Pechino gioca d’anticipo sul protezionismo aprendo la porta alle case auto globali
Già dal 2018 ogni casa auto internazionale potrà costruire auto elettriche senza più essere costretta a joint venture con soci cinesi che detengano il controllo
Ci sono poche istituzioni in Cina le cui mosse siano seguite con attenzione dai colossi industriali globali quanto quelle della potentissima NDRC (National Development and Reform Commission).
La NDRC oggi ha colto tutti o quasi in contropiede annunciando che la vecchia norma del 1994 che impedisce ai gruppi auto stranieri di detenere la maggioranza delle joint venture in Cina sarà gradualmente mandata in soffitta.
Le case internazionali più sbilanciate nella corsa alla elettrificazione, oppure quelle che già dell’auto elettrica hanno fatto una bandiera sono quelle che si vedranno aperte le porte per prime. Questione di pochi mesi e potranno avviare attività detenendone fino al 100% della proprietà, oppure cercare la maggioranza nelle numerose joint venture già esistenti con partner locali.
Poi sarà il turno dei veicoli commerciali, dal 2020, e a seguire il “liberi tutti” nel 2022. Si tratta di una accelerazione sorprendente su un provvedimento di cui si vocifera fin dal 2016 ma che regolarmente non era stato tradotto in realtà.
I più ottimisti se lo aspettavano diventare realtà magari a metà degli anni ’20; ma le tensioni commerciali aperte dall’atteggiamento sempre più bellicoso della Casa Bianca hanno iniziato a trasformarlo in una realtà prima del previsto.
Considerata l’impostazione del provvedimento si sarebbe portati a dire che la prima a beneficiarne possa essere Tesla, i cui progetti di aprire una fabbrica locale nelle zone economiche speciali dell’area di Shanghai senza dover avere partner a cui cedere proprietà intellettuale o dare informazioni proprietarie sono state frustrate per numerosi mesi.
Ovviamente, specie considerando le difficoltà di mettere in assetto di navigazione definitivo la linea di produzione della nuova Model 3 (che questa settimana per la seconda volta in tre mesi viene fermata per sistemare problemi), non pare che l’apertura della NDRC si tradurrà in uno stabilimento Tesla attivo e marciante nel giro di pochi mesi.
Ma ora Elon Musk & C. possono guardare al mercato numero uno al mondo senza più dover mettere in conto la guerra ad armi impari coi protagonisti locali sempre più ambiziosi, che sfuggono ai dazi del 25% sulle importazioni.
Peraltro la misura sembra poter impattare ancora più a breve termine soprattutto le marche tedesche. Per la marca Volkswagen la Cina rappresenta la metà delle vendite, mentre è il primo mercato dei marchi premium Audi, BMW e Mercedes-Benz.
Faticate a non trovare annunci ambiziosi di programmi di modelli elettrificati o al 100% a batteria da parte di queste case. Volkswagen ha promesso 40 veicoli elettrici sul mercato entro il 2025: per dare un metro di paragone Nissan, che produce con la Leaf l’elettrica più venduta nella storia recente, ne ha messo in cantiere 20 entro il 2o22.
Che tutti questi brand abbiano da tempo avviato progetti destinati a rinforzarne la presenza nel settore delle auto elettriche aprirà nuove opportunità a quelli che hanno intenzione di considerare l’ipotesi di fare da soli o comunque aumentare l’indipendenza da marchi locali.
Una scelta che non va data per scontata. Un analista dell’industria dell’auto cinese, Yale Zhang, ha detto all’agenzia Bloomberg che potrebbe volerci una decade per una casa a svincolarsi dalle joint venture attive.
Alcuni gruppi, ad esempio General Motors, di questo non sembrano aver voglia. Un manager ha detto alla Reuters che il rapporto con la SAIC di Shanghai è un asset per gli americani, piuttosto che un peso. In Cina il gruppo è presente con marchi locali e con quelli americani Buick, Cadillac (nella foto di apertura vedete una CT6 ibrida plug-in) e Chevrolet.
Quelli che non vorranno fare come General Motors porteranno quindi un argomento a favore delle autorità di Pechino nella disputa su dazi e commercio internazionale che li vede confrontarsi aspramente con Washington.
Trump o i suoi consiglieri, forse si accorgeranno anche presto che la NDRC ha stabilito una scaletta molto scaltra nel programma di dissoluzione delle vecchie norme: Pechino gioca d’anticipo sì, ma ha ben chiaro dove vuole andare a parare.
I gruppi stranieri potranno entrare in campo in piena autonomia ad iniziare proprio da quel settore delle auto elettriche in cui i gruppi nazionali come BAIC, BYD o SAIC sono meglio attrezzati per sostenere la concorrenza.
In un settore dominato dai marchi locali, quanto a volumi, l’apertura alla concorrenza avviene dove le case nazionali meno hanno da temere il confronto coi marchi globali.
Oltre tutto gruppi come BYD o BAIC, hanno posizioni di preminenza in altri settori oltre all’elettrico, ad esempio mezzi commerciali o autobus, il che sembra metterli in una condizioni di avere le spalle relativamente coperte per affrontare periodi di quote di mercato delle auto elettriche fluttuanti.
Un errore che spesso si scopre nell’argomentare dei media che si dedicano alle auto a zero emissioni è anche spesso quello di mettere a confronto marchi profondamente diversi non solo per tecnologia ma per segmenti.
Confrontare auto elettriche di BYD o Chery con Tesla, non evidenzia abbastanza come il pubblico che compra cinese sia attualmente fuori dal radar della casa californiana.
Finora Tesla ha proposto una media come la Model 3 da $35.000 senza averne ancora venduto una: ha in compenso iniziato a consegnare quelle attorno ai $48.000, una fascia di mercato ben diversa da quelle di chi compra le auto cinesi, spesso adatte solo al traffico delle metropoli.