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Ecco quanto è costato in mancati investimenti il ritardo sull’auto elettrica

Indecisioni e ritardi nel puntare sulle auto elettriche ora si traducono in investimenti delle case auto sette volte superiori in Cina rispetto all’Europa

La conclamata miopia dei governi dei singoli paesi dell’Europa e delle istituzioni comunitarie sulle prospettive dell’auto elettrica potrebbero costare care in termini di crescita persa e di posti di lavoro nella manifattura. Sono già costati molto in termini di investimenti.

L’organizzazione ecologista Transport & Environment ha compilato recentemente una lista dettagliata degli investimenti che i gruppi dell’auto, in maggioranza europei, hanno compiuto in Cina (primo mercato dell’auto ma soprattutto nell’auto elettrica) e nel Vecchio Continente.

Nel corso degli ultimi mesi in Cina è stato indirizzato (non ancora speso perché gli investimenti sono pluriennali) l’equivalente di €21,7 miliardi destinati a produrre auto e loro componenti, in base a quanto dichiarato dagli stessi costruttori impegnati in joint venture con case locali.

Si tratta di sette volte quello che è stato investito in Europa per lo stesso scopo: €3,2 miliardi. Di quella cifra totale circa 1/3, €1 miliardo, è dovuto alla recente decisione del gruppo Renault di potenziare le proprie linee produttive domestiche orientate all’auto elettrica. Al totale relativo al Vecchio Continente manca quello che investirà FCA, che ha sì indicato in €9 miliardi la cifra per l’elettrificazione, ma senza ancora indicare la destinazione delle risorse.

Transport&Environment accredita €21,7 miliardi di investimenti solo a case europee: la cifra include però anche quelli di case americane e giapponesi (credito immagine: T&E)

Queste cifre sembrano un conto molto salato da pagare per la convinzione passata condivisa da molti gruppi dell’auto di poter reggere il confronto sulla questione del contenimento dei gas serra affidandosi alla gamma a gasolio.

Chi come la Cina (e in misura minore gli Stati Uniti) ha bocciato questa soluzione si ritrova ora con un vantaggio importante nel settore. Chi ha tergiversato a lungo appoggiando la soluzione diesel si trova a inseguire.

L’ACEA, associazione delle case auto europee, sentita dal collega della testata online Euractiv.com Frédéric Simon non ha contestato le cifre degli investimenti sui vari mercati, preferendo invece evidenziare come le cifre siano direttamente correlate sia alla dimensione attuale del mercato cinese che al potenziale di crescita futuro.

La portavoce del sindacato delle case auto Cara McLaughlin ha ammesso che la disparità è dovuta alle condizioni molto favorevoli all’auto elettrica in Cina: “da un lato il governo è responsabile della stesura delle norme e degli obiettivi a cui i produttori auto debbono adeguarsi. Dall’altro è anche responsabile per fissare le condizioni che consentono una più robusta quota di mercato per i veicoli elettrici, quali incentivi monetari e non e dispiegamento di infrastrutture su larga scala”.

In Europa il ritardo si sta invece ora traducendo in una progressiva crisi di offerta, con le consegne che non riescono più a tenere dietro, specie in Nord Europa, alla crescente domanda.

Malgrado le linee di produzione di chi produce auto elettriche stiano lavorando a pieno regime, si preferisce dare ampio risalto a studi che ipotizzano quanti posti di lavoro potrebbe costare all’auto convenzionale la transizione all’auto elettrica: secondo il Fraunhofer Institute 70.000.

Ma è il caso di soffermarsi invece sulla domanda se non sia invece puntare i piedi nell’adeguarsi alla nuova richiesta che, a medio e a lungo termine, possa costare molti posti di lavoro nella manifattura del Vecchio Continente.

Uno studio della società di consulenza Cambridge Econometrics, un paper finanziato da diversi partner (tra i quali BMW e l’Alleanza franco-giapponese) ed associazioni ecologiste, sostiene che un rapido spostamento dell’ottica industriale verso i veicoli elettrici potrebbe portare alla creazione di oltre 200.000 nuovi impieghi.

I numeri evidenziati paiono suggerire che nuovi settori tendono ad accelerare l’effetto volano tra produzione, innovazione ed investimenti. In Europa oggi pare invece prevalere in modo crescente il timore verso ciò che si potrebbe perdere, con scarsissima voglia di scoprire cosa avremmo da guadagnare.

Julia Hildermeier, che all’interno di Transport & Environment è l’esperta della mobilità elettrica, sostiene che “i cinesi hanno un vantaggio grazie ai loro obiettivi ambiziosi sui veicoli a zero emissioni“.

Ma quella ricetta, ritiene, non è una esclusiva cinese, si può applicare altrove: “Anche l’Europa può recuperare velocemente terreno. Il parlamento europeo e i governi dell’Unione Europea possono farlo fissando un obiettivo vincolante di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2025, abbinato ad obiettivi di vendite per le auto elettriche”.

Curiosamente, le case auto che pure investono in modo generoso in Cina (a guidare la lista sono i gruppi Volkswagen e Daimler e la marca Nissan) diventano improvvisamente sparagnine nel voler appoggiare obiettivi ambiziosi in Europa, dove in tanti paiono ingessati dagli effetti nefasti delle rispettive disavventure.

Un altro studio recentissimo (di Alix Partners) ha compilato un bilancio delle spese in ricerca e sviluppo e delle spese in conto capitale dei gruppi auto, ormai tutti contemporaneamente contagiati dalla voglia di recuperare il ritardo sull’auto elettrica (ed autonoma).

Si arriva ad un totale di $255 miliardi: una cifra che, mette in guardia la società di consulenza, con 207 nuovi modelli in arrivo entro il 2022 comporterà per molti la difficoltà a fare profitti o per i volumi bassi o per l’intensa competizione.

Nonostante l’ottimismo di alcuni entusiasti ambientalisti come quelli che lavorano a Transport & Environment, c’è da domandarsi se tra chi è seduto alle scrivanie che contano dei gruppi dell’auto si stia facendo largo la convinzione che nella Vecchia Europa produrre veicoli elettrici sia ormai una battaglia di retroguardia e il ritardo sull’auto elettrica non rischi di diventare permanente.


Credito foto di apertura: ufficio stampa General Motors