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La fabbrica Tesla a Shanghai non è più un gioco di ombre cinesi

Secondo il Wall Street Journal sarebbe stato definito l’accordo per produrre le auto di Elon Musk nella zona economica speciale di Shanghai

Ad ogni cambio di stagione sembra arrivare un annuncio che afferma con certezza che, sì, Tesla comincerà a produrre in Cina. A giugno lo aveva sostenuto Bloomberg, ma a quell’indiscrezione non era seguita alcuna conferma concreta.

Oggi invece è il Wall Street Journal ad annunciare che la casa di Elon Musk ha raggiunto un accordo col governo di Shanghai per aprire la sua prima fabbrica cinese, e Tesla ha risposto di prevedere un annuncio in proposito entro fine anno, il che fa pensare che stavolta ci siamo.

Una fabbrica Tesla a Shanghai nella zona di libero scambio, zone finora soprattutto diffuse al sud della Cina, stabilirebbe un primato: si tratterebbe del primo esempio di una casa occidentale che apre bottega sfuggendo all’abituale obbligo di avere un partner paritario locale.

Per le case occidentali questo vuol dire dimezzare utili, e anche condividere metodi e tecnologia. Nell’azionariato c’è un 5% che appartiene al gigante di internet Tencent, quindi Musk non evita per principio gli accordi coi cinesi. Ma l’azienda di Palo Alto non voleva partner ingombranti.

E pagherà per questo un prezzo. Poiché proverranno da queste zone speciali le Model S,  X e 3 o qualsiasi cosa sarà prodotto là (il Journal non dice quando potrebbe partire la produzione né quando dovrebbe essere completato lo stabilimento), le vetture vendute saranno soggette allo stesso dazio del 25% che colpisce tutte le auto importate.

Un dazio che non ha peraltro impedito a Tesla di ottenere dal mercato cinesi ricavi equivalenti a circa $1 miliardo, quasi il 15% dei ricavi globali della marca di auto native elettriche. Ovviamente la produzione in Cina, anche se è una zona economica speciale, consentirà di ridurre i prezzi di vendita, considerando trasporti, mano d’opera e fornitori locali.

E proprio quello della fornitura locale è un altro dei punti interrogativi ancora irrisolti. Tesla ha un accordo fondamentale con Panasonic per la produzione delle celle cilindriche che spingono tutti i suoi modelli. Sembra improbabile che Musk voglia accantonare questo partner fondamentale, insieme al quale sta sviluppando la celebre Gigafactory di batterie nel deserto del Nevada.

Ma se importare batterie in Cina non è illegale, usare batterie non prodotte localmente non consente di accedere ai generosi sussidi sulle vendite di auto elettriche. Panasonic produce in Cina, come altri concorrenti giapponesi e coreani, ma finora solo batterie destinate all’esportazione.

Se le Tesla Model 3 o le vetture di lusso della casa della Silicon Valley non avranno batterie gradite alle autorità cinesi, anche questa voce peserà sul prezzo finale delle auto, oltre ai dazi.

Quale che sia la decisione che in Tesla prenderanno, devono avere comunque considerato che essere presenti in modo massiccio un mercato dell’auto elettrica che quest’anno forse supererà le 700.000 unità vendute e che si prevede si moltiplicherà per dieci a 7.000.000 da qui al 2025 vale la pena a ogni costo.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Tesla