Due settimane per far volare alto i primi SUV elettrici premium
Domani con la “prima” Audi che segue quelle dei SUV elettrici Mercedes e BMW si completa il lancio di una nuova fase per la Germania a quattro ruote
Tra qualche anno forse gli storici dell’industria manifatturiera individueranno nel periodo compreso tra il 4 ed il 18 settembre le due settimane che hanno cambiato in modo permanente il mondo dell’automobile tedesca.
Nel corso della settimana BMW ha mostrato privatamente a circa 300 addetti ai lavori e giornalisti il concept Vision iNext portandolo in giro per il globo su un Boeing 777 Cargo che Lufthansa ha attrezzato appositamente per l’occasione.
Questo evento di marketing globale si è inserito in modo certo non casuale tra la presentazione a Stoccolma del SUV elettrico EQC col quale la Mercedes-Benz ha aperto un nuovo capitolo e la prima mondiale martedì (ma a San Francisco sarà ancora lunedì) di un terzo SUV elettrico premium: l’Audi e-tron.
Non sembra contare poi molto che ci sia la possibilità reale di vedere su strada entro la fine dell’anno soltanto il SUV silenzioso dei quattro anelli, né che quando vedremo in strada o in autostrada l’EQC saranno tornati i mesi caldi.
E nemmeno che nel caso del BMW iNext occorrerà attendere il 2021 ed una nuova generazione di batterie che ne porterà l’autonomia alle soglie dei 600 chilometri (distanze che attualmente appaiono ancora un miraggio).
Si tratta dell’inizio di una rotta verso un “porto” elettrico nel quale i gruppi dell’auto tedesca nei prossimi tre anni spenderanno €40 miliardi. BMW nel solo progetto delle attuali i3 ed i8 ha riversato almeno €3 miliardi.
A testimoniare la salute dei conti della marca di Monaco basti ricordare che quegli investimenti (malgrado il limitato successo di vendite) non hanno intaccato il primato tra i marchi premium nel parametro del margine.
In altri termini, i marchi tedeschi di prestigio stanno spendendo molto, ma investono soldi che loro hanno e che sperano gli consentano di costringere invece all’angolo chi coi finanziamenti è da tempo alle corde (malgrado le smentite): come l’attuale diva dell’auto elettrica Tesla.
La marca di Elon Musk nel 2017 ha castigato gli incumbent nelle vendite dei modelli di lusso: la Model S ha battuto le “corazzate” Classe S, A6, Serie 7 sia in America, dove la cosa non sorprende, che nella stessa Vecchia Europa.
Di recente le 17.800 Model 3 consegnate l’hanno reso il quinto modello di auto più venduto in U.S.A. ad agosto. Si trattava, inoltre, di più macchine vendute rispetto a tutte le consegne di BMW nello stesso mese (14.450), oltre a lasciare a distanza il secondo modello premium medio più venduto, la Mercedes-Benz Classe C consegnata a 11.590 clienti.
Dovrebbe suggerire qualcosa che, nonostante questi successi della casa di Elon Musk, i marchi premium non abbiano presentato in queste due settimane veicoli in diretta concorrenza col prodotto californiano di maggior successo.
Tutti si sono concentrati invece sul settore in maggior espansione globale: quello dei SUV. Anzi, se per Mercedes ed Audi era scontato che proprio di questo tipo di veicolo elettrico si trattasse, BMW ha compiuto un passo significativo.
Il suo nuovo concept (ma credibile anticipazione del modello stradale) è un SUV elettrico della classe dell’attuale X5. Gli ultimi concept esibiti dalla casa di Monaco di Baviera, il i Vision Dynamics dello scorso anno ed il Vision Next 100 dell’anno prima, invece sognavano berline sportive lussuose, forse più in linea con la tradizione bavarese.
Ma ormai, considerate le cifre colossali in gioco, sembra esserci ben poca discussione sul fatto che quelle somme debbano essere puntate sui prodotti vincenti, anche sacrificando all’occorrenza il blasone.
Tra Audi, BMW e Mercedes nessuno ormai sembra avere dubbi che i ricavi ed i profitti arriveranno soprattutto dai SUV, così come per i gruppi francesi o quelli giapponesi soprattutto dai più piccoli crossover (come il primo di PSA).
Ma se i marchi premium tedeschi paiono condividere le stesse aspettative sui settori che è determinante occupare coi nuovi prodotti elettrici al 100%, sussiste invece un grande dubbio sulla loro voglia di adottare l’approccio senza compromessi di Tesla quando si passa alle linee di produzione.
Le Model S o Model 3 non dividono la piattaforma con auto convenzionali. Nel caso dei gruppi tedeschi la risposta è molto meno netta.
Volkswagen ed i suoi marchi hanno fatto la scelta più radicale e costosa: linee dedicate, sia per le Audi che per la famiglia I.D. che verrà.
BMW e Daimler hanno fatto scelte che hanno invece come bussola la flessibilità. La prima perché scottata dall’esperienza delle costose i3. La seconda con altri criteri.
Nella divisione emergente tra chi costruisce usando architetture che possono essere impiegate con veicoli convenzionali e chi no BMW (come i marchi francesi) ha scelto la prima soluzione.
Nel caso del marchio francese più generalista, Renault, dalla linea di Flins escono Zoe elettriche e Clio convenzionali.
Nel caso di BMW la flessibilità è ancora più spinta; perché dall’impianto uscirà un modello con la motorizzazione indifferentemente scelta dal cliente tra le proposte del momento: elettrica, ibrida plug-in o termica.
Patrick McGee del Financial Times in questi giorni ha scritto che c’è una diffusa convinzione che ormai la metà del budget in ricerca e sviluppo delle case auto se ne va nello sviluppare le piattaforme.
Puntare le somme sulla scelta giusta è un fattore determinante per i futuri bilanci e per gli immediati risultati della produzione.
Daimler per lanciare i suoi dieci modelli elettrificati previsti entro il 2022 ha scelto una soluzione intermedia tra quella in stile-Tesla di Volkswagen e quella ultra-flessibile di BMW.
La gamma EQ che porta il badge della mobilità elettrica Daimler è progettata con in mente veicoli esclusivamente elettrici, anche se linee e forme predilette evitano scelte di rottura con la storia della casa sveva.
Sarà invece nella produzione che Daimler cercherà la flessibilità maggiore: gli impianti sono stati ri-progettati per accogliere ogni tipo di soluzione tecnologica.
Il che oggi vuol dire veicoli con batteria di trazione accanto a quelli convenzionali, ma un domani sarà anche tecnologia dell’idrogeno, a cui a Stoccarda non hanno rinunciato.
Il capo della produzione Daimler Markus Schaefer al Financial Times ha detto: “abbiamo ibride, ibride plug-in, auto elettriche e forse un domani robotaxi. E’ difficile anticipare i volumi nella maniera migliore in un mondo incerto, quindi questo è l’approccio migliore per rispondere al mercato“.
Per alcuni critici anche la scelta di chi come il gruppo Volkswagen è passato dal compromesso di commercializzare modelli elettrici nati da pianali convenzionali, come nel caso di e-Golf o A3 e-tron, a linee dedicate come l’impianto Audi di Bruxelles o quelli Volkswagen di Dresda e Zwickau non pare essere abbastanza.
Al quotidiano finanziario Handelsblatt, l’analista Arndt Ellinghorst di EverCore ISI ha detto: “le prime vere auto elettriche della Germania saranno costosi compromessi tra il vecchio ed il nuovo mondo“.
Peter Fuss della società di consulenza EY è solo di poco più ottimista: “al contrario di alcuni precedenti modelli questa offerta può essere una seria sfidante. Possono conquistare un mercato di nicchia, ma non saranno in grado di diventare un successo sul mercato di massa“.
In realtà, le auto elettriche dovranno essere un fenomeno di massa (ovvero arrivare entro metà della prossima decade ad un quarto del mercato) se i grandi gruppi dell’auto vogliono rientrare nei tetti previsti in Europa e fuori per le emissioni senza incorrere in onerose sanzioni.
Questo, secondo il responsabile della mobilità elettrica Volkswagen Christian Senger, sarà un motivo per andare al 100% in una direzione: “Non sopravvivi tra i compromessi. Se fai le cose convinto a metà ti ritroverai con perdite enormi“.
Chi prende le decisioni nelle stanze dei bottoni dell’industria dell’auto, oggi sembra sempre più convinto della validità della Legge di Say per aprire la porta al successo dei modelli elettrici.
Questo avrà necessariamente conseguenze, dato che come noto l’economista francese non credeva alla eventualità della sovrapproduzione.
Col Financial Times, un altro analista Max Warburton di Bernstein, ha commentato: “se hai una piattaforma dedicata alle auto elettriche e la domanda non tira, hai perso un sacco di soldi“.