OPINIONI

I dati sulle emissioni nel ciclo di vita completo danno energia alla filiera corta

Nuovo studio dell’ICCT conferma che l’Europa è il posto migliore per costruire veicoli e batterie a basso impatto ambientale; un segnale a chi in Asia guarda qui per l’export

Due notizie, quella recente del pacchetto di misure sul clima della Commissione Europea presentato la settimana scorsa (che include la proposta di Carbon Border Adjustment Mechanism) e quella odierna relativa al libro bianco pubblicato dalla ONG ICCT in cui l’autore Georg Bieker ha messo a fuoco gli ultimi dati del LCA (il ciclo di vita completo della produzione di veicoli elettrici) paragonando origini europee, americane, asiatiche, ripropongono prepotentemente l’attualità di una filiera corta, basata su macro-regioni, per il settore dell’auto a zero emissioni locali.

Le emissioni di gas clima-alteranti delle auto elettriche pure compatte prodotte in Europa nel 2021 sono già molto inferiori a quelle corrispondenti a motore termico e notevolmente più virtuose di modelli analoghi prodotti in America o Asia (credito grafico: Georg Bieker “A GLOBAL COMPARISON OF THE LIFE-CYCLE GREENHOUSE GAS EMISSIONS OF COMBUSTION ENGINE AND ELECTRIC PASSENGER CARS”)

Una attualità che è ben sintetizzata dai dati proposti dal paper ICCT. Come noto a tutti ormai, è la manifattura della batteria a creare maggiori emissioni clima-alteranti in un veicolo elettrico (la vedete bene indicata in giallo nel grafico qui sopra).

Le emissioni GHG (Tabella 2.3 del libro bianco) misurabili in kg di CO2/kWh, oggi per una cella NMC622 con anodi in grafite prodotta in Europa valgono 54 chili, 53 per una NMC811, mentre sono leggermente superiori per una cella NCA che “costa” 57 chili, e infine più contenute per una cella a base ferrosa LFP: tra 34 e 39 chili.

Ma gli stessi valori salgono in Cina a 69 kg per la cella NMC622, a 68 per il tipo con più nichel NMC811, e 72 per le NCA e infine a un range51-56 per le LFP. Migliori i valori ad esempio in Corea del Sud ma comunque si tratta di 64 chili per le diffusissime NMC622, a 63 per le NMC811, a 67 per le NCA e infine a 46-50 per le celle litio-ferro-fosfato. La manifattura è leggermente peggiore di quella coreana quanto ad emissioni GHG.

Le future chimiche delle celle miglioreranno e porteranno a valori inferiori nella manifattura di fine decade. Ma intanto, cosa significano i valori attuali, per chi intende acquistare una vettura elettrica cercando di fare il massimo sforzo di salvaguardare la filiera corta come se un’auto andasse acquistata come un mazzo di rucola o di radicchio?

Implicano che una Nissan Leaf o una Hyundai Kona prodotte in Europa partiranno avvantaggiate, quanto a impronta ambientale rispetto allo stesso modello importato dall’Asia. Partire avvantaggiate vuol dire che occorreranno di fatto meno chilometri percorsi per superare un corrispondente modello a motore termico sulla parità delle emissioni clima-alteranti nel ciclo di vita completo.

Il paper di ICCT ha riscontrato che le emissioni di gas serra in Europa per una compatta elettrica sono tra il 66 e il 69% inferiori a quelli di compatte convenzionali. Nel calcolo sono stati inclusi gli attesi mix di generazione di corrente elettrica attesi per il periodo tra il 2021 e il 2038, l’ultimo anno di vita ipotizzato per un veicolo che si assume possa arrivare a 234.000 chilometri con una stessa batteria.

Gli esperti dell’ICCT ritengono che se una vettura compatta fosse alimentata unicamente da energie rinnovabili il mezzo elettrico sarebbe responsabile dell’81% in meno di emissioni nel ciclo di vita completo rispetto a un veicolo che brucia combustibili fossili.

Il percorso del settore auto in Europa e quello parallelo dell’industria della fornitura, a cominciare dalle celle, danno da riflettere quanto a spazio che resterà per l’auto elettrica d’importazione. Come si è visto dalla tabella un cliente conscio dell’influenza del suo acquisto potrebbe avere remore morali a portarsi in garage un veicolo che è meno favorevole al Pianeta rispetto a un’alternativa prodotta più vicino.

Ma anche se la clientela europea non dovesse avere questi interrogativi ci penserà probabilmente il suo portafoglio a ricordarglielo. Come abbiamo visto, infatti, la proposta di una tassa sulle emissioni della manifattura meno virtuosa nell’impatto sul clima, si farà in futuro sentire attraverso il Carbon Border Adjustment Mechanism.

Si tratta di un meccanismo che potrebbe coinvolgere in particolare non tanto produttori auto giapponesi o coreani, che come sappiamo hanno già siti produttivi nell’Unione Europea o nel Regno Unito, ma chi produce in Cina con vocazione all’export.

Negli ultimi mesi abbiamo visto che Aiways, Xpeng Motors, NIO e altri produttori cinesi si sono mossi e spesso a iniziare dall’accogliente mercato norvegese. Il Carbon Border Adjustment Mechanism potrebbe farsi sentire sui listini dei loro modelli nell’Unione Europea, che puntano anche sul prezzo interessante per mettere piede stabilmente nel Vecchio Continente.

Meno colpiti probabilmente da una tassa sulla produzione meno amichevole col pianeta sarebbero probabilmente i marchi premium: Polestar (che in Cina costruisce l’intera gamma) o BMW (che in Cina produce il SUV IX3) hanno margini maggiori sul prodotto e potrebbero più facilmente riassorbire gli interventi sulle origini della manifattura meno attente a fattori come generazione di energia o impatto complessivo.

(credito grafico: Georg Bieker “A GLOBAL COMPARISON OF THE LIFE-CYCLE GREENHOUSE GAS EMISSIONS OF COMBUSTION ENGINE AND ELECTRIC PASSENGER CARS”)
Credito foto di apertura: ufficio stampa Porsche AG