OPINIONI

Quello che dice e quello che fa Orban

Il presidente del consiglio Giorgia Meloni e i suoi ministri forse hanno qualcosa da imparare da Budapest (e no, non è quello a cui avete pensato…)

Le due foto che vedete affiancate in apertura si riferiscono entrambe allo stabilimento Audi Hungaria di Györ e sono lo specchio di un cambio di scenario radicale: se al contrario di chi scrive pensate che la transizione energetica sia una follia, le foto dovrebbero preoccuparvi.

Là dove si producevano i motori dieci cilindri per le sportivissime R8, oggi la casa dei quattro anelli si sta attrezzando per aumentare la produzione di motori elettrici (che in Ungheria sono prodotti dallo scorso anno) con l’arrivo nel 2025 della nuova generazione di questi apparati, la MEBeco per i modelli basati sulla piattaforma elettrica PPE condivisa da Audi e Porsche.

Ma la cosa non preoccupa affatto né Orban, né l’Ungheria, sembra. Anzi, nella nota ufficiale in lingua magiara si legge testualmente che “il progetto MEBeco, sostenuto anche dallo Stato ungherese, contribuisce a preservare 260 posti di lavoro e rafforza ulteriormente la competitività dell’industria automobilistica ungherese durante la transizione verso l’elettromobilità“.

Il testo non precisa quanto sia stato erogato di aiuti dall’esecutivo guidato da Viktor Orban né quanto investirà Audi per completare il progetto. È invece esplicita la nota diffusa questa settimana da Stellantis che a sua volta ha deciso di investire in una fabbrica magiara (che beneficia dello stanziamento del governo ungherese) €103 milioni per aumentare la capacità produttiva di EDM (i powertrain delle future piattaforme STLA) avviandone entro fine 2026 la produzione anche nell’impianto mitteleuropeo di Szentgotthard, che si aggiunge all’impianto francese di Tremery-Metz e quello americano di Kokomo in Indiana.

“Questo investimento dimostra l’importanza crescente dell’Ungheria nel favorire la transizione dell’industria automobilistica verso l’elettrificazione”, è quanto dichiara nella nota del gruppo euro-americano il ministro ungherese Péter Szijjártó. “Adesso, la produzione di propulsori tradizionali sarà affiancata da quella di moduli di propulsione elettrica. Con questo investimento proteggiamo i posti di lavoro e assicuriamo il futuro dello stabilimento di Szentgotthárd”.

Niente di strano, sembrano le fotocopie di dichiarazioni su investimenti già visti in abbondanza nell’ultimo lustro. Se non fosse che le frasi sono state scelte dallo stesso esecutivo di quel primo ministro che nella retorica non rinuncia a seguire i compagni di avventure del fronte sovranista, dai francesi di Marine Le Pen a membri dell’esecutivo italiano di destra-centro, che quando si tratta di agricoltura o di industria non esitano mai a esecrare la follia della transizione.

Abbiamo di fronte dei sovranisti a giorni alterni? Forse la spiegazione è semplice: Orban come altri sovranisti, ad esempio quelli polacchi da poco tempo rimossi dagli incarichi di governo dal voto popolare, sono sempre stati tanto tranchant nella retorica contro tutto quello che è green, quanto cinici e avidi di investimenti nei loro comportamenti e atti.

In effetti i poco più di €200 milioni di investimenti stimabili da parte di Audi e Stellantis nei motori elettrici impallidiscono di fronte alle porte spalancate che lo stesso Orban ha preteso e coltivato verso un settore che dovrebbe essere indigeribile ai duri e puri della tradizione dell’industria basata sui consumi di carburanti fossili: quelle batterie indispensabili ai veicoli elettrici e agli impianti di accumulo in cui stoccare l’energia proveniente dalle rinnovabili.

Stendere il tappeto rosso alle batterie come è stato fatto in precedenza per gli impianti di assemblaggio auto o i motori elettrici comporta coltivare partner asiatici. Coreani del Sud (SK On e Samsung SDI), ma anche cinesi (CATL ed EVE Energy). In effetti la spregiudicatezza di Orban è stata redditizia nel settore delle batterie, nel quale Budapest oggi fa ombra anche a un colosso economico come Berlino.

(credito grafico e fonte dati: Benchmark Mineral Intelligence)

Secondo i dati diffusi in un congresso ospitato nella capitale danubiana dalla società di consulenza britannica Benchmark Mineral Intelligence, grazie a quasi $13 miliardi di investimenti nel solo settore delle batterie, escluso il resto dell’automotive, le due Gigafactory che nel 2021 producevano 27 GWh di capacità nel 2026 saliranno a sei fabbriche con 137 GWh e a regime nel 2031 raggiungeranno i 207 GWh. Allora la provincia di Hajdu-Bihar sarà diventata una sorta di “Detroit delle celle” producendo 130 GWh e soprattutto un 86% del prodotto sarà da considerare di eccellenza, proveniente da fornitori Tier 1.

A onor del vero Orban rispetto all’attuale titolare di Palazzo Chigi ha avuto un vantaggio: non avere da tutelare un indotto presente in modo sostanziale nel tessuto economico nazionale, il secondo d’Europa secondo i dati ANFIA. In pratica Orban non ha motivo di preoccuparsi che una vettura elettrica potrebbe far perdere ricavi a un fornitore della filiera tradizionale se viene acquistata al posto di un modello diesel.

Ma proprio il fatto che a Budapest continuino a lavorare per attirare altri investimenti nel settore più a prova di futuro, non dovrebbe far riflettere i compagni di viaggio italiani di Orban, che invece sembrano preferire aggrapparsi a avventurosi e mal calcolati interventi di un “7° Cavalleggeri” dalle sembianze di un futuro fatto di bio-carburanti o idrogeno liquido?

credito foto di apertura: ufficio stampa Audi AG