Il primo compleanno dell’«Inflation Reduction Act», miniera di crediti
A un anno di distanza dal varo della legge voluta dall’amministrazione di Joe Biden un primo effetto è già chiaro: in America le case auto sono ormai tutte quante anche case produttrici di batterie
Alla legge nota come Inflation Reduction Act o per brevità IRA è stata apposta l’ultima firma esattamente un anno fa: se il primo effetto passeggero era stato quello di tagliare il numero di veicoli ammessi ai sussidi, dopo 12 mesi quella normativa ha steso una rete di incentivi e crediti di imposte che in questo periodo hanno portato per mano al rifiorire di investimenti nella manifattura americana, che BloombergNEF ha calcolato in $59 miliardi.
Se può essere difficile misurare quanti di quei dollari si sarebbero comunque trasformati in investimenti nell’auto elettrica, le batterie, l’innovazione, è più agevole identificare cosa abbia effettivamente fatto per alcuni protagonisti dell’industria.
Qui faremo riferimento a due: quella Tesla che è ovvia leader per l’auto a zero emissioni locali e la giovane Sila Nano che promette molto bene nel settore delle celle che i veicoli li spingono.
“Elon Musk sta ottenendo più potenza di fuoco per la sua guerra dei prezzi dei veicoli elettrici, grazie alla legislazione sul clima firmata dal presidente Joe Biden”, hanno scritto recentemente Dana Hull e Gabrielle Coppola su uno dei quotidiani più attenti alla salute dell’auto, il Detroit News.
L’opinione delle giornaliste americane si rispecchia nelle stime di una società di consulenza britannica specializzata nell’auto, le batterie e la loro filiera. Secondo Benchmark Mineral Intelligence Tesla e i suoi partner nelle batterie si preparano a ricevere circa $1,8 miliardi in crediti d’imposta sulla produzione quest’anno ai sensi dell’Inflation Reduction Act.
Una somma che è oltre il triplo dei $480 milioni che prenderanno la via delle casse di General Motors e LG Energy Solution, secondo gli analisti della società. Tesla dichiara entrate inferiori a quelle previste da Benchmark Mineral Intelligence e anche General Motors ha dichiarato che quest’anno prevede di guadagnare $300 milioni in crediti d’imposta, rispetto alle stime degli analisti.
General Motors mira a costruire un milione di veicoli elettrici all’anno entro il 2025, il che le renderebbe tra i $3,5 e i $5,5 miliardi. Ford da parte sua inizierà a trarre vantaggio dai crediti di produzione di batterie previsti dalle clausole dell’Inflation Reduction Act solo nel 2025.
Chiave della legge è il credito d’imposta sulla produzione noto agli addetti ai lavori come “Sezione 45X”, parte dello sforzo complessivo per decarbonizzare l’economia riducendo drasticamente il costo delle batterie sia per i veicoli elettrici che per la rete elettrica della nazione, costruendo anche una solida catena di approvvigionamento che non dipenda più dalla Cina o da altre nazioni non alleate.
La maggior parte dei veicoli elettrici negli Stati Uniti ha batterie di capacità comprese tra 60 kWh a 100 kWh, capacità con tendenza alla crescita visto che General Motors ha appena presentato la versione al 100% elettrica del SUV Cadillac Escalade con pacco da ben 200 kWh. Di norma i crediti d’imposta sono compresi tra $2.700 e $4.500 per veicolo.
La disparità attuale tra i benefici per Tesla e gli altri riflette l’impianto di questa legge, che incentiva fornitori di batterie e case automobilistiche che producono negli Stati Uniti e, soprattutto, premia i volumi: il meccanismo è tutto sommato semplice perché più batterie e più veicoli elettrici un’azienda produce negli Stati Uniti, più soldi ottiene tramite il credito d’imposta.
Pertanto il ruolo di battistrada che Tesla riveste avendo iniziato prima a produrre su vasta scala auto elettriche (e a Spark, in Nevada, batterie insieme a Panasonic) è molto più avvantaggiato rispetto ai Big 3 di Detroit. “Tesla genererà maggiori benefici dall’ IRA rispetto a chiunque altro perché sta già producendo batterie in volumi elevati”, ha affermato Austin Devaney, Chief Commercial Officer di Piedmont Lithium, azienda estrattiva che ha accordi di fornitura sia con Tesla che col produttore di batterie coreano LG.
Da quando la legge è stato approvata ad agosto dello scorso anno, ci siamo fatti un’idea più chiara di come Elon Musk si serva di quel tesoretto. Tesla ha detto che prevede di utilizzare i soldi del credito per continuare a tagliare i prezzi per i consumatori, parte di una strategia che sacrifica i margini di profitto a breve termine per aumentare i volumi di vendita in un contesto di inflazione e maggiore concorrenza, una politica che (a parte una pausa durata poche ore) sta continuando senza sosta sui due lati dell’Oceano Pacifico.
Negli Stati Uniti alla politica dei prezzi Tesla si è aggiunto negli ultimi giorni anche un rinnovamento della gamma luxury: nuove versioni di Model S e X sono più economiche non solo grazie agli sconti ma anche a batterie meno capaci e ad autonomie inferiori.
La guerra dei prezzi di Musk crea pressioni sui gruppi auto tradizionali come General Motors e Ford, aggiungendosi alle eccezionali sfide sulla redditività che Detroit deve già affrontare per investire nell’elettrificazione della gamma.
Ma attualmente grazie ai benefici apportati dalla normativa IRA e al denaro pubblico che prende la direzione della casa texana, il prezzo medio di vendita Tesla potrebbe diminuire di $125 per unità ogni trimestre nei prossimi due anni senza influire sul margine, stima l’analista della finanziaria Piper Sandler Alexander Potter.
Il che spiega perché il filo-repubblicano Musk in una intervista con la TV CNBC abbia definito i crediti “utili” affermando che l’IRA sia una legge “molto ben scritta”, e pazienza se questo avvenga con una Casa Bianca che Musk a volte ha deriso e altre criticato.
Quale che sia l’opinione dell’uomo più ricco del pianeta, i fatti dicono che il principale effetto dell’Inflation Reduction Act sulle case auto è che i gruppi tradizionali si sono buttati a capofitto nella produzione di celle in Nord America, proprio come Tesla aveva fatto per prima e continua a fare (la foto di apertura si riferisce alla linea di celle cilindriche ad Austin, Texas).
Ancora Benchmark Mineral Intelligence nel grafico che qui riportiamo riassume come da Ford a Volkswagen tutti i gruppi stiano investendo nella capacità di produrre batterie in Nord America.
Non può essere un caso che proprio in questo mercato la quota di case auto che sono impegnate a creare Gigafactory, quasi sempre in collaborazione con produttori di batterie coreani o giapponesi e in piccola parte cinesi, raggiunga ormai il 73%, ben oltre i valori di altre regioni del globo.
E qui a far luce interviene il co-fondatore di Sila Nano Kurt Kelty che, durante un webinar dello scorso giugno, ha sottolineato gli effetti più dirompenti del credito d’imposta che assicura $45 per kWh per i pacchi batteria prodotti negli Stati Uniti: $35 per kWh per le celle e $10 per kWh per i moduli delle batterie.
Se questa è una misura che guarda alla produzione, il 30D Clean Vehicle Credit prevede invece crediti d’imposta per i consumatori, purché acquistino veicoli prodotti negli Stati Uniti. Possono arrivare a $7.500 a veicolo se componenti della batteria e produzione sono nordamericani o provengono da paesi partner (ad esempio Australia).
Sila Nano, che produce anodi con dominanza di silicio e ad alta densità di energia (li ha già installati in prodotti di elettronica di consumo e li fornirà alla gamma di fuoristrada elettrici del partner Mercedes-Benz) stima che arrivi a $20 miliardi la quantità di crediti che i costruttori nordamericani potrebbero generare se decideranno di mettersi al passo con le norme.
In particolare qui entra in gioco ancora il 45X Production Tax Credit e il beneficio economico di fino a $45/kWh per chi utilizza celle prodotte con una filiera tutta americana. Sila Nano è particolarmente entusiasta di questo aspetto perché la norma di fatto premia anche chi fa innovazione.
Ovvero, due pacchi batteria di pari volume ma con diverse densità di energia riceveranno differenti crediti di imposta, e i manager dell’azienda scalpitano grazie al loro Titan Silicon che promette di supportare una crescita del 20% della densità volumetrica di energia a lungo termine, con l’80% della capacità iniziale ancora sfruttabile dopo oltre 1.100 cicli. Inutile aggiungere che quello con minore densità di energia riceverà meno dollari da Washington.
Pertanto grazie a materiali più densi, come nel caso degli anodi a silicio dominante, cambiare un elettrodo in grafite con uno più generoso con l’energia significa secondo le stime di Kelty ricevere $9/kWh, denaro che per il produttore sono un plus senza necessità di capex aggiuntivo.
La stima al riguardo è che il guadagno di densità di energia ricorrendo a materiali innovativi nelle Gigafactory potrebbe generare entro il 2030 tra $3 e $5 miliardi di valore di crediti in più.
Se pensate che oltre a Sila Nano in America operano altre startup delle celle innovative, come Quantumscape o Solid Power, sarà interessante scoprire nei prossimi anni quanto la catena innovazione/crediti d’imposta avviata dall’Inflation Reduction Act riuscirà ad influire sulla crescita del settore, rendendo concreta una allettante ricaduta di veicoli dall’autonomia crescente, ma a costi sempre più abbordabili, facendo onore anche al nome della legge.