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Quattro nuovi membri nel consorzio giapponese per la tecnologia dell’auto elettrica

Il Giappone fa di nuovo squadra: Suzuki, Subaru, Hino e Daihatsu nel gruppo creato da Toyota, Denso e Mazda per sviluppare tecnologie per l’auto elettrica

Quando Toyota, Mazda e Denso hanno annunciato la creazione di un consorzio giapponese destinato ad accelerare lo sviluppo di tecnologie strutturali per l’auto elettrica, era il 28 settembre 2017, gli addetti ai lavori si sono domandati quanto tempo sarebbe passato prima che altri marchi nipponici decidessero di aderire. Ora sappiamo rispondere: due mesi.

Il sito della Nikkei Asia Review ha appena anticipato che da questo mese ai “tre moschettieri” giapponesi si  aggiungeranno Suzuki Motor, Subaru, Hino Motors e Daihatsu, che invieranno proprio personale a Nagoya, dove ha la  sede EV C.A Spirit (il nome ufficiale del consorzio), portando a circa 60 il totale di ingegneri al lavoro sui progetti in corso.

Le case che aderiscono al progetto di condivisione delle rispettive tecnologie sull’elettrificazione per accelerarne l’applicazione su vari tipi di veicoli portano in dote una massa critica di circa 16 milioni di unità prodotte. Veicoli che adesso hanno anche caratteristiche di notevole varietà.

Infatti alle auto mainstream di Toyota e Mazda si aggiungeranno i veicoli più performanti e di nicchia di Subaru, le piccole e piccolissime di Daihatsu e Suzuki e i furgoni di Hino, dando obiettivi a 360° allo sviluppo delle nuove tecnologie per l’auto elettrica.

Quello che non cambierà sarà la struttura societaria di EV C.A Spirit. Il consorzio giapponese per la tecnologia dell’auto elettrica resta per il 90% in mano a Toyota e per il 10% restante diviso a metà tra Mazda e Denso.

La disponibilità con cui i marchi giapponesi si mettono a suonare in una orchestra il cui direttore sembra essere chiaramente il principale gruppo automobilistico nazionale è un elemento che vale la pena di sottolineare.

EV C.A Spirit è ancora una società di dimensioni relativamente piccole, e forse potrà rivelarsi più una aspirazione che un vero progetto. Ma il modo in cui sta crescendo pare suggerire che le sfide dell’auto elettrica stiano riportando a galla in Giappone un’attitudine a fare fronte comune scomparsa dai tempi della grande crisi immobiliare degli anni ’90. Ma che era prassi fino ad allora.

In precedenza, come noto, il miracolo giapponese aveva avuto come due pilastri principali la pianificazione economica del MITI, il ministero dell’industria e del commercio internazionale, e keiretsu, la complessa e a volte bizantina rete di rapporti tra industria, banche ed istituzioni.

Fino agli anni ’80 lo schema di gioco dell’impresa era stato chiaro: guadagnare quote di mercato con piani a lungo termine mettendo ai margini gli obiettivi di guadagno a breve termine. Le kaisha, le imprese giapponesi, negli ultimi decenni sono state accusate di sclerosi e tendenza alla burocratizzazione.

Il loro approccio all’auto elettrica, al contrario di quello sui veicoli autonomi e sull’intelligenza artificiale, ha cominciato a muoversi a piccoli passi. Per fare quelli più rapidi sembra che in Giappone abbiano deciso di tornare all’antico.


Credito foto di apertura: ufficio stampa internazionale Toyota Motor Corp.