L’effetto-volano dell’auto elettrica su rinnovabili e produttività
L’auto elettrica avrà per le rinnovabili lo stesso ruolo che l’automobile ha avuto nell’energia del 20° secolo? E dove porta il successo dell’energia sostenibile?
Crescita della produttività e dell’accessibilità: il 20° secolo è stato a lungo generoso in entrambi i casi. L’automobile e l’energia basata sul petrolio hanno fatto da traino a lunghi decenni in cui la produttività cresceva con costanza allargando a sempre più persone l’accesso a più beni e servizi.
Il convitato di pietra è stato la (scarsa) sostenibilità. In un 21° secolo in cui la ricerca faticosa ma costante di sostenibilità spinge verso una direzione del tutto diversa, per l’automobile potrebbe ripetersi in abbinamento alle rinnovabili e all’energia sostenibile il ruolo di locomotiva del cambiamento che ha contribuito in passato a consolidare il successo del petrolio.
L’auto elettrica ha un obiettivo di sostenibilità che non è ancora un traguardo superato. E questo è legato alla generazione di energia, che non in tutti i casi è ancora esente da impronta sul clima. Ma le obiezioni ai veicoli elettrici in quanto non abbastanza verdi, spingono costantemente i produttori di auto e batterie verso una completa sostenibilità, che non è un miraggio.
Dove potrebbero portare le strategie e gli investimenti dei grandi gruppi globali dell’auto? Al ripetersi di un rapporto stretto: allora auto/petrolio, adesso e in futuro auto/rinnovabili. Le conseguenze della domanda crescente di energia con generazione sostenibile da uno dei settori di maggior peso nell’industria saranno probabilmente irreversibili sull’assetto economico complessivo.
Inoltre, e non sono pochi quelli che ne sono convinti, la corsa di veicoli elettrici e rinnovabili potrà avere effetti a cascata che si faranno sentire anche sul carburante più denso di energia della sfera economica: la produttività. Produttività ed energia disponibile a costi accessibili e priva di volatilità sono stati la ricetta delle fasi più stabili nell’economia dei paesi occidentali.
Noah Smith, opinionista di Bloomberg, alla fine dello scorso anno ha scritto un post che ci sentiamo di raccomandare nella sua interezza e per i link che non scarseggiano. L’autore attribuisce la colpa del rallentamento della produttività al rallentamento dell’evoluzione tecnologica nell’energia, che ancora oggi vuol dire prevalentemente combustibili fossili.
Dal carbone che alimentava il 19° secolo al petrolio re del 20°, c’è stato un salto di qualità in densità di energia e nella disponibilità delle risorse. Un progresso che si è inceppato negli Anni ’70 e (salvo brevi fiammate come l’apparizione dello shale oil) non è mai più tornato ai costi esigui e alla bassa volatilità come materia prima della fase precedente alla guerra del Kippur.
Ma quel che è peggio, malgrado tentativi anche ciclopici per impegno, non si sono trovate vere alternative al petrolio che reggessero alla prova della pratica. Il blocco della crescita dell’efficienza nel settore dell’energia ha portato, con l’energia più costosa, al calo dei consumi di energia pro-capite, che non necessariamente è una croce. Ma non solo a quello.
“L’energia più costosa rende l’innovazione materiale più dura in ogni modo”, ha scritto Smith, che ha poi continuato “senza fonti di energia sempre più economiche, l’innovazione materiale è certo ancora possibile, ma diventa veramente più difficile”.
La stagnazione nella tecnologia energetica quasi certamente ha contribuito all’interruzione, a partire dagli Anni ’70 alla crescita continua della produttività. Non a caso l’economista William Norhaus nel 2004 sottolineava come il calo della produttività si fosse incentrato soprattutto nei settori più energy-intensive.
In effetti l’innovazione immateriale, quella digitale, dal laptop a internet è sì riuscita a spingere una parziale ripresa della produttività sia del lavoro che multifattoriale, almeno fino all’inizio del nuovo millennio. L’accelerazione è stata attribuita proprio a settori dell’IT o che usano l’IT intensivamente.
Ma il Professor Robert Gordon, in un libro apparso nel 2016 “The Rise and Fall of American Growth” dedicato al rebus della produttività, aveva sostenuto come guardate al microscopio tecnologie digitali contemporanee pur di grande successo rivelino un potenziale trasformativo molto inferiore a passate innovazioni come i frigoriferi o l’impiantistica sanitaria, non a caso due tipi di beni che sono diventati molto diffusi in un’era di energia a prezzi bassi e stabili.
L’impulso alla produttività proveniente da automazione e digitalizzazione, potrebbe essere superato in profondità ed efficacia da un’energia a basso prezzo e poco volatile dovuta alle rinnovabili
Nonostante la popolarità di iPhone o PlayStation, la loro diffusione non è bastata a impedire che poco prima della crisi-Lehmann la produttività tornasse a rallentare. Il che invita alla ricerca di una innovazione materiale dirompente, in grado di fornire benefici di aumenti di produttività sostanziali. Chi avrebbe i numeri per entrare in questo ruolo potrebbe essere l’energia rinnovabile.
Il declino dei costi delle rinnovabili e delle tecnologie collegate, a cominciare dalle batterie, non solo è già significativo, ma ha di fronte anche potenziali accelerazioni che sono funzione del perfezionamento di tecnologie in arrivo tra metà e fine dell’attuale decade. Risultati che renderanno meno spossante la lotta al cambiamento climatico. Ma questo non sarà il solo effetto.
“Per la prima volta dall’avvento del petrolio”, ritiene Smith, “l’umanità potrebbe ottenere una nuova fonte di energia più economica, più abbondante. E questo ha il potenziale per mettere in moto una crescita della produttività di un genere che abbiamo visto solo raramente dopo gli Anni ’60”.
Ritenere che ci sia un eccesso di ottimismo in questa prospettiva è legittimo; ma è anche opportuno valutare quale sia la differenza di sostanza tra un’energia incentrata sul petrolio ed una incentrata sulle rinnovabili, nonché il motivo per cui le seconde una volta uscite dal doping dei sussidi appaiano meno esposte a possibili choc esterni.
Il possibile effetto-volano a cui pensa Smith, e che potrebbe aver trovato la spinta decisiva proprio nei piani di praticamente tutti i board delle case auto verso una accelerata transizione all’elettrico, lo ha chiarito nitidamente un editoriale di Farhad Manjoo apparso sul New York Times pochi giorni fa.
Nel pezzo intitolato “The Wind and Solar Boom Is Here” Manjoo scriveva: “a differenza dei combustibili fossili, che diventano più costosi più se ne estraggono dal terreno, perché estrarre una risorsa che si riduce richiede sempre più lavoro, l’energia rinnovabile è basata su tecnologie che diventano più economiche man mano ne produciamo di più”.
Un fenomeno che, parlando di effetto-volano, sarà rilevante per la manifattura e lo sarà in particolare per automotive, produzione e riciclo delle batterie, caratterizzati da elevati consumi di elettricità: costanti cali dei prezzi renderanno possibile produrre di più con lo stesso contributo di lavoro. L’energia economica delle rinnovabili accenderà la scintilla del rilancio della produttività.
A questo si potranno aggiungere altri contributi a un potenziale boom resi attuali dalla pandemia. Il McKinsey Global Institute alla fine di marzo è arrivato alla conclusione che alcuni fattori della riorganizzazione del lavoro accelerati dalla crisi sanitaria, in particolare smart working, cloud e grande dispiegamento dei dati, potranno spingere la crescita della produttività in economie mature come Stati Uniti ed Europa occidentale anche dell’1% l’anno ogni anno fino al 2024, oltre il doppio del tasso di crescita pre-pandemia.
In termini di PIL pro-capite la variazione positiva potrebbe essere compresa tra un minimo di circa $1.500 in Spagna e circa $3.500 negli U.S.A., secondo Jan Mischke, partner del McKinsey Global Institute.
Dopo le crisi, le recessioni, incluse quelle recenti, spesso seguono fasi di stagnazione: non sembra questo il caso. Anche per l’approccio che in modo forse semplicistico denomineremo keynesiano della maggior parte degli esecutivi dei paesi avanzati, che porterà a investimenti pubblici che, in molti casi, finiranno in nuove tecnologie spesso anche se non esclusivamente sostenibili.
Così i sondaggi effettuati da McKinsey vedono tre quarti dei manager che si attendono nel periodo 2020-2024 investimenti vivaci nelle nuove tecnologie, mentre la quota per il periodo 2014-2019 si fermava ad un ben un più pallido 55%.
Un punto che appare chiaro è che il movimento verso maggiore produttività attraverso la digitalizzazione e l’automazione non saranno di immediato beneficio a chiunque sia in un organico di un settore o azienda.
La differenza tra crescita della produttività basata su quei fattori e crescita dovuta a energia più economica grazie alle rinnovabili è che quest’ultima non avrà quel genere di effetto negativo immediato sugli addetti. Per un autista UPS o Amazon che effettua consegne dell’ultimo miglio non fa differenza che il furgone sia diesel o spinto da batterie di trazione.
Il potenziale di crescita collegata a energia più economica e sostenibile come quella delle rinnovabili, ammesso che i guadagni di produttività siano ridistribuiti equamente, potrebbe contribuire a ridurre le diseguaglianze, arrivate in Occidente a livelli non più sfiorati da un secolo.
Perché energia a basso costo, molto più di altri generi di innovazione, ritiene Smith: “offre il potenziale perché il mondo ritorni al genere di cultura positiva, orientata al futuro, orientata alla crescita, win-win che talvolta siamo riusciti a raggiungere da qualche parte durante il 20° secolo”.