Quell’anno delle giornate interminabili a Wolfsburg
Herbert Diess è uscito ridimensionato dalle ultime due settimane di scontri interni: ma a un gruppo delle dimensioni di Volkswagen non serve una guida alla Elon Musk
Wolfsburg è nel centro-nord della Germania ed è quindi corretto dire che le loro attuali giornate sono più lunghe di quelle che viviamo qui, più vicini al Mediterraneo. Ma non sono certo state le lunghe ore di luce a rendere pesante il clima nelle stanze dei manager Volkswagen assorbiti da un conflitto interno diventato rumorosamente pubblico nelle ultime due settimane.
Tanto clamoroso che taluni hanno temuto potesse degenerare: come notoriamente ed ingloriosamente avvenuto agli scontri di potere consumatisi all’interno dell’Alleanza franco-giapponese, che fino allo scorso anno contendeva a Volkswagen la palma di primo gruppo auto globale.
Non si è arrivati davvero vicini a quei livelli. Ma lo scontro interno che ha alzato la temperatura in diverse stanze di Wolfsburg e di altri centri di potere del gruppo hanno occupato le colonne dei maggiori quotidiani finanziari e delle agenzie di stampa e specializzate.
Tra i molti segnaliamo quello del commentatore dell’agenzia Bloomberg Alex Webb, che si è chiesto se i conflitti interni comportino il rischio di far deragliare la scommessa da €33 miliardi del gruppo tedesco sull’auto elettrica.
Nelle ultime due settimane i contrasti sotto traccia che incrinavano da tempo i rapporti tra Consiglio di Sorveglianza e Consiglio di Amministrazione sono diventati un tema scottante da quando, il 4 giugno scorso, l’amministratore delegato Herbert Diess ha accusato membri del board che supervisiona l’attività operativa di azioni illegali, passando informazioni riservate alla stampa.
In mezzo a molte riuscite iniziative di rilancio partite nel 2018, quando ha preso le redini dal meno incisivo predecessore Matthias Müller, Diess ha dovuto anche assistere a passi falsi difficili da minimizzare. Alcuni sostanziali relativi alla produzione, altri di immagine collegati al marketing.
Il ritardo nell’uscita dell’auto della svolta elettrica ID.3, e un breve stop alla produzione della Golf 8 (in entrambi i casi i problemi di software sono stati infinitamente più decisivi degli effetti imprevisti della pandemia) hanno creato oggettivi interrogativi sul livello di preparazione del gruppo ad affrontare una nuova era dell’automotive.
L’infortunio di uno spot con sfumature razziste è stato invece un problema di immagine oggettivo per un gruppo che è tra quelli più legati alla dimensione globale, avendo ad esempio la Cina come primo mercato, e quindi non può permettersi di fare da catalizzatore per scontri ideologici o politici collegati al prodotto.
Diess si muove in un gruppo di Wolfsburg che in effetti è un gruppo di Salisburgo: la insolita struttura duale dell’azionariato (che sarebbe piaciuta all’Enrico Cuccia dei salotti buoni) fa contare di più le famiglie Porsche e Piëch rispetto alle altre quote.
Non a caso quando la settimana scorsa il Consiglio di Sorveglianza (che nomina anche board ed amministratore delegato) è stato allargato di due membri uno dei due aveva il cognome Piëch, Hans-Michael.
Ma Diess deve accontentare anche il land della Bassa Sassonia e la sua forza lavoro: il sindacato maggioritario IG Metall è rappresentato da Jörg Hofmann, mentre Bernd Osterloh rappresenta gli influenti Consigli di Fabbrica nel board.
Né l’uno né l’altro sono notoriamente fan dell’amministratore delegato e sono in molti ad essere convinti che quando questi si è sfogato davanti a oltre 3.000 manager sulle fughe di notizie stesse accusando anzitutto Hofmann.
Il risultato dello scontro è stato sfavorevole a Diess, che si è scusato col Consiglio di Sorveglianza: sarà sostituito alla guida della marca Volkswagen dal chief operating officer Ralf Brandstätter, mentre un altro alleato che guidava l’importantissimo settore della fornitura, Stefan Sommer, lascerà il gruppo.
Queste frizioni non necessariamente sono considerate il finale, e la tiepida comunicazione del Consiglio di Sorveglianza che conferma il sostegno a Diess appare molto interlocutoria. L’eventualità di altri sviluppi ha lasciato a molti analisti perplessità sulle possibilità di confrontarsi sui mercati con avversari che non hanno altrettanto tempo da dedicare alle guerre interne.
In particolare, visto che Volkswagen è stato il gruppo che con meno remore si sta spostando verso la produzione di massa di modelli elettrici, il confronto viene inevitabilmente fatto con la situazione interna di Tesla.
A Palo Alto come noto di conflitti interni non ce ne sono; caso mai la difficoltà dei membri del board è di tenere sotto controllo un Elon Musk che il potere lo ha senza limiti e non ha alcuna inibizione, anche a sproposito, sul diritto ad usarlo.
Visto da quel lato dell’Atlantico, il confronto sembra però gravato da una zavorra che sbilancia le valutazioni: quel genere di commenti sembra partire dalla premessa che Tesla, dove tutto il potere è in mano a uno soltanto, in borsa vale X (più di Volkswagen), il gruppo di Wolfsburg, dove c’è una storia di equilibri e conflitti di potere, vale Y ovvero meno della casa di Musk.
Senza entrare nel merito della capitalizzazione di borsa di Tesla, un’analisi di quel genere appare fuorviante alla luce della valutazione di fattori come la capacità di produrre valore, ma anche il ruolo del carisma, qui tutt’altro che un dettaglio.
Tesla è una casa che ha tutto il carisma concentrato nel suo leader. Il gruppo Volkswagen non ha praticamente mai veri leader carismatici ma ha agli occhi del pubblico marchi carismatici: Porsche, Audi, per molti aspetti la stessa Volkswagen.
La storia industriale ha ospitato marchi che hanno superato la perdita di un leader carismatico: Ferrari, Porsche. Ma molti altri non ci sono riusciti. Tesla senza Musk sarebbe una Ferrari elettrica o una Lotus elettrica?
Una volta chiaro che non necessariamente un grande gruppo industriale ha bisogno quanto una casa di nicchia di un leader incontenibile o incontrollabile, gli interrogativi sulla leadership di Wolfsburg sembrano inoltre scordarsi gli effetti delle dimensioni del gruppo. Size matters.
A qualcuno la struttura machiavellica di un gruppo come Volkswagen ricorda perfino le alchimie del Papato. Non è un paragone del tutto fuorviante, se si considera che la struttura e le dimensioni della chiesa cattolica hanno consentito di superare anche i periodi in cui al soglio di Pietro sedevano Papi mediocri o anche pessimi.
Nel mondo industriale, che non vuole salvare anime ma produrre auto, size matters significa nel bene e nel male che fermarsi o cambiare direzione è complicato come su una super-petroliera in mezzo all’Oceano.
Nel male, lo si è visto col tempo perso prima di sposare la sostenibilità. Nel bene, lo si potrà vedere nella massa critica di auto della famiglia ID, ormai arrivata all’inizio dell’effetto palla di neve.
Per tentare di rispondere al quesito iniziale di Bloomberg: che ci sia o meno Diess al timone quando a settembre le prime ID.3 saranno consegnate ai clienti, il processo virtuoso non si può più fermare.
Ma gli effetti del size matters si sono cominciati a vedere nel settore elettrico anche prima delle consegne delle auto costruite sulla piattaforma MEB. Dove possa arrivare un gruppo leader (e viene da chiedersi cosa sarà in grado di fare Toyota, volendo) anche con modelli elettrici nati su pianali di compromesso lo si vede da qualche dato di vendite della Golf elettrica e delle Audi E-tron.
La E-Golf in Europa a pochi mesi dal pensionamento sta vendendo come mai in precedenza. Grazie agli sconti, certo, ma questo non vale per le E-tron che stanno ottenendo risultati di vendite che le collocano davanti alle Tesla Model X, vetture che dal punto di vista dell’autonomia sono molto più rassicuranti delle Audi.
Insomma, la narrativa nel settore delle elettriche pure non appare più legata solo agli argomenti tradizionali come la range anxiety ma anche a temi di qualità (il software tedesco sta alla Silicon Valley come i pannelli della carrozzeria Tesla stanno ad Ingolstadt) e di carisma di marchio.
Che Herbert Diess sia o meno l’uomo del futuro, alcuni suoi atti resteranno importanti anche per i futuri Papi di Wolfsburg: ne citiamo tre. L’effetto più favorevole a medio termine è l’accordo con Ford raggiunto su più tavoli e ratificato in questi giorni. Assicura alla piattaforma elettrica MEB una fornitura supplementare di 600.000 pezzi essenziale per abbassarne i costi e rendere possibili futuri modelli Volkswagen davvero abbordabili.
Un altro merito di Diess appare quello di aver rotto gli indugi del suo predecessore sull’opportunità di entrare nella produzione di celle per batterie. Di fronte alla periodica messe di comunicazioni su accordi tra gruppi auto e delle batterie per non rischiare la regolarità degli approvvigionamenti di celle, l’avvio del progetto che ha per teatro Salzgitter appare ora lungimirante e forse perfino conservativo.
Infine un’eredità preziosa dell’attuale leadership potrebbe rivelarsi quello della creazione dell’innovativo progetto Artemis varato a fine maggio da Markus Duesmann, il numero uno Audi che proprio Diess ha voluto alla guida dei quattro anelli e ha creato una nuova divisione legata al marchio.
La ragion d’essere di Artemis è portare agilmente, rapidamente e con successo a realizzazione nuovi modelli innovativi per contenuto di propulsione o di capacità di guida. Tagliando in modo drastico le tempistiche abituali dell’automotive: la prima auto della nuova divisione dovrebbe vedere la luce nel 2024.
Si tratta di domani col metro abituale di Wolfsburg, ma non con quello della Silicon Valley. Per questo a guidare Artemis Audi ha chiamato Alex Hitzinger, finora a capo del reparto Volkswagen Autonomy.
Un ingegnere che è di casa nell’auto ma, avendo frequentato le competizioni di vertice, ha ben chiare tempistiche molto più rapide di quelle comuni per il prodotto convenzionale. E non guasterà che abbia trascorso un periodo a lavorare nella Silicon Valley, nel “giardino” di Apple.
Se a Wolfsburg certe giornate possono non sembrar finire mai, assorbite da interminabili conflitti, il vantaggio delle dimensioni sembra anche essere che in province lontane del konzern le giornate di altri siano invece molto lunghe per arrivare in orario a scadenze impegnative.