BATTERIE

Le celle per le batterie di queste auto elettriche? Dalla ricerca di Battery 2030+

Manifattura all’avanguardia richiede ricerca all’avanguardia: al Politecnico di Torino la professoressa Silvia Bodoardo ci ha indicato dove punta l’iniziativa di ricerca europea a lungo termine

Due anni fa sarebbe stato forse sorprendente ipotizzare che a metà del 2019 avrebbero raggiunto i €100 miliardi gli investimenti nel settore battery in Europa per supportare una supply chain delle batterie agli ioni di litio che punta a non lasciare alla sola Asia i prodotti che domani rappresenteranno il “cuore” di una manifattura come quella auto, settore che in Europa oggi vale quasi 14 milioni di posti di lavoro.

Sono gli effetti dell’improvvisa iperattività in questo terreno di molti gruppi auto e non solo, bene accolta da quel Vicepresidente uscente della Commissione Europea Maros Sefcovic che vuole 10, 20 Gigafactory che sfornino celle e che ha supportato European Battery Alliance, l’associazione di scopo tra vari stakeholder che contribuirà ad arrivare allo sbocco di industrializzazione.

Ma la manifattura, a maggior ragione quella innovativa, non ha solo un domani: ha un dopodomani e un domani lontano che comportano progetti di ricerca e sviluppo dinamici, magari sorprendenti e inattesi.

Tutto necessario per equipaggiare negli Anni ’30 auto che qui abbiamo rappresentato nella foto di apertura con un concept futuristico come quello Bentley EXP 100, che non a caso la marca inglese ha immaginato spinto da celle litio-aria oggi ancora di là da venire quale soluzione industriale.

Per arrivare a trasformare in realtà quelle celle (e altre che nemmeno sospettiamo) già oggi esistono progetti e si stanno tracciando roadmap. In queste righe punteremo l’attenzione su Battery 2030+: una iniziativa di ricerca a lungo termine e su larga scala incentrata sulle tecnologie delle future batterie.

In Italia ad occuparsene con infaticabile energia è la professoressa Silvia Bodoardo, che AUTO21 ha incontrato nel suo ufficio al Politecnico di Torino, dove ci ha spiegato come è nata l’iniziativa: “l’Unione Europea aveva lanciato un bando per nuove FET (future and emerging technologies) flagship, da cui era nato un piccolo gruppo che aveva voglia di mettere insieme un consorzio. Da un primo momento di confronto e dal fatto che il tema batterie è di grande importanza è nato un piccolo core group”.

“Poi ci sono state tre giornate tutte dedicate alle batterie a gennaio 2018 a Bruxelles, di cui una giornata era dedicata ai progetti FET. Personalmente avevo presentato progetti su sistemi Litio/Aria, su tecnologie un po’ più lontane nel futuro. Da quelle giornate di consultazione è nato un gruppo che da 5/6 persone è salito a 13, sempre molto ristretto ma che rappresenta un pochino l’eccellenza in Europa nell’ambito delle batterie”.

Poiché il meccanismo dei finanziamenti alle FET flagship è arrivato a conclusione l’Unione Europea, confermando ulteriormente il proprio interesse per il settore, ha chiesto al gruppo coordinato da Kristina Edström dell’università di Uppsala e con Simon Perraud del CEA come vice di spostarsi su un altro tipo di CSA (Coordinator Supporting Action).

L’elenco dei partner è ricco e variegato: in Germania ci sono ad esempio istituto Fraunhofer, KIT, Jülich, in Francia CNA, CNRS e Recharge, in Svezia l’università di Uppsala, poi i Politecnici di Danimarca e di Torino e altre istituzioni accademiche e di ricerca sparse sul Vecchio Continente.

La CSA del gruppo impegnato in Battery 2030+ dura un anno, durante il quale viene presentata l’iniziativa nei vari paesi (in Italia è stato a giugno a Roma, in una giornata seguita ed affollata a cui hanno dato il loro supporto ENEA ed ENEL) e a preparare nuove proposte progettuali.

E gli argomenti innovativi non scarseggiano, come ci conferma la professoressa: “Battery 2030+ sta cercando di portare novità. In questo momento ci sono tre call aperte: una sulla parte di modellazione. Mentre oggi a livello di cella si tende a standardizzare, proponiamo di procedere in un’ottica di reverse engineering, cercando di approcciare il tema nella sua complessità, ma dall’altra parte. In parallelo quello che serve è una profondissima conoscenza dei materiali, delle interfacce e così via per avere performance che siano le migliori possibili”.

Per arrivare a un salto di qualità il gruppo è all’opera sullo sviluppo di una piattaforma chiamata BIG MAP (Battery Interface/interphase Genome Material Acceleration Platform): ”questa piattaforma punta all’accelerazione della progettazione e alla produzione di nuovi materiali utilizzando la robotica e anche tecniche di machine learning per apprendere ed arrivare più rapidamente alla sintesi ed alla realizzazione di sistemi completamente innovativi che oggi non abbiamo sul mercato”.

I primi percorsi aperti da Battery 2030+ includono: diffusione capillare delle tecniche di machine learning per il design delle nuove celle, sensoristica smart e materiali che si auto-riparano

Se vi state domandando quanto possa essere complicato applicare il machine learning (tecnica che di massima, come nei primi casi di successo nel settore della computer vision, predilige dati in volumi smisurati) per produrre risultati in un campo nel quale molti dati si presume siano coperti da riservatezza sareste fuori strada. Perché nell’ambito della ricerca là dove ci sono finanziamenti UE i dati devono essere disponibili, le pubblicazioni devono essere open access e quello che la UE finanzia deve essere reso disponibile.

La coordinatrice italiana di Battery 2030+ però ci ha anticipato un’altra difficoltà che attende chi sta aprendo questo percorso: “uno dei temi più grossi sarà che non dobbiamo solo dare ‘in pancia’ ai sistemi i dati buoni. Oggi un risultato pubblicato è frutto di molti esperimenti che sono stati scartati, sistemati o regolati. Ma tutto quello è comunque servito a me essere umano per arrivare a definire il quadro”.

Le pubblicazioni non riportano però quel lavoro scartato, ma solo quello con esito positivo: “alla macchina devo insegnare le cose giuste, ma devo dargli  anche i bad data. Questo sarà difficile da ottenere per certi aspetti, ma senza la macchina non può imparare. Tutti noi abbiamo molti dati non venuti bene, ma non abbiamo l’attitudine a considerarli indispensabili. Cambiare approccio si tratta di una attività assolutamente interdisciplinare, perché richiederà capacità computazionale, di sensoristica”.

Le altre 2 call sono rispettivamente legate a elettrodi con capacità di self-healing (che si auto-riparano) e la terza all’utilizzo di sensori dentro la cella. Se in un caso si tratterebbe di un progetto completamente nuovo, l’altro rappresenterebbe un salto di qualità per applicazioni che già vediamo: “Oggi la sensoristica c’è già dentro la batteria, ma abbiamo soprattutto l’impiego di termocoppie che misurano la temperatura esternamente, in alcune particolari applicazioni ci sono anche sensori di volume per vedere se si forma del gas e se quindi la cella tende a rigonfiare”.

“Sarà diverso se riusciremo a fare misurazioni dentro la cella, al di là della temperatura, pressione, volume, anche della composizione dell’elettrolita, la formazione locale di gas, le correnti specifiche di ogni posto, o come cambia l’interfase tra elettrodo ed elettrolita. Ci permetterebbe di avere informazioni molto più precise per rendere i sistemi decisamente più sicuri”.

Ancora più curiosità c’è sulle opportunità che saranno in grado di aprire nuove batterie con doti di auto-riparazione, una ipotesi che renderebbe sempre più importanti i separatori all’interno della cella. Le prospettive per queste possibilità in campo batterie arrivano sulla scia di studi in altri campi, dalla medicina alle nanotecnologie. “Il mio collega Jean-Marie Tarascon, che ha lanciato queste idee, usa dire che la batteria è come il corpo umano”, spiega la referente italiana di Battery 2030+.

”Bisogna tenere le temperature al punto giusto, si deve riaggiustare, ha bisogno di un flusso costante di informazioni per consentirle di ripararsi eccetera. Alcuni materiali che potrebbero essere utili sono a cavallo davvero tra biologia e farmaceutica, ma bisogna tenere presente che quello delle batterie è un ambiente molto diverso”.

“Noi non possiamo usare sistemi a base acquosa e non potendo usare una base acquosa molti materiali che sono familiari in farmaceutica e biomedicale si disgregherebbero, perché noi usiamo solventi organici. Ma abbiamo soluzioni alternative percorribili: ad esempio l’uso di ciclodestrine, la nanostrutturazione degli elettrodi con tecniche di elettrospinning per formare fibre sono di grande interesse e possono prendere piede in questo ambito. In effetti abbiamo iniziato a puntare su alcuni dottorati in questo settore, anche per andare avanti in quello che stiamo già facendo qui a Torino”.

Un tratto caratteristico dell’iniziativa di Battery 2030+, direttamente connesso al suo guardare a scadenze distanti, è la scelta di essere chemistry neutral. Ovvero? “Vuol dire cercare nuove tecnologie che possano rispondere a tutte le esigenze. Un sensore innovativo che misura temperatura, correnti locali, formazioni di gas, composizione delle soluzioni, lo posso applicare che sia alla chimica litio ione, litio aria, litio zolfo, sodio ione”. 

“Quello che è chiaro è che gran parte delle nuove attività partirà da qualcosa che oggi conosciamo molto bene. Non si è deciso di andare su un’unica tecnologia, anche se grazie ai suoi molti vantaggi il litio è dominante, perché solo 15 anni fa la situazione era differente e oggi non posso dire sinceramente se la tecnologia dominante tra 15 anni sarà, ad esempio, il sodio. Io personalmente sono convinta che il litio magari terrà banco per molto tempo, specie se si punta con efficacia sul riciclo delle celle esauste mediante metodi sostenibili, ma il progetto cerca di sviluppare una ricerca di base aperta e disponibile”.

Gli obiettivi delle ricerche di Battery 2030+ procederanno verso l’industrializzazione di cui si occupa il consorzio European Battery Alliance filtrate dai gruppi di lavoro di BatteRIes Europe

Di fatto Battery 2030+ farà parte di un framework a cavallo tra ricerca e industrializzazione che avrà tre livelli, livelli che sfoceranno nel campo in cui opererà European Battery Alliance, ovvero proprio là dove si “gioca” con le Gigafactory. “In mezzo tra Battery 2030+ e EBA c’è BatteRIes Europe: in questo caso non si tratta di un progetto ma di un anello di collegamento”, ci spiega il professore associato dell’ateneo torinese.

Le celle per le batterie di queste auto elettriche? Dalle ricerche di Battery 2030+ 1
Tratta dalla presentazione italiana di Battery 2030+ avvenuta a Roma all’inizio di giugno, questa slide mostra i tre livelli delle iniziative di ricerca ed industrializzazione delle batterie: da sinistra a destra il percorso procede dalla ricerca a lungo termine alla manifattura (credito immagine: Battery 2030+ via Silvia Bodoardo)

“Dentro a BatteRIes Europe stiamo lavorando per tematiche: dalle nuove tecnologie fino ad arrivare alle varie applicazioni. L’idea è supportare Battery 2030+ per fare transitare le idee più innovative e ‘pazze lungo roadmap che partono da lì e arrivano fino all’industrializzazione. Essere inseriti nell’ambito di queste iniziative ci dà visibilità e ci permette di capire quale sia la traiettoria del settore”.

Questi gruppi di lavoro comprendono presenze miste di persone di accademia, industria ed associazioni. In quattro ci saranno presenze italiane: nel gruppo su tecnologie delle batterie nuove emergenti c’è il professor Stefano Passerini (che insegna in Germania), in quello sui materiali avanzati appunto la professoressa Bodoardo, in quello su manifattura e progettazione delle celle Carlo Novarese (manager dell’azienda specializzata piemontese Lithops) e infine in quello che tratterà applicazione ed integrazione nell’energy storage Luigi Lanuzza (ENEL) e Rachele Nocera (ENEA).

In aggiunta, potranno interagire coi progetti a lungo termine anche quelli seguiti dal programma IPCEI coordinato dai vari governi, nel caso italiano dal Ministero per lo Sviluppo Economico.

Tra i vari ministeri italiani di fatto l’unico che già stia muovendo fondi per il settore, nel quale finanzia la ricerca di sistema e che ha dato anche mandato proprio a Lithops di coordinare un’iniziativa locale che possa interfacciarsi con altri progetti IPCEI ed avere in seguito sbocchi industriali.

Esistono anche altri progetti che sono nati tra regioni: il programma AMBP in Italia vede coinvolte Piemonte, Lombardia e Emilia Romagna con l’idea di stringere collaborazioni trans-regionali per cercare di creare del valore aggiunto.

A questa fitta rete di idee e iniziative, in realtà lavora un numero sorprendentemente piccolo di specialisti, però molto determinati, come conferma la professoressa italiana: “Finora siamo pochi in effetti, ma cerchiamo comunque di fare da traino per convincere i nostri governanti che, se si mettono delle risorse, si può andare avanti anche in un tema fondamentale come le batterie”.

Nella rincorsa a cercare di portare il pianeta-Europa al centro del ‘sistema solare’ delle batterie un fattore critico sono evidentemente i fondi. E in questo caso non si può dire che l’Italia parta avvantaggiata: “Abbiamo discusso molte volte a livello nazionale in Italia per cercare di arrivare a fare massa critica sui progetti, e personalmente ho spinto molto cercando di fare ricerca di qualità e fare da traino per far crescere la ricerca in Italia”.

“La realtà in questo settore è che tutti i ricercatori italiani messi insieme non fanno i ricercatori di uno dei centri tedeschi, ed è difficile fare massa critica quando si è in questi numeri. Altrove esistono finanziamenti nazionali tali da far sì che, ad esempio in Svezia o Francia, ci siano ricercatori che non hanno mai dovuto applicare per bandi europei perché non ne sentono veramente la necessità. In Italia, se non andiamo a cercare quei fondi europei in molti casi veramente non sappiamo come farci finanziare”.

Le celle per le batterie di queste auto elettriche? Dalla ricerca di Battery 2030+
Per reinventare come si progettano le celle, Battery 2030+ mira a fotografare la realtà microscopica e molecolare di materiali, interfacce e interfasi: con tecniche di analisi che vanno dalla risonanza al sincrotrone (credito immagine: grafico tratto da pagina 10 bozza roadmap Battery 2030+)

Se si guarda a una delle immagini della bozza di roadmap stesa dal gruppo Battery 2030+, si noterà che la ricerca avanzata sulle celle avrà la necessità di tantissimo lavoro di analisi che dovrà passare da laboratori in grado di sviscerare a livello microscopico i materiali ed i componenti.

Se leggere della necessità di passare ore di tempo-macchina attraverso risonanza magnetica oppure in laboratori dove le molecole sono “illuminate” dalla luce di sincrotrone non sorprende, a questo si affianca il parallelo bisogno di attrezzature e fondi.

Malgrado il contesto non sempre favorevole, la docente torinese è in grado di esprimere parole di fiducia sulle opportunità di essere in primo piano nella ricerca in questo spazio: “in realtà di ciò che si vede su quel grafico siamo in grado di fare parecchie cose”.

“Per quanto riguarda NMR (risonanza magnetica) ad esempio non sempre in situ al Politecnico, ma possiamo andare a farlo a Milano Bicocca. Quello che manca ad esempio è il tempo-macchina al sincrotrone, vuol dire che un po’ per volta si applicherà, le risorse necessarie sappiamo non sono poche”.

“Non possiamo lamentarci qui al Politecnico né come gruppo né come ateneo: abbiamo vinto numerosi progetti europei, le aziende con fatica ma investono e anche recentemente abbiamo iniziato colloqui con un grosso gruppo. L’ateneo ha fondato 13 laboratori interdipartimentali e su ogni laboratorio ha messo €3 milioni, un investimento non proprio piccolissimo”.

“Altre risorse sono arrivate da bandi regionali, ma certo l’acquisto di grosse attrezzature non è così facile. Io personalmente vedo che ogni sforzo per dare visibilità sembra smuovere qualcosa, e spero che serva a realizzare alcuni sogni. Stiamo aprendo un grosso laboratorio di microscopia elettronica, dove spero di avere una camera in grado di aprire le celle per le nostre ricerche… Vedere come l’interesse stia crescendo mi fa sperare di poter arrivare a candidarci a pieno titolo come un centro importante a livello europeo”.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Bentley Motors