BATTERIE

Investimenti congelati nella Gigafactory: in vista divorzio tra Panasonic e Tesla?

Sono i conti che non tornano nello spietato settore delle batterie a mandare in crisi la collaborazione tra americani e giapponesi che ha reso possibile il primo “miracolo” dell’auto elettrica

Dal Giappone arrivano segnali di forte tensione nei rapporti tra Tesla e Panasonic: i due partner secondo quanto riferisce stamattina Nikkei, stanno congelando i progetti di espansione della Gigafactory del Nevada, l’impianto che realizza celle per batterie ad uso veicolare e per uso stazionario.

Secondo l’agenzia giapponese la pianificata espansione della più grande fabbrica di batterie del globo, la cui capacità doveva essere accresciuta del 50% nel 2020, sarebbe stata messa in stand-by per problemi economici: dopo una rara fase nella seconda parte del 2018 in cui Tesla aveva guadagnato, nel 2019 l’azienda sembra tornare al rosso a fine consuntivo, e finora il partner Panasonic non è riuscito a vedere sostanziali profitti dalla sua attività di partner della marca leader nella mobilità elettrica, al contrario.

La Gigafactory produce celle cilindriche Panasonic con chimica NCA per le Model 3 e i due modelli di lusso, e celle con chimica NCM per impianti di accumulo, celle a cui Tesla aggiunge il confezionamento in moduli e pacchi e soprattutto il Battery Management System che molti addetti ai lavori ritengono essere l’asso nella manica della casa diretta da Elon Musk.

Dai 35-36 GWh di capacità previsti per il 2019 si doveva passare ai 54 del prossimo anno: in quest’ottica i due partner avevano in programma di investire $4,5 miliardi nell’impianto. Secondo il Nikkei il presidente Panasonic Kazuhiro Tsuga fino allo scorso autunno intendeva confermare una spesa in conto capitale di settore compresa tra $900 milioni ed $1,35 miliardi.

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La Gigafactory del Nevada finora precedeva come capacità produttiva tre impianti di batterie agli ioni di litio in attività in Cina (Credito grafico e fonte dati: Benchmark Mineral Intelligence)

Al momento il congelamento dell’ampliamento della Gigafactory del Nevada non comporta modifiche alla attuale operatività congiunta dell’impianto. Ma in attesa di svolte, quali potrebbero essere il lancio americano dell’attesissimo crossover Model Y, e dell’eventuale rilancio degli incentivi federali anche per le marche che come Tesla e General Motors sono scaduti per aver raggiunto le 200.000 immatricolazioni, questo impianto sembra quello più soggetto agli ondeggiamenti della domanda globale.

In questo caso potrebbe essere determinante il rilancio dell’economia e del mercato cinese. A Shanghai Tesla ha iniziato a realizzare un impianto che produrrà veicoli (incluso Model Y) e batterie. Ma Panasonic avrebbe sospeso anche gli investimenti nell’impianto in Cina, perché su quel mercato le Tesla saranno equipaggiate con celle provenienti da fornitori diversificati, il che significa anzitutto cinesi.

Poiché la casa giapponese fornirà una piccola parte delle celle delle batterie, è comprensibile che non voglia sobbarcarsi oneri eccessivi nello sviluppo dell’impianto di Shanghai. Ma con il rapido calo dei prezzi delle celle i margini per i produttori di celle di qualità stanno diventando sempre più risicati, un effetto che probabilmente porterà a consolidamento del settore e ad alleanze al momento ancora tutte da stabilire.

Ma, come era emerso a tratti già nel corso dell’inverno, Panasonic potrebbe anche avere male digerito l’acquisizione (una delle rare effettuate da Tesla, che preferisce l’approccio di sviluppo in-house) della californiana Maxwell Technologies per $218 milioni.

L’azienda acquisita, oltre a sviluppare ultra-capacitori, ha anche portato avanti ricerche su un particolare trattamento degli elettrodi che potrebbe aumentare significativamente la densità di energia delle celle, e non è possibile escludere che Panasonic non abbia gradito l’apertura ad alternative oltre che commerciali, come in Cina, anche tecnologiche.


Credito foto di apertura: press kit Tesla