori sull’impatto ambientale dei loro prodotti”.
Secondo la metodologia impiegata la Polestar 2 lascia la linea di montaggio con un’impronta di 26 tonnellate di CO2 equivalente. Confrontata ad una Volvo XC40 a benzina che ne produce 14, ha pertanto un’impronta maggiore sull’ambiente nelle fasi più energivore della manifattura, in particolare proprio per le batterie.
Ma una volta lasciata la fabbrica se ricaricata da energia rinnovabile dopo 50.000 chilometri l’auto convenzionale è superata quanto a impronta sull’ambiente. Va tenuto presente che le Polestar 2 sono progettate in Svezia ma costruite in Cina (a Luquiao) con una capillare attenzione alla filiera della fornitura, inclusa l’energia verde con cui sono prodotte le batterie.
Insomma si può ben dire che Polestar giochi ad armi pari con le case che producono qui. Ma non è scontato con le regole attuali che un produttore non possa portare sul mercato europeo prodotti con meno attenzione alla filiera e meno riguardo per gli obiettivi di de-carbonizzazione.
Una tentazione che per un gruppo auto potrebbe esserci specialmente per veicoli di piccole dimensioni da vendere a prezzi molto abbordabili. Con una erosione alle quote specie delle marche generaliste, che si devono da sempre battere per margini contenuti. La guerra dei prezzi si è già vista nel settore fotovoltaico e non è finita bene per la manifattura europea.
La manifattura europea delle batterie è appena stata rilanciata, mentre i grandi produttori di batterie hanno già da tempo spostato parte della loro produzione in Europa, in particolare in quella centrale ma più di recente anche in Francia.
Il fatto che da parte dell’Unione Europea si giunga a fissare un Carbon Border Adjustment Mechanism avrebbe ripercussioni significative nell’ambito della produzione auto perché renderebbe poco conveniente fare ricorso a celle e prodotti provenienti dall’Asia.
Se la tassazione europea sulla CO2 dovesse equilibrare i prezzi dei prodotti asiatici rispetto alle celle prodotte in Europa questo incoraggerà ulteriormente lo sviluppo di un settore che, secondo la società di consulenza britannica RhoMotion, passerà da una capacità 2018 di 21 GWh a 207 GWh nel 2028.
Il Carbon Border Adjustment Mechanism potrebbe quindi dare un altro supporto agli obiettivi continentali di ridurre la dipendenza dalle importazioni di tecnologia ed energia, creando ulteriore occupazione, il tutto all’insegna della sostenibilità.