OPINIONI

Non è un buon secolo per essere un operaio dell’auto

L’auto elettrica è considerata il massimo fattore di crescita futura dai gruppi auto, ma ora minaccia i livelli di impiego

Il gruppo Volkswagen è stato tra i pochi ad aver già indicato anni e numeri nella propria road map per la riorganizzazione che la dovrebbe portare nel 2025 a produrre fino a tre milioni di veicoli elettrici l’anno, quasi un quarto del totale. Indicazioni che a molti analisti ed esperti sembrano credibili. Questa svolta però, per il gruppo di Wolfsburg in particolare perché emerge dal dieselgate, ma più in generale per tutti i gruppi dell’auto, comporta rischi di due ordini: uno economico, l’erosione degli utili e dei profitti nel corso della ristrutturazione, l’altro sociale, con una vera e propria ecatombe di posti di lavoro.

Mercedes-Benz a sua volta ha in programma di lanciare tra sei e nuove auto elettriche nei prossimi anni per competere con le rivali Tesla ed Audi, i marchi del lusso che dovrebbero avere più modelli a zero emissioni, anche se BMW di recente sembra aver cominciato a rivedere i piani per produrre a sua volta più auto a batteria. Ma i veicoli elettrici richiedono molti meno operai di quanti ne servono per veicoli spinti da motori convenzionali. Così, ha riferito l’agenzia Reuters, Michael Brecht (che nel consiglio di sorveglianza della casa di Stoccarda rappresenta i dipendenti) ha cominciato a chiedere all’azienda l’abbandono della politica abituale da anni per tutti i gruppi dell’automobile: comprare all’esterno materiale e pezzi.

“Il numero di persone che servono per costruire un motore a combustione interna è all’incirca dieci volte superiore a quello dello staff che serve per un motore elettrico”, ha detto Brecht. E poi c’è il caso ancora più ovvio del “cuore” dei veicoli elettrici: le batterie. Nella stragrande maggioranza dei casi i grandi fornitori sono LG Chem, Samsung, BYD e pochi altri. La giapponese Panasonic sembra stia rafforzando i rapporti con Tesla, il che fa presumere che non sia stata sbagliata la scelta Daimler di iniziare a rafforzare la soluzione interna per le batterie. Le produce già con la controllata Deutsche Accumotive ed è entrata anche nello stoccaggio di energia. Mosse che, come indicato da Brecht, accrescono il potenziale di crescita interno.

operai automobile
Volkswagen ha più dipendenti che Toyota e GM combinate, ma ciascuna produce un numero analogo di auto (Fonte: Bloomberg)

Chris Bryant, in questo post per Gadfly, sottolineava la posizione scomoda del gruppo Volkswagen da questo punto di vista. I dipendenti sono oltre 600.000, molti più di quelli di Toyota o General Motors, che producono un numero analogo di automobili l’anno. E poi ci sono le joint-venture in Cina, dove il gruppo tedesco è il marchio occidentale oggi dominante. Ma questo comporta anche dover lottare là per le quote del nuovo “eldorado” elettrico con marchi locali sempre più agguerriti ed efficienti come BYD e col rischio di guerre dei prezzi necessarie per accaparrarsi i clienti. A breve un bagno di sangue per gli utili, prima che il vantaggio delle economie di scala inizi a farsi sentire.

Intanto il futuro già cozza col presente. All’interno del gruppo Volkswagen Bernd Osterloh non è una figura qualsiasi perché rappresenta i dipendenti nella formula tedesca di co-gestione che in passato tanto successo ha avuto per far prosperare le aziende della repubblica federale. Al quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt ha appena anticipato i piani: il suo timore è che saranno eliminati tra 1.500 e 2.500 posti di lavoro l’anno per i prossimi dieci anni. La drammatica prospettiva, in una società che invecchia rapidamente come quella tedesca, forse si realizzerà con una transizione relativamente indolore: ovvero ogni baby-boomer che andrà in pensione non sarà sostituito. Un robot o algoritmo farà il suo lavoro.

I consigli di fabbrica del gruppo basato a Wolfsburg quindi stanno dedicandosi a cercare di mantenere il maggior numero possibile di dipendenti diretti in aree come la sicurezza degli impianti, il supporto informatico o il catering. Certo, ruoli meno essenziali per i futuri veicoli elettrici rispetto a, poniamo, le batterie. Ma in questo c’è una logica, anche se solo il futuro potrà confermarne o meno la validità: si tratta di settori di lavoro nei servizi piuttosto che nella manifattura vera e propria. Ed i servizi sono ancora difficilmente automatizzabili.

Lo stesso amministratore delegato del gruppo Volkswagen Mathias Müller è un avversario della soluzione interna per le batterie ed ha smentito le molte voci che si erano sparse la scorsa primavera. Primo perché in una giga-factory odierna è e sarà dominante la componente dell’automazione, quindi con creazione di relativamente pochi posti di lavoro. E richiede fortissimi investimenti, non musica per le orecchie di chi come Müller cerca tagli più che uscite. Sembra in ogni caso una prospettiva che replica trend già visti globalmente: la ripresa del mercato del lavoro negli U.S.A. ha avuto per protagonisti i servizi, con un debole contributo della manifattura. L’auto elettrica sarà magari un fattore di crescita per chi saprà spremerne dei successi, ma non la soluzione di chi ha gravi deficit occupazionali.


Credito foto di apertura: Audi media services