Gli investimenti nell’auto sostenibile in Europa hanno superato quelli in Cina
Spinti dalle politiche sulle emissioni, nel 2019 case auto e delle batterie hanno riversato 3,5 volte più capitali in progetti del vecchio continente rispetto a quelli affluiti sul primo mercato globale
La ONG ambientalista T&E (Transport&Environment) ha pubblicato un’analisi aggiornata sui flussi di investimenti nell’auto sostenibile che hanno avuto luogo negli anni più recenti in Europa ed in Cina.
I numeri suggeriscono che i livelli di capex affrontati dai gruppi auto e da quelli delle batterie renderebbero un suicidio economico ogni ipotesi di marcia indietro rispetto alla scelta di una manifattura basata sulla rincorsa alle zero emissioni come risposta alla crisi seguente alla pandemia.
Nei dodici mesi precedenti la metà del 2018, in Europa si erano registrati €3,2 miliardi di investimenti privati e pubblici nel settore dell’auto elettrica, rispetto ai €22 della Cina. Nel 2019 quelle cifre erano diventate €60 miliardi per l’Europa e €17,1 per la Cina.
Le normative dell’Unione Europea sulle emissioni, che dal 1 gennaio 2020 prevedono un percorso obbligatorio verso il livello medio di 95 grammi di CO2 per chilometro (con adeguamenti peculiari per ogni gruppo auto), hanno sostanzialmente reso obbligatoria la svolta sostenibile per la manifattura di settore, è la valutazione di Saul Lopez e-mobility manager di T&E.
Secondo le cifre in Europa si è investito 3,5 volte più che in Cina su auto elettriche e batterie. Un segnale che il continente non è così definitivamente incamminato sulla strada dell’irrilevanza in un settore innovativo.
Anche se non tutti gli investimenti sull’auto sostenibile provengono dall’Europa: a fronte di un impegno sostanziale ad esempio del gruppo Volkswagen e uno pubblico dell’Unione Europea (per avviare l’Airbus delle batterie), tra i primissimi invstitori dell’infografica T&E si notano molto bene la cinese CATL e l’americana Tesla.
Anche alla luce di questo trend, secondo T&E, “ogni tipo di aiuto post-covid deve capitalizzare su questi investimenti. Il successo nel mercato dell’auto elettrica è oggi la politica industriale dell’Europa e i decisori politici devono fare la loro parte, condizionando i piani di salvataggio al sostegno di una ripresa verde che dia la priorità alla produzione di veicoli del futuro come richiesto dal Green Deal europeo”.
Il processo di transizione all’auto elettrica e il corposo cartellino del prezzo che questo richiede ha indotto più di un analista a domandarsi quali strade possano prendere i gruppi auto alla luce degli effetti della pandemia. Una è il rafforzamento delle collaborazioni tra case, come suggerito dai casi di Volkswagen e Ford, e dalla imminente revisione dei rapporti nell’Alleanza franco-giapponese.
Ma c’è anche chi ritiene, come ha suggerito l’analista Michael Schmidt al Financial Times, che ora ci siano più incentivi a servirsi di piattaforme studiate per i modelli elettrici da grandi gruppi della fornitura come Bosch o Magna International. Ne abbiamo già visto i primi esempi, come nel caso della una collaborazione tra Magna e Jaguar per la I-pace.
C’è anche chi considera probabile il nascere di un’intensa attrazione da parte dei gruppi auto anche per piccole startup dedicatesi all’auto elettrica, che potrebbero condividere pianali per aumentare la scala e tagliare i costi.
L’israeliana REE, che collabora tra le altre con Mitsubishi, FCA e Hino, pochi giorni fa ha stretto un accordo di collaborazione con l’azienda specializzata in sospensioni KYB, che servirà a perfezionare una piattaforma multi-modale.
Ma non tutte le possibilità si trasformano in prodotti: è ancora recente il caso di Lincoln, marca del gruppo Ford, che ha fatto marcia indietro rispetto alla collaborazione con la startup dei pickup elettrici Rivian.
Malgrado Ford abbia investito nel capitale di quest’ultima il primo prodotto Lincoln al 100% elettrico non condividerà un pianale Rivian ma ne avrà uno sviluppato in-house.