Il professor Shashua svela la formula per la sicurezza dei veicoli autonomi
In quali casi un veicolo autonomo avrà la responsabilità di un incidente? Mobileye dice di avere la risposta pronta, ma la proposta solleva già quesiti
Trasformare i sistemi per la guida autonoma da curiosità tecnologica a risorsa fondamentale della mobilità richiede significative, forse massicce, dosi di fiducia. La fiducia è un fattore realmente essenziale perché la maggioranza della popolazione ne accetti la diffusione.
Sappiamo che oggi la risposta del pubblico a studi e sondaggi che cercavano di capirne l’atteggiamento verso le auto in grado di viaggiare da sole oscilla, nel migliore dei casi, tra la negatività e le perplessità.
Un recente studio messo a punto dal colosso dei chip Intel ha sottolineato come ad intimorire ancora il pubblico siano ancora i tema della sicurezza del veicolo e quello del suo controllo.
La società specializzata nei sistemi di sicurezza e di assistenza alla guida Mobileye, da poco rilevata proprio da Intel per la bella somma di $15 miliardi, in questi giorni ha approfittato di una conferenza in Corea del Sud per portare un suo contributo, contributo che fa già discutere gli addetti ai lavori.
Il nocciolo dell’approccio del suo fondatore Amnon Shashua è: per fare chiarezza occorre poter accertare la catena causale in tutti quei casi in cui l’efficacia del sistema può essere posta in questione. Cioè in caso di incidenti.
Per creare una accettazione delle auto a guida autonoma deve essere facile accertarne la responsabilità (o no) negli incidenti. Case come Volvo o Audi hanno già fatto sapere che per i sistemi attuali o futuri si considereranno responsabili di quanto si verificherà quando i sistemi avranno il controllo.
Mobileye prende una strada che capovolge la prospettiva. Sì, occorre accertare con chiarezza la responsabilità, il nome, cognome ed indirizzo di chi deve risarcire l’eventuale danno. Per riuscire ad arrivare a questo obiettivo Shashua suggerisce un protocollo, un algoritmo, la cui formula riportiamo qui di seguito, ripresa dal sito di EE Times.
Se, una volta accettato urbi et orbi, quel protocollo viene adottato ed eseguito e non si rileva un malfunzionamento dell’hardware (ad esempio del radar o di un sensore) dell’auto, allora la casa automobilistica e chi produce il sistema dovrebbero essere esclusi dalle responsabilità per eventuali sinistri verificatisi.
L’amministratore delegato di Mobileye fa notare che il drastico ridimensionamento della cerchia di responsabilità della casa costruttrice sarebbe compensato da un altrettanto drastico calo dei sinistri.
Perché automobili infarcite di sensori e guidate dai software possono dare un radicale taglio ai conti dei danni materiali e fisici del traffico. In America, dove ha fatto una sua previsione, Mobileye stima una differenza clamorosa: da 40.000 a 40 decessi l’anno.
I livelli di sicurezza e sinistrosità previsti da Mobileye e altri produttori di dispositivi per la guida autonoma sono strabilianti
Una prospettiva che non sembra così fantascientifica se, passando dai danni fisici a quelli materiali, ci sono già ingegneri che hanno iniziato a fare i conti con progetti di auto che, nella prossima decade, non avranno più bisogno di barre anti-intrusione o airbag, alleggerendo i modelli e abbassandone peso e costi.
Anche se su uno dei due piatti della bilancia ci fosse un traffico con sinistrosità ridotta ai minimi termini, pare molto, perfino troppo comodo, che le aziende di un settore possano essere esse stesse sole a definire i limiti di ciò che è o non è sicuro, e quindi di quello che può portarle o meno a dover prevedere risarcimenti.
Vale forse la pena di domandarsi se la proposta di Mobileye non rischi di apparire come la tesi avanzata da una parte in causa intimorita dalla potenziale mole di litigiosità che potrebbe attendere chi sviluppa i pilastri della guida autonoma.
Nel periodo di transizione, presumibilmente lungo, in cui nel traffico ci saranno insieme auto convenzionalmente guidate e veicoli i cui comandi avranno alla guida software, non si può escludere nemmeno il rischio di una giornata nera per la guida autonoma.
Sì, ormai al volante si mettono sempre più persone in preda ad alcool e droghe e gli smartphone stanno causando più incidenti degli uragani e del maltempo. Eppure, malgrado l’assurdo conto delle vittime del traffico convenzionale, una campagna neo-luddita contro le robo-car potrebbe essere proprio quello che fa comodo ai burattinai globali del click-bait.
In questo senso i timori del professor Shashua sono forse giustificati. Ma se i produttori debbano davvero preoccuparsi dei potenziali problemi dei loro sistemi, più che a loro forse dovremmo chiederlo a chi alla fine sarebbe davvero economicamente toccato nel portafoglio: gli assicuratori.
Lo scorso giugno, l’Insurance Journal ha riassunto in questo articolo i risultati di uno studio della società di consulenza Accenture e dello Stevens Institute of Technology, che esaminava le prospettive delle assicurazioni sui veicoli autonomi. Un business potenzialmente da $81 miliardi per il 2025.
Le compagnie di assicurazione sembrano più gradire che temere veicoli e sistemi ad elevata autonomia, ma saranno anche pronte a pretendere i dati
La cosa interessante è che in termini di premi quella cifra solo in piccola parte prevede incassi destinati ad assicurare i rischi di difetti di costruzione dei sensori o di progettazione dei software, quelli di cui abbiamo parlato finora: $14 miliardi.
Per le compagnie assicurative la maggior parte del business futuro risiederà invece nei premi sulla cyber-sicurezza: $64 miliardi previsti per la protezione contro furti da remoto di veicoli, ransomware anche sul controllo dei veicoli, furto di identità ecc.
Insomma gli assicuratori hanno molto più da temere dagli hacker che da programmatori maldestri. Sapere che Mobileye, Nvidia o Delphi sono considerati un buon affare da chi è del mestiere peraltro non vuol dire che questo implichi che si possano lasciare da soli a stabilire le regole del gioco.
Le aziende di un settore sono certamente degli attori da non zittire. E in ogni industria della tecnologia comitati e gruppi di lavoro in cui siano presenti gli specialisti sono considerati la norma: negli standard sulla telefonia ad esempio, dal periodo del GSM al 5G, governi e istituzioni si sono ben guardati dal pensare di mettere a tacere una Nokia o una Qualcomm.
Forse, quello che i legislatori globali possono fare con risultati positivi per il pubblico è di tenere vivo nello stabilire le regole il contrasto di interessi. Nel caso degli incidenti stradali, con lo sviluppo dei sistemi si creeranno le condizioni perché nella maggior parte dei casi la dinamica degli incidenti lasci pochi o nessun dubbio.
Analogamente a quanto avviene oggi nel caso delle scatole nere, le compagnie di assicurazione potrebbero alzare l’asticella della raccolta di dati necessari per sottoscrivere una copertura, al fine di non perdere alcun dettaglio relativo al veicolo ed ai suoi sistemi, nonché all’ambiente che lo circondava nei momenti precedenti un sinistro.
Una procedura comunemente accettata che definisca una formula per la sicurezza dei veicoli autonomi è senza dubbio necessaria. Per riuscire a ottenere quella fiducia del pubblico che al professor Shashua preme, ci pare utile che alla clientela di oggi e domani appaia chiaro che il modo in cui sarà definita sia trasparente.
Negli algoritmi definiti dall’apprendimento automatico e dall’intelligenza artificiale esistono come noto filtri e contrappesi. Sarebbe un autogol scoprire che quei filtri non tengono conto delle istanze di tutte le parti, ma delle società che producono sistemi, delle assicurazioni, dei concessionari autostradali…