BATTERIE

Chalmers University accerta l’impatto limitato di emissioni nelle batterie al sodio

I ricercatori del politecnico svedese hanno effettuato una valutazione del ciclo di vita delle celle sodio-ione, definendole migliori di quelle litio-ione per quanto riguarda l’approvvigionamento e alla pari sui dati GHG

La Svezia da tempo si è segnalata per l’attenzione all’impatto effettivo sulle emissioni di auto elettriche e loro batterie prese in esame nel ciclo di vita completo, finanziando più studi indipendenti. Non è probabilmente un caso che proprio in Svezia abbiano sede i costruttori di auto elettriche e di celle, rispettivamente Polestar e Northvolt, che più puntano al primato di settore nel costruire i prodotti col minore impatto.

La casa auto svelando lo scorso novembre il primo Life Cycle Assessment (LCA) di Polestar 4, ha rivendicato la più bassa impronta di carbonio di tutte i modelli realizzati fino ad oggi, a partire da 19,4 tonnellate di CO2e al momento del lancio, tra le migliori mai ottenute finora.

L’Agenzia Svedese per l’Energia, attentissima a questi aspetti, ha finanziato attraverso il suo Battery Fund Program un nuovo studio affidato alla Chalmers University che da poco è stato pubblicato sul Journal of Industrial Ecology col titolo: “Prospective life cycle assessment of sodium-ion batteries made from abundant elements”.

Lo studio è andato ad indagare una tecnologia emergente nelle batterie e di cui ci siamo già ripetutamente occupati: le celle agli ioni di sodio. A differenza del litio, il sodio è una materia prima molto comune e difficilmente potrà mai cadere preda di monopoli o filiere sbilanciate verso un solo paese produttore.

Pertanto l’abbondanza della risorsa sodio è positivo, conferma il testo del paper open access del politecnico svedese, per “l’impatto sulla scarsità di risorse minerarie ed equivalente in termini di impatto climatico”.

Ma il gruppo di ricercatori è andato a cercare i numeri dettagliati del potenziale beneficio della batteria agli ioni di sodio. Da un lato misurando dal punto di vista delle materie prime i benefici rispetto alle celle litio-ione facendo ricorso ad indicatori e parametri specifici e riconosciuti.

Dall’altro gli scienziati di Chalmers hanno sottoposto a verifica i risultati di precedenti valutazioni delle emissioni della produzione di batterie sodio-ione, che in un paper del 2021 avevano concluso che una cella di questo tipo con catodo al bianco di Prussia poteva “pesare” quasi il doppio in termini di sostanze GHG rispetto a celle litio-ione: circa 90 kg contro circa 50 kg di CO2e per kWh.

I numeri che sono stati ottenuti dal team svedese però sono incoraggianti e anche dal punto di vista delle emissioni oltre che da quello della filiera delle materie prime tendono ad attribuire un sostanziale pareggio alle emissioni delle celle sodio-ione rispetto a quelle litio-ione. Questo perché il precedente studio che arrivava a conclusioni opposte per le emissioni di celle litio-ione considerava l’estremità inferiore dei risultati riportati per la produzione su larga scala.

“Il confronto in questo studio”, scrivono gli autori nel paper, “suggerisce che questi valori rappresentano risultati di fascia bassa e superiore rispettivamente per le celle litio-ione e sodio-ione. Quando si considera l’intero intervallo, le cellule sodio-ione basate sul “bianco di Prussia” e le cellule LIB tendono ad essere nello stesso intervallo”.

Il team ha anche fornito i numeri: a seconda dello scenario, le batterie agli ioni di sodio finiscono per consumare tra i 60 e poco più di 100 chilogrammi di CO2e per kWh. “Questo è inferiore a quanto riportato in precedenza per questo tipo di batteria agli ioni di sodio”, sottolinea Rickard Arvidsson, professore associato di Analisi dei Sistemi Ambientali presso Chalmers. “È chiaramente una tecnologia promettente”.

La valutazione del ciclo di vita ha calcolato l’impatto completo di due tipi di batterie sodio-ione alternative, dall’estrazione delle materie prime alla produzione di una cella della batteria prendendo in considerazione celle pouch con capacità da 5 Ah e densità di energia di 160 Wh/kg.

In entrambi i casi analizzati, il catodo era con “bianco di Prussia” (visibile nella foto di apertura e costituito da sodio, ferro, carbonio e azoto). La differenza riguardava l’anodo: costituito da hard carbon proveniente da lignina a base biologica, oppure da materie prime fossili (resina fenolica) mentre l’elettrolita della cella con anodo in lignina era a base verde, così come separatore e legante.

Le celle prese in considerazione per valutare le emissioni erano insomma simili a quelle mostrate a novembre da Northvolt e anche piuttosto comuni nello sviluppo di batterie agli ioni di sodio, che hanno avuto un vero boom da quando hanno convinto il leader globale CATL a produrle.

Lo studio conferma che gli sviluppi possono incontrare fattori favorevoli all’espansione: risultati scoraggianti sul versante delle emissioni in effetti avrebbero potuto fare da freno alla crescita. “Le batterie basate su abbondanti materie prime potrebbero ridurre i rischi geopolitici e le dipendenze da regioni specifiche, sia per i produttori di batterie che per i paesi”, ha affermato Arvidsson nella nota del suo ateneo.

Nella conclusione dello studio, lo scienziato scandinavo e colleghi scrivono che per il futuro “le due raccomandazioni più importanti per il miglioramento delle celle SIB sono (i) che le gigafactory siano alimentate da una rete elettrica priva di combustibili fossili e (ii) che l’anodo di hard carbon sia prodotto dalla lignina anziché dalla resina fenolica”.

È ormai del tutto noto che non solo i gruppi auto ma gli stessi produttori di celle anche in paesi come quelli dell’Est Europa tendono a sottoscrivere contratti esclusivamente con produttori in grado di assicurare fornitura di elettricità da rinnovabili.

Anche i gruppi auto meno convinti nel sostenere la transizione ai veicoli elettrici, come Mazda ad esempio, in questi giorni rivelando i piani di aggiornamento per il futuro hanno espresso la decisione di arrivare entro il 2030 ad avere gigafactory che utilizzino almeno il 75% di energia green: la maggior parte dei gruppi auto globali sono già oltre questo obiettivo.

Hanno ulteriormente modellato la produzione in modo che corrisponda a una futura produzione su larga scala. Ad esempio, la produzione effettiva della cella della batteria si basa sull’odierna produzione su larga scala di batterie agli ioni di litio nelle gigafactory.

Sono stati testati due diversi mix di energia elettrica, nonché due diversi tipi di allocazione delle risorse e delle emissioni. Uno in cui l’impatto sul clima e sulle risorse è distribuito tra i sottoprodotti in base alla massa, e un metodo in cui tutto l’impatto è assegnato al prodotto principale (la batteria agli ioni di sodio e i suoi componenti e materiali).

I risultati ottenuti per la Cella 1 e Cella 2 (la prima con anodi ed elettroliti convenzionali e la seconda con anodo ottenuto da lignina ed elettroliti e solventi più green) indicano nel quadro (a) l’impatto sul riscaldamento globale, in b), c) e d) gli impatti su vari aspetti della disponibilità di materie prime. Gli scenari presi in considerazione per la produzione contrappongono il mix di elettricità medio della UE e l’elettricità proveniente dal solo eolico. (credito grafico: Wickerts, S., Arvidsson, R., Nordelöf, A., Svanström, M., & Johansson, P. (2023). Prospective life cycle assessment of sodium-ion batteries made from abundant elements. Journal of Industrial Ecology, 00, 1–14.)

Considerata la predisposizione del passaggio all’elettricità rinnovabile per le gigafactory di molti produttori interessati alle batterie sodio-ione e che gli anodi a base di lignina potrebbero a medio termine diventare lo standard, gli scienziati hanno anche dato suggerimenti su quelli che potrebbero essere i prossimi obiettivi da migliorare in termini di emissioni.

E non hanno dubbi che il prossimo candidato ad avere un grande ruolo negli impatti sulle emissioni sarà l’elettrolita, dopo le due voci precedenti. Nessuno dei due elettroliti considerati in questo studio (NaPF6 affiancato da solventi organici oppure NaBOB, sodio bis(ossalato)borato in TMP, ovvero trietil fosfato) era chiaramente preferibile rispetto all’altro, e pertanto viene ritenuto necessario dare la priorità a ulteriori ricerche sugli elettroliti per celle sodio-ione rispettosi dell’ambiente.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Northvolt