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Dai tassi zero alle scintille tra Tesla e Nikola Motor

Anche Elon Musk scopre che l’attuale easy money scatena appetiti a caccia di “Tesla dei poveri” (Hertz) o della “prossima Tesla” (Nikola Motor). Perciò sta correndo ai ripari…

La forzata generosità di banche centrali e governi per reagire alla crisi scatenata dalla pandemia sta trascinando sulle montagne russe della borsa molti protagonisti vecchi e nuovi della transizione alla mobilità sostenibile.

Tassi di interesse prossimi allo zero che ci faranno compagnia ancora a lungo stanno alimentando la voglia di rischiare di investitori grandi e piccoli i cui atteggiamenti recenti assomigliano spesso volenti o nolenti a quelli di speculatori. Si tratta di uno spettacolo a tratti molto poco edificante.

Ma è anche una fase in cui l’alternativa è peggiore: le dimensioni degli investimenti richiesti dai veicoli elettrici, dalle batterie, dalla ricerca su nuovi materiali non sono compatibili con un’economia imbrigliata dall’austerità o magari… dallo standard aureo.

Né l’easy money che vediamo adottato da banche centrali e governi è una necessità solo dell’economia green. Non ci meraviglieremmo se pundit passatisti cominciassero presto a spiegarci che i tassi a zero sono una colpa di chi ne ha bisogno per sviluppare economia circolare o le auto elettriche.

In realtà la massa di denaro che insegue disperatamente nuovi affari sta tenendo a galla imprese zombie che fanno parte soprattutto della vecchia economia, piuttosto che della nuova. Per conferme seguite le vicende delle startup della guida autonoma o delle batterie, che in questo periodo con frequenza quasi quotidiana finiscono preda di grandi gruppi o di fondi.

Invece uno degli esempi più lampanti degli effetti dell’euforia a Wall Street di questi giorni e da cui vogliamo partire riguarda sì un gruppo della mobilità, ma non della new mobility elettrica bensì di quella convenzionale, convenzionale quanto più non si potrebbe: Hertz.

Il 22 maggio scorso la società ha chiesto l’amministrazione controllata, schiacciata da $19 miliardi di debito e dalle ridotte prospettive di ripagarlo serenamente in un futuro in cui il noleggio sarà un business a rischio (come altri settori del mondo post-pandemia intrinsecamente collegati, a cominciare dal trasporto aereo).

Ma una settimana fa le azioni del gruppo Hertz erano tornate alle quotazioni precedenti all’ingresso in Chapter 11, la procedura di concordato americana. Il che sembra strano se si pensa che le società che si trovano in questa situazione debbono pagare tutti i debiti prima di essere generosi con gli azionisti.

Ma no, niente da fare: l’ebbrezza della finanza ha preso, purtroppo, anche molti piccoli risparmiatori gettatisi nella mischia su nuove piattaforme come Robinhood, che hanno trasportato il titolo Hertz da poco meno di $2 di una settimana fa fino a $3,5 prima dell’inizio di un redde rationem che il 10 giugno ha segnato l’avvio di un declino diventato crollo ieri, una delle periodiche giornate nere a Wall Street che si alternano alle giornate record.

La vicenda Hertz è tutt’altro che arrivata alla fine, visto che il gruppo adesso intende approfittare della situazione per emettere azioni per $1 miliardo, una procedura per raccogliere denaro fresco con cui risollevarsi che certo suona insolita nel caso di un’azienda in amministrazione controllata.

In un quadro in cui, a dispetto delle convinzioni di chi crede negli efficient markets, c’è la rincorsa a fare il colpo della vita su società che stanno a galla solo con interventi da sala rianimazione, non c’è da meravigliarsi che una parte dell’interesse degli speculatori di professione o amatoriali si concentri su un settore dalle prospettive future concrete come quello dei veicoli elettrici.

L’interesse per la new economy che da quando Uber ha iniziato a perdere il suo fascino sinistro era diventato unicamente appannaggio di Tesla si è recentemente ampliato a un nuovo nome molto simile a quello della società di Elon Musk: Nikola Motor.

Quando pochi giorni fa avevamo scritto l’ultima volta dell’azienda fondata da Trevor Milton, era per segnalare il successo dell’ingresso a Wall Street del gruppo nel quale hanno investito tra gli altri IVECO e Bosch: il 5 giugno le azioni avevano chiuso a $35,97, corrispondenti a una capitalizzazione di oltre $12 miliardi.

Ma la settimana scorsa non era ancora stata investita dall’euforia di un NASDAQ ipnotizzato dalla soglia dei 10.000 punti. Lunedì e martedì Nikola Motor è cresciuta del 122% arrivando anche ad un massimo di $88,4 che equivalevano a $30 miliardi di capitalizzazione.

Miliardi teorici come sappiamo, ma superiori al valore di gruppi come Ford o FCA. Una situazione quasi paradossale per un investitore come Exor che è sia riferimento del gruppo italo-americano che indirettamente di Nikola attraverso la quota CNH Industrial.

Se l’exploit della società che produrrà veicoli commerciali fuel cell ed elettrici non può essere passato inosservato alla famiglia Agnelli, di certo ha attirato l’attenzione di Elon Musk.

Che non ha potuto godersi che per poche ore il successo recente di Space X, per doversi subito preoccupare di una concorrenza che cresce impiegando molti degli stessi ingredienti che hanno premiato la ricetta Tesla.

Come un CEO loquace ed abile a farsi largo in un settore sottovalutato, la bravura a trovare un seguito di investitori generosi e di veri e propri fan, la capacità di creare aspettative a medio e lungo termine anche di fronte a un presente di limitata o limitatissima produzione e soprattutto a ricavi trascurabili.

Di fronte al successo personale del più giovane rivale, Musk mercoledì si è stancato di apparire improvvisamente come un incumbent e si è ripreso la scena per annunciare in una delle solite email, passate immediatamente alla stampa amica, che la casa californiana premerà l’acceleratore sul progetto del proprio camion sostenibile. Si tratta del Semi con cui vuole affrontare Nikola Motor (che in effetti lavora a una gamma di tre modelli).

Considerati i tanti progetti che già occupano Tesla, il Semi così come la sportiva Roadster, non apparivano più come essenziali. Tanto che le ultime comunicazioni riguardanti il veicolo commerciale elettrico (seguito con particolare attenzione dal manager francese Jerome Guillen) ne indicavano un rinvio al 2021, due anni dopo la data d’esordio inizialmente prevista al lancio.

Il grafico relativo alla capitalizzazione di borsa Toyota, Tesla e Volkswagen alla fine della giornata del 10 giugno, quella in cui la casa americana più si è avvicinata a strappare il posto di primo gruppo auto per valore ai giapponesi (credito immagine e fonte dati: Bloomberg)

Il risultato della discesa in campo di Musk è stato un immediato calo del 17% per Nikola Motor, ma soprattutto un’impennata dei titoli Tesla di oltre l’8% fino alla chiusura di mercoledì a $1.025, che ha portato la capitalizzazione Tesla a circa $189 miliardi, sempre più vicina a quella del primo gruppo auto globale Toyota, a quota $215.

Quella giornata si è rivelata nel giro di 24 ore un episodio interessante ma effimero, visto che ieri gli indici principali di Wall Street sono scesi del 7%, il calo peggiore dal panico generalizzato visto a marzo, con Nikola e Tesla scesi ancora rispetto ai massimi. Oggi sia gli indici europei sia le pre-aperture americane suggeriscono che una parte della periodica dose di panico sia stata consumata.

Peraltro queste vicende di Tesla o Nikola Motor che tratteggiano colpi di scena degni di una serie di Netflix, rischiano di far perdere di vista temi sostanziali per il futuro sostenibile dei trasporti, messi ombra dalla quotazione istantanea mirata a rispondere alla bulimia dei trader.

Lo sviluppo di veicoli commerciali elettrici e fuel cell in effetti ha bisogno di risposte più concrete su problematiche che interessano un settore vitale, come si è visto ancora meglio durante la pandemia. Il settore delle consegne a corto raggio appare avere un potenziale al quale stanno cominciando a rispondere una gamma sempre più folta di camion medi, ai quali in Europa si aggiungerà il prossimo anno anche il Nikola Tre prodotto in Germania da IVECO.

Ma per il medio e lungo raggio i percorsi più praticabili sono ancora da definire, a cominciare dall’alternativa fuel cell/batteria di trazione. E Trevor Milton ha tutto sommato fatto bene a portare il confronto su Twitter verso dettagli tecnici invece che sull’hype, con una domanda sul peso del Tesla Semi di massima taglia.

Quale maxi-camion ha più chance di successo per i viaggi a lunga percorrenza: un modello elettrico da 30.000 libbre o un fuel cell che potrebbe pesare 10.000 libbre (4.535 chili) meno?

La risposta ovviamente dipenderà anche dalle esigenze della singola clientela e dell’infrastruttura, con le colonnine più diffuse ma più lente nell’erogare energia rispetto alle stazioni di rifornimento di idrogeno. A dirla tutta, si tratta dei confronti tra Tesla e Nikola Motor che più ci appassionano, rispetto a quotazioni di borsa condizionate da fattori poco trasparenti.

Così, se non condividete questa opinione e al contrario state leggendo queste righe perché volete proprio infilarvi in borsa in questo periodo dominato dai più pericolosi animal spirits, almeno mettetevi prima una bella mascherina. Ma per non bruciarsi meglio che sia di amianto, come le tute antincendio dei vigili del fuoco negli aeroporti.

Credito foto di apertura: press kit Nikola Motor