POLICY

Bruxelles col Carbon Border Adjustment Mechanism protegge le batterie

Nel pacchetto sul clima della Commissione Europea, non c’è forse misura meno decisiva per la strategica manifattura continentale delle batterie del meccanismo di tassazione delle emissioni sui prodotti importati dal 2023

Il pacchetto di nuove misure Fit for 55 mirato a contenere il cambiamento climatico e appena presentato dalla Commissione Europea, guardato attraverso la lente d’ingrandimento dell’industria dell’auto e delle batterie ha chiare implicazioni: se approvate da istituzioni continentali e dagli stati membri, l’accelerata alla crescita del settore sarà sostanziale.

In Germania, primo mercato dell’auto con la presa, pochi giorni fa il ministro dell’Economia Peter Altmaier aveva segnalato come il ritmo attuale di diffusione di veicoli a zero emissioni locali si tradurrebbe in 14 milioni di auto elettriche sulle strade tedesche nel 2030, un 40% in più di quanto l’esecutivo avesse previsto nelle sue stime precedenti.

Con i tagli alle emissioni che dovrebbero passare dall’attuale 37,5% al 55% entro il 2030, quella stima dovrà con ogni probabilità essere rivista al rialzo e quindi la richiesta, inclusa nel pacchetto della Commissione Europea, di pretendere che il taglio delle emissioni dei veicoli passeggeri nel 2035 sia del 100%, come dire che tutte le vetture siano a zero emissioni, sembra destinata ad essere più una presa d’atto del movimento del mercato e del settore in questa direzione, piuttosto un traguardo provocatorio.

Ovviamente la spinta verso la sostenibilità non permette di nascondere che ci siano rischi nella fase di transizione. In particolare che manifattura e produzioni ad alta intensità di energia e potenzialmente di emissioni rendano le imprese e la tecnologia europea meno competitive, incoraggiando lo spostamento di produzioni verso paesi più arretrati nel combattere il cambiamento climatico.

Questo ovviamente al clima non farebbe affatto bene, come non ha fatto bene in passato la de-industrializzazione che ha generato l’effetto del “carbon leakage” il trasferimento delle produzioni inquinanti in paesi in via di sviluppo. In passato, a partire dagli Anni ’90, questo ha fatto sì che in assenza di un prezzo globale alle emissioni aziende si siano trovate a fronteggiare rivali che producevano a costi inferiori grazie al ricorso, ad esempio, ad energia molto poco verde.

Evitare questo è quello a cui è destinato il Carbon Border Adjustment Mechanism, uno schema di cui si parla insistentemente dallo scorso anno e che sarà di estrema importanza nel sostenere la competitività delle Gigafactory di batterie europee rispetto alla concorrenza di produttori di celle di paesi emergenti.

Il meccanismo è essenziale perché, come noto, nel ciclo di vita completo delle emissioni di un’auto elettrica la fase di produzione della batteria è quella che più pesa dal punto di vista dell’impatto sul clima.

Numerosi gruppi auto europei si sono già mossi per chiedere ai fornitori di celle che, anche quando prodotte in paesi in cui l’energia elettrica ha una generazione prevalentemente da carbone come in Ungheria o Polonia, si approvvigionino di energia da rinnovabili nei loro siti produttivi.

Attraverso l’introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism la Commissione intende evitare che in futuro questa scelta delle case auto riguardante batterie ed altre forniture sia resa meno scontata dall’offerta di prodotto a basso prezzo grazie a produzioni a elevato impatto sul clima in paesi che non privilegiano elevati standard.

Nella pratica, ai confini dell’Unione Europea scatterà una tassa sulle aziende non-Europee che emettono di più coi loro prodotti, dalle batterie al tondino di acciaio, rispetto a concorrenti basate nel Vecchio Continente. Il Carbon Border Adjustment Mechanism potrebbe generare €9 miliardi entro il 2030, da un importo minimale a iniziare dal 2023, fondi che saranno utilizzati per compensare le uscite del recovery fund.

I primi settori ad essere interessati saranno certamente acciaio, cemento, fertilizzanti, provenienti da paesi come Russia e Cina. C’è già chi ha fatto i conti e, secondo il Korea Institute for International Economic Policy, con una tariffa di €30 ogni tonnellata di CO2 la produzione del paese asiatico sarebbe toccata dall’equivalente di una imposta aggiuntiva di circa l’1,9%, che nel 2030 si tradurrebbe in $1,061 miliardi.

L’effetto su prodotti a basso valore aggiunto sarà sui prezzi prevalentemente. Ma su prodotti a maggior valore aggiunto sarà di favorire la localizzazione delle produzioni in Europa: e questo vale in particolare nel caso dei componenti delle auto elettriche a cominciare dalle celle, che sono il loro cuore.

Al contrario di quanto visto con la deindustrializzazione passata, gruppi asiatici delle batterie avranno ancora più incentivi a creare siti produttivi in Europa, accorciando la filiera, che non avranno problemi di competitività con la produzione asiatica proprio grazie alla presenza di una barriera doganale che bloccherà il dumping di un prodotto concorrente realizzato con livelli di emissioni superiori a quelle generate dal concorrente europeo.

Credito foto di apertura: ufficio stampa BMW Group