OPINIONI

Siamo all’inizio della disillusione per la guida autonoma o sulla soglia del suo decollo?

I nuovi settori devono superare la trappola dell’hype, dell’esagerazione: se l’auto elettrica pare uscire dalla zona-pericolo, ora il bagno di umiltà tocca alla guida autonoma

Nel 2017 Vaclav Smil, professore canadese esperto di ambiente e notorio scettico sulle possibilità di una rapida transizione all’energia rinnovabile, ha scritto un articolo sulla rivista scientifica Spectrum nel quale ha fatto un pungente riepilogo di previsioni ottimistiche, e sbagliate, sulla diffusione delle auto elettriche.

Un report degli analisti di Deutsche Bank del 2008 ipotizzava un 7% di quota per le auto elettriche sul mercato americano nel 2016, anno per il quale la rivista Bloomberg Businessweek propendeva per un 6%. Il numero reale era un più modesto 0,9% sugli oltre 17 milioni e mezzo di auto vendute quell’anno.

L’ex-presidente americano Barack Obama nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2011 auspicava un milione di auto a zero emissioni sulle strade americane già called nel 2015, quando un report del dipartimento federale per l’energia supponeva che le linee produttive sarebbero state in grado di sfornare 1,2 milioni di veicoli.

La cifra di auto elettriche sulle strade al 2015 in effetti è stata però di soli 410.000 veicoli. Le previsioni ottimistiche sulle auto elettriche non paiono essere un caso isolato o un abbaglio tipico di persone con mentalità da tree-hugger.

Quelle previsioni incaute o azzardate sui tempi di affermazione della mobilità elettrica, guardate con maggior distacco, non sono necessariamente parte di una allucinazione collettiva, ma di un ciclo che riguarda un numero crescente di svolte tecnologiche e non esclusivamente afferenti al settore dell’auto.

C’è una fase nella quale le previsioni tendono ad ampliare molto sia in quantità che in qualità il potenziale della tecnologia candidata ad imporsi. Il che di rado avviene, anche perché a fasi in cui il picco l’ottimismo sfonda tutti i tetti seguono scivolate verso la sfiducia, anche esagerata. Entrambe le fasi sono quindi pro-cicliche.

Ma proprio il limite minimo di sfiducia e pessimismo tende a quel punto a sottostimare il potenziale. Così, mentre prendiamo atto che le previsioni più vecchie non di rado sono le più imprecise, oggi sappiamo che nell’agosto 2018 è stata superata la barriera dei 4 milioni di veicoli elettrificati sulle strade del pianeta e che il prossimo sarà varcata quella dei 5.

Quanto alla percentuale di auto elettriche sulle vendite americane, l’incremento della produzione (soprattutto della californiana Tesla), sta portando in questo 2018 la quota che nel 2016 era dello 0,9% ad un verosimile 1,5% annuale: una crescita rispettabile anche tenendo conto che il totale delle vendite sarà secondo ogni stima inferiore a quello di due anni fa.

Mike Ramsey, che ha compilato per la società di consulenza Gartner un recente studio sull’auto a guida autonoma (Hype Cycle For Connected Vehicles and Smart Mobility), non esita a indicare che anche il fenomeno autonomous vehicle stia scivolando verso il fondo della fase di disillusione di un ciclo che ha l’aspetto di montagne russe sulle quali si possono distribuire settori in base alla loro (im)maturità.

Come Ramsey ha scritto in un articolo per Forbes, “l’idea è che le tecnologie siano soggette a hype molto prima del loro effettivo impatto“: ovvero prima che raggiungano quella maturità che le renda efficaci applicate alle necessità della vita reale.

Quello che avviene quando l’atteggiamento (pubblicitario più che concreto) e la realtà si scontrano è creare un effetto schumpeteriano sul settore, sulle aziende, sui fornitori, che porta ad uno scenario di consolidamento.

Un fenomeno che nel caso dell’auto elettrica si è evidenziato in particolare con l’esodo di molti gruppi auto dalla produzione di batterie delegata solo a fornitori, ma anche in taluni casi, come nel progetto della Chevrolet Bolt, con una delega quasi in bianco a progettisti e specialisti coreani.

Molto spesso, è la logica di Ramsey, in questi cicli che riguardano i settori tecnologici l’inizio della fase di consolidamento segue alcuni episodi eclatanti che sembrano segnare il picco dell’ottimismo.

Probabilmente i momenti più evidenti della rincorsa senza freni al primato nell’auto a guida autonoma sono stati l’acquisto di Mobileye da parte di Intel e l’ingresso di nuTonomy in Delphi.

Si tratta di momenti che appaiono mettere una bandierina sul picco dell’ottimismo: il che implica che dopo i capitali diventano molto più esigenti nel scegliere gli investimenti. Non tutte le società promettenti, non tutte le startup sono delle Mobileye o delle nuTonomy.

Addirittura, col passare del tempo, gli investitori possono cominciare a scalpitare. Il che spiega perché ora li vediamo suggerire anche a colossi come Uber di uscire da un settore come quello della guida autonoma proprio mentre altri competitor, come Waymo o General Motors, si avvicinano sempre più a varcare la soglia dell’impiego commerciale.

Un recente articolo dell’agenzia Bloomberg ha ripercorso la traiettoria di una delle più chiacchierate speranze del settore della guida autonoma: Quanergy (startup americana affermatasi promettendo di lanciare super-economici LiDAR allo stato solido per sostituire i costosi modelli meccanici). Un ottimo esempio dell’impazienza che comincia a manifestarsi.

In una fase come l’attuale, di una tecnologia come il LiDAR (definito da alcuni il Graal della guida autonoma) viene inquadrato in modo più preciso il momento in cui i ricavi dovrebbero far seguito all’esborso in ricerca e sviluppo.

Man mano l’atmosfera attorno ad una tecnologia diventa meno ottimistica a senso unico, per gli investitori quel momento sembra non arrivare mai troppo presto.

A settembre 2014 la società di Sunnyvale (farcita di fondi di venture capital, ottenuti anche dal gruppo Samsung). aveva annunciato un partenariato con Daimler: un accordo che lasciava presagire scenari di Mercedes-Benz e Smart farcite di LiDAR solid-state, piccoli ed economici perché privi di parti mobili.

Quell’accordo che aveva indotto alcuni a valutare Quanergy $1,5 miliardi, lo scorso luglio avrebbe dovuto tradursi in fatti, con Mercedes-Benz che ha annunciato insieme a Bosch ed Nvidia la sperimentazione di veicoli autonomi e robo-taxi in California dal prossimo anno.

Ma nell’annuncio di LiDAR di Quanergy non c’era traccia: anzi le auto tedesche avranno sensori laser della rivale e storica incumbent del settore Velodyne. Come dire che più vicini si arriva all’implementazione e più tendono a diventare evidenti gli ostacoli nel passare alla commercializzazione.

Quanergy (che produce anche un LiDAR convenzionale meccanico, il modello M8 che non ha brillato per efficacia) non è ancora riuscita ad annunciare un partner di vaglia che abbia deciso di affidarsi al suo sistema solid-state S3: i cronisti di Bloomberg hanno visto fogli con specifiche tecniche che parlano di 150 metri di range del sensore, ma solo nelle condizioni più favorevoli.

I sensori laser sono importanti per un’auto ai cui sistemi si voglia delegare la guida perché in grado di determinare la posizione di oggetti “bombardandoli” di raggi; misurando le interazioni sanno tracciare mappe fatte di nuvole di punti, non troppo diversamente dai pixel di un televisore ad alta definizione.

Il benchmark minimo attuale per un LiDAR, convenzionale o solid-state che sia, a cui una casa auto possa pensare di affidare i sistemi in condizioni di guida autostradale è 200 metri: lo spazio in grado di assicurare ad un veicolo che viaggia a 110 km/h i 6″ utili per reagire ad un ostacolo o ad un imprevisto.

Quanergy, non apparendo in grado di rispondere alle necessità del settore automotive, pare si stia spostandosi sulla sicurezza, costruendo sensori per prigioni e piattaforme petrolifere, e con in mente un’idea per proporre un muro virtuale col Messico invece che quello reale che vorrebbe la Casa Bianca.

Il bagno di umiltà che la fase post-hype sta facendo attraversare a molte startup della guida autonoma (Quanergy o Uber non sono certo eccezioni), come nel caso dell’auto elettrica non deve far pensare che la guida autonoma sia destinata a fare necessariamente il percorso del… Segway.

Ai numerosi recenti momenti interlocutori ed alle resistenze cui abbiamo assistito nel campo della mobilità elettrica, sta per seguire un piccolo diluvio di novità: grondante lanci di nuovi modelli e nuove linee di produzione.

La guida autonoma, o nello specifico i LiDAR (nei quali solo lo scorso anno secondo la società di consulenza CB Insight sono stati investiti $350 milioni, il massimo di sempre) nei prossimi mesi con ogni probabilità vedranno meno nuovi protagonisti scendere in campo, e più passi avanti concreti da parte di chi lavora su prodotti che possono fare a meno dell’euforia collettiva ed in grado di ridimensionare la disillusione per la guida autonoma.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Bosch AG