INFRASTRUTTURA

Concluso il progetto ACES: ha svelato gli assi nella manica del V2G

Il progetto sviluppato da Politecnico di Danimarca (DTU), Nissan e Nuvve nell’isola di Bornholm ha confermato percorribilità e praticità della tecnologia vehicle-to-grid

Le auto e i camion elettrici possono essere usati per sostenere il sistema energetico su piccola e su larga scala grazie a dispositivi di ricarica bi-direzionale V2G (vehicle-to-grid). Così la giornata finale di oggi che ha cercato di racchiudere in tre ore i tre anni e mezzo di attività del progetto danese ACES ha sintetizzato l’esito della ricerca, teorica e sul campo.

L’isola danese di Bornholm è stata scelta per la capacità di racchiudere in un microcosmo (grande circa il doppio dell’Isola d’Elba e con pochi abitanti di più) ben gestibile ed analizzabile tutte le esigenze di una nazione. Il DTU, Politecnico di Danimarca, insieme ai partner Nissan, Nuvve e all’utility locale BEF, hanno sviscerato l’interazione con la rete elettrica di veicoli considerati come sistemi di stoccaggio con le ruote e disponibili come tali per alcune ore al giorno (in media 14) a cedere energia alla rete.

Uno studio di fattibilità su larga scala del V2G, che non è stato il primo e che tuttavia è stato tra i primi a tracciare una rotta che altri stanno seguendo, incluso l’interesse recente per il progetto a Mirafiori di FCA, Terna ed Engie.

Ogni progetto di questo genere è importante per agevolare a medio e lungo termine la penetrazione delle energie rinnovabili. Attraverso la regolazione della frequenza in particolare, per le fasi in cui si possono evidenziare criticità delle rinnovabili (uno dei casi studio nell’isola di Bornholm prevedeva proprio la simulazione di regolazione della frequenza qualora una pala eolica smettesse di fornire energia).

Il progetto ACES metteva a fuoco i benefici tecnico-economici dell’integrazione V2G su larga scala di veicoli elettrici (Nissan Leaf ed Evalia) nell’isola di Bornholm con modelli e simulazioni e test sul campo per valutare l’impatto sulla rete elettrica e allo stesso tempo accertare gli effetti sul degrado delle batterie per ottenere valori di replicabilità per esperienze analoghe in altri contesti.

Lo studio di un’isola, ha sottolineato Mattia Marinelli (professore associato al DTU e tra i principali timonieri di questo “viaggio”) è stato un micro-cosmo adeguato a capire come un paese come la Danimarca, con 93 GWh di consumo elettrico, possa reagire all’invasione di un milione di veicoli elettrici nel 2030, come prevedono le stime, con una aggiunta di 9 GWh di carico per la rete.

Ma un milione di auto e furgoni sono anche, calcolando la batteria media con capacità di 60 kWh, una capacità di stoccaggio aggiuntiva di 60 GWh da sfruttare sia mediante tecnologie di smart charging sia soprattutto di V2G, la seconda con una flessibilità operativa ben superiore alla prima.

Sia chiaro peraltro che alla clientela (che saranno soprattutto flotte, si prevede) non si chiederà di vedersi prosciugata la batteria delle vetture o furgoni. Nel progetto ACES alle Nissan Leaf ed Evalia con batterie da 30 e 24 KWh è stata richiesta in media una capacità di 9,2 KWh a disposizione del V2G (tecnicamente colonnine EVSE da 10 kW fornite da ENEL-Endesa e gestite da Nuvve nel ruolo di interfaccia col TSO).

La percorribilità della presenza di veicoli elettrici collegati alla rete si traduce nella rapidità di risposta delle batterie connesse: un secondo di tempo è identificato come requisito essenziale per la risposta in grado di stabilizzare il sistema, malgrado gli attuali requisiti per partecipare siano più generosi coi secondi per la risposta: fino a 6.

L’analisi dei risultati a Bornholm ha suggerito al professor Marinelli e ai colleghi che una quota di 30% di BEV collegati alla riserva complessiva sia considerabile come il limite massimo per bilanciare l’inerzia del sistema e i limiti delle unità di riserva convenzionali.

La ricerca del progetto ACES ha studiato anche l’economicità del V2G per i partecipanti. Se la ricarica smart può produrre nel migliore dei casi €60 di ricavi l’anno per i partecipanti, per i veicoli inseriti nel V2G partecipare ai mercati di regolazione della frequenza può fruttare fino all’equivalente di €1.400 l’anno.

Si tratta di ricavi e non di utile, e occorre inoltre valutare la spesa di colonnine bi-direzionali da ammortizzare, a meno che queste siano generosamente incentivate. Poco conveniente invece partecipare ai mercati dell’energia, con appena €45 l’anno di ricavi usando una colonnina bi-direzionale da 3,7 kW.

L’economicità del V2G, a giudicare dal risultato del progetto ACES, sembra stare in ombra rispetto al contributo di efficienza alla rete dei veicoli connessi, anche e specialmente qualora si dovesse passare a soli modelli a zero emissioni.

Per questo l’interesse del progetto ACES, ha riassunto Lisa Calearo, ricercatrice italiana del DTU, è stato identificare quanto una incidenza del 100% di veicoli elettrici debba misurarsi con fattori come uso abituale (chilometri percorsi e agenda quotidiana degli impieghi), comportamenti di ricarica e in particolare tenendo conto delle temute concomitanze nella ricarica. Il coincidence factor può avere palesi effetti sui picchi di carico sulla rete.

Nel caso dello studio ACES, i veicoli collegati a postazioni V2G avevano un fattore di concomitanza del 40%, valutando una prevalenza di connessioni monofase da 3,7 kW. Se moltiplicare 40 veicoli per questa potenza comporta un picco da 150 kW circa, passare a tutti i veicoli in ricarica concomitante comporterebbe un totale vicino al punto di reale stress per la rete.

Invece, ha sottolineato la ricercatrice italiana, al 40% le conseguenze possono essere un carico elevato per le ricariche trifasi e un certo disequilibrio (sotto-voltaggio) per la ricarica monofase, che è meno potente ma ovviamente proprio per questo tiene impegnata la rete più a lungo.

Su una scala nazionale un milione di veicoli elettrici si avvicina al 40% dell’intera flotta in circolazione in Danimarca. Insomma si può concludere che quella quota o una che giunga al 50% di veicoli elettrici non porterebbe al collasso la rete elettrica nazionale. Tuttavia, hanno sottolineato gli scienziati italiani del Politecnico scandinavo, adeguare la rete sarebbe una scelta lungimirante per evitare di ridurre i margini di sicurezza.

Senza contare che il profilo diverso della clientela nazionale danese, con molti più abitanti in aree urbane rispetto a quelli dell’isola più orientale del paese, richiederebbe più accessi a ricariche pubbliche con maggior impegno delle istituzioni municipali.

E a parte c’è il tema della ricarica a lungo raggio, che comporta la necessità nazionale ed internazionale più che locale di postazioni ultra-veloci sui grandi assi viari. Un impegno complessivo valutato da €450 milioni, per 27.345 colonnine di varia potenza necessarie entro il 2030.

A questo occorre aggiungere infine il tema dell’eventuale stress sulla batteria dei veicoli. Sulle celle delle Nissan, come noto prodotte da AESC Envision, la partecipazione a programmi connessi alla rete generale per il controllo della frequenza ammontavano a solo pochi cali frazionali della capacità rispetto al naturale degrado dovuto al calendario.

Credito foto: Sito web ACES Project