MOBILITAOPINIONI

Credeteci o no, questo non è l’avversario di Uber

I sindaci delle grandi metropoli europee e le società del ride sharing sono uniti dal voler togliere dalle strade le auto

Il sindaco di Londra Sadiq Khan è andato ben oltre la congestion charge inventata dal predecessore Boris Johnson: col suo piano per alleggerire traffico ed inquinamento nella metropoli inglese punta ad aumentare le aree pedonalizzate e ad accelerare la transizione verso veicoli di trasporto pubblico a basse emissioni. E non fa per nulla mistero di essere interessato alle proposte di chi può offrire bus elettrici o con altre forme di propulsione verdi. Per uno che vuole togliere i cittadini dalle auto per metterli in bicicletta o farli andare in autobus, suoneranno senz’altro come musica le notizie che arrivano dall’altra parte dell’Atlantico.

Proterra, il costruttore di autobus americano, ha appena annunciato che il suo nuovo Catalyst E2 dotato di batterie equivalenti ad una capacità di ben 660 kWh, è in grado di raggiungere oltre 560 chilometri di autonomia. Si tratta di un record del settore, supportato da circa sei volte la capacità della miglior batteria che si possa trovare su una Tesla Model S/X P100 DL. Su una pista di prova americana della Michelin, l’ultima versione si è spinta alle soglie dei mille chilometri prima di fermarsi. Ma è la performance media, più che quella in condizioni ideali che potrebbe permettere di continuare a spingere le vendite dei bus elettrici (aumentate del 220% finora rispetto al 2015).

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La prossima generazione di autobus elettrici con autonomia record è già concorrenziale e rilancia il trasporto pubblico

Londra non risulta tra le municipalità che hanno comprato finora i 312 bus elettrici prodotti da Proterra. Ma è tra quelle che ne hanno già comprati dalla cinese BYD, che ha già in circolazione la più grande flotta globale di bus elettrici, oltre diecimila. Cinque autobus elettrici a due piani sono in servizio dallo scorso anno sulle rive del Tamigi, come avete visto nella foto di apertura. Pochi giorni fa il vice-sindaco di Londra ha inaugurato una flotta di cinquantuno autobus elettrici frutto di una collaborazione tra la società cinese e la britannica ADL, tutti in grado di esaurire le sedici ore di turno senza bisogno di ricarica.

Un successo che non smette di crescere, anche in modi e posti impensati. Dopo aver ultimato il primo dei suoi bus nella nuova fabbrica americana nell’aprile di due anni fa, ora la fabbrica di Lancaster (nel nord della California) i cinesi la amplieranno, triplicando produzione e dipendenti nel giro dei prossimi tre anni. Insomma BYD, che è anche in lotta ravvicinata con Panasonic quale produttore numero uno di batterie globale, in America non solo vede grandi prospettive per la mobilità elettrica, vede grandi opportunità per il trasporto pubblico elettrico.

Le prospettive paiono anche migliori in Europa, dove come già accennato le metropoli, da Londra a Parigi a Berlino fanno a gara per convincere i propri cittadini ad usare meno le auto. A ben vedere, si tratta della stessa politica di chi è attivo nel ride sharing: da Uber a Lyft a Gett, tutte le startup dell’auto condivisa hanno un business plan in cui l’auto è un pilastro essenziale, ma è nel loro interesse che il numero dei guidatori in circolazione declini alla svelta.

Le startup del ride sharing come Uber e Lyft nelle grandi città sono un’alternativa, non concorrente, di autobus e metro

L’amministratore delegato di Uber Travis Kalanick, dopo essere andato a cozzare ripetutamente contro muri invalicabili in Europa, con una certa scaltrezza poco tempo fa è tornato alla carica con Bruxelles per chiedere di snellire le regole del mercato del car pooling, l’auto condivisa specialmente tra pendolari, appellandosi alle opportunità di migliorare la qualità ambientale. Sembra anche un’offerta di ride sharing come alternativa di efficientamento del trasporto pubblico. Dopo la competizione di Uber & C. contro la lobby dei taxi insomma staremmo per vedere presto un’offensiva contro il trasporto pubblico?

La risposta la lasciamo ad una associazione di settore. L’American Public Transportation Association, che riunisce le agenzie attive nel trasporto pubblico, ha diffuso la scorsa primavera uno studio in cui giunge alla conclusione che società come Uber e Lyft “sono in accordo con l’obiettivo di creare stili di vita dinamici multi-modali”. In altre parole car sharing e ride sharing possono complementare i più rigidi percorsi fissi tipici del trasporto pubblico. Inoltre lo studio ha riscontrato che sono rari i pendolari che fanno ricorso ai servizi privati, preferendo usarli invece per attività ricreative, la sera o nel weekend, quando il trasporto pubblico diventa meno frequente o è più scomodo.

È molto interessante notare che uno dei luoghi dove il ride sharing non solo ha già fatto passi avanti, ma marcia verso la prossima generazione, quella della sperimentazione dei robo-taxi a guida autonoma costruiti dalla società nuTonomy, sia Singapore. Ovvero proprio una metropoli futuristica che si affida in modo massiccio al trasporto pubblico. Ha una rete metropolitana già così efficiente ed evoluta da averla quasi completamente automatizzata: non ci sono più conducenti. Praticamente nella città-stato sugli Stretti di Malacca i convogli della metropolitana sono l’equivalente di “ascensori orizzontali”. E i robo-taxi neanche lontanamente mettono in discussione metro o bus.

Le auto del ventunesimo secolo non sono destinate a sostituire tram e autobus come hanno fatto quelle del ventesimo

In molti pensano che le società del ride sharing, o magari i gruppi dell’auto che nel settore stanno entrando al galoppo, abbiano in mente di ripetere l’impresa del secolo scorso, quando in molte municipalità riuscirono a far smontare linee di tram o ferrovie urbane. Ma vale la pena di sottolineare un dettaglio: treni o aerei di linea o anche autobus, sono la sharing economy, quella originale. Cercano la massimizzazione delle risorse (perlomeno quando si tratta di aziende gestite senza scelleratezze in stile Alitalia o ATAC), proprio come fa il ride sharing. John Zimmer, che ha fondato Lyft, scriveva ieri in questo post: “Oggi il nostro business è fondato sull’avere la capacità di massimizzare l’utilizzo e gestire gli orari di massima attività, permettendoci di fornire i passaggi più convenienti”.

La conferma della massimizzazione del risultato ottenibile con mezzi delle dimensioni di autobus rispetto alle auto viene, strano ma vero, proprio dalla città di Uber: San Francisco. Le società dell’high-tech della baia, per avere la massima efficienza da parte dei propri dipendenti e minimizzare le risorse sottoutilizzate (quello che vogliono Uber, Lyft & C., no?) si sono in gran numero organizzate i propri servizi di autobus aziendali. Shuttle che raccolgono i dipendenti i postazioni fisse a San Francisco e dintorni e li portano a Palo Alto o Mountain View. Au-to-bus. Se, come ha spiegato Erin Baldassarri del Mercury News questi shuttle aziendali di Google, Facebook o Apple fossero gestiti da un’unica agenzia sarebbe la settima più grande società di trasporto pubblico della baia di San Francisco.

La grande opportunità per il ride sharing si chiama bassa densità urbana, dove anche gli autobus elettrici non saranno concorrenziali

Non c’è da stupirsi se un servizio nato nelle metropoli come il ride sharing inizi a vedere ora le migliori prospettive lontano da esse. Ha scritto Spencer Woodman su theverge.com: “Tuttavia, come dirigenti sia di Uber sia di Lyft hanno sottolineato parlandone con me, le più grandi città americane potrebbero essere meri sfondi paragonati alle piccole città ed alle periferie. E alcuni esperti dicono che le metropolitane e le linee di autobus  più alta densità non potrebbero essere sostituite comunque con Uber, sostenendo che procurerebbe troppo traffico stradale”.

La vasta maggioranza degli americani vive in contee e periferie di metropoli a bassa densità. Il che spiega come in Florida, dove le abitazioni nei suburbs abbondano o in aree della California dove si percorrono grandi distanze anche per fare la spesa, sia esploso il numero di municipalità che si affidano a Uber ed altri servizi per sostituire linee di trasporto pubblico che avrebbero pochi passeggeri. In qualche caso per sostituire linee di autobus in perenne passivo. Ma in molti casi, come raccontano le cronache, gli assessori che si accordano con Uber & C. per sussidi (ad esempio il 20% di una corsa) sono gli stessi che hanno tentato per anni di avere linee di autobus, magari finanziate con una tassa locale di 1 centesimo sulle vendite, ed ai referendum hanno visto i propri elettori bocciare la proposta.

E allora vale la pena di fare un passo indietro e tornare all’Europa e alle avance di Uber. In questa colonna per Bloomberg Leonid Bershidsky sottolineava come le avance di Uber per il suo car pooling siano destinate a cadere nel vuoto, visto che i servizi di trasporto pubblico continentali sono più diffusi di quelli americani. Nell’area metropolitana di San Francisco, dove UberPool è attivo da tempo, i passeggeri delle aziende del trasporto pubblico sono più o meno gli stessi dell’area di Bruxelles, nonostante quelli dell’area della baia americana siano molti di più.

La proporzione degli europei che usano i servizi pubblici è quattro volte quella americana (l’eccezione è New York). Nelle aree densamente popolate in Europa è sempre maggiore: nel Nord specialmente dove i servizi sono efficienti o capillari, ma anche nel Sud. Come nella stessa Italia, dove efficienti i servizi magari lo sono meno ma, come ci ha appena ricordato la CGIA di Mestre, quei servizi malconci sono i meno costosi in Europa.

Considerato che il car pooling non sfonda più di tanto nemmeno a San Francisco come abbiamo visto, Bershidsky ha ragione ad ipotizzare un analogo esito in Europa. Ma l’obiettivo a medio e lungo termine, non è quello di sostituire i trasporti pubblici. Anzi, da questo punto di vista potremmo dire che proprio nelle città con metropolitane e linee di autobus più efficienti si preparano opportunità interessanti in futuro per chiunque sarà in grado di coprire l’ultimo miglio. E se si guarda il grafico tratto da un articolo del think-tank Brookings Institute, si nota anche un’altra cosa interessante: che l’Europa da qui al 2050 è la città dove meno esploderà il fenomeno dell’urbanizzazione nel mondo.

crescita urbana globale

Perché Europa e la stessa Italia sono una potenziale manna per chi si contenderà il mercato del ride sharing del futuro

Il che significa che resteranno ampie ed attraenti occasioni di business per chi offrirà servizi convenienti in grado di collegare stazioni di trasporto pubblico a case in estrema periferia o del tutto in campagna. Nonostante caratteristiche diverse, non solo la Francia o la Germania delle grandi vallate e pianure, ma anche la stessa Italia sono un mercato con grande potenziale. Se si guarda il tessuto di zone come la Brianza, il Veneto o la Toscana, si vede una diffusione degli insediamenti abitativi che è un incubo per i pianificatori dei trasporti ed un fattore essenziale nello spiegare perché l’Italia abbia la percentuale record di quasi sessanta auto ogni cento abitanti.

Ma questo panorama offre ad un ride sharing opportunità. E probabilmente ne offre di più a chi sia ben inserito nella realtà locale, il che è un altro buon motivo per cui non si trova ormai un gruppo dell’auto che non abbia iniziato ad assicurarsi un interlocutore in questo settore. Ma, considerate queste prospettive future l’operazione di lobby dell’amministratore delegato di Uber Kalanick dovrebbe attirare l’attenzione sulla costante inclinazione delle aziende nate nella Silicon Valley di cercare di abbattere ogni controllo da parte dei regolatori.

Con le municipalità della Florida, ad esempio, la startup di San Francisco ha per il momento evitato ogni incombenza e complicazione, saltando a piè pari obblighi verso i disabili. Oppure evitando la cittadinanza priva di carta di credito o di smartphone. Non si tratta di problemi insormontabili e in alcuni casi ci sono già soluzioni alternative. L’app di ride sharing più diffusa in Germania, MyTaxi (che fa capo a Daimler) questo problema non lo avrebbe posto. In America alcune contee hanno fatto accordi con cooperative di taxi, che accolgono per contratto disabili e non hanno problemi con contanti o chi è privo di smartphone.

Meno facile sarà trovare soluzioni riguardanti la mole di dati che chi stipula contratti per sussidi vuole avere a disposizione, per studiare e pianificare. L’inclinazione alla segretezza nel gestire i dati è in antitesi con la trasparenza che si chiede al settore pubblico. E questo sarà invece un grosso problema da gestire specie in Italia. Immaginate nostri comuni con pessima reputazione che distribuiscono sussidi a società che gestiscano ad esempio passaggi ad anziani ed il tutto coperto da accordi di riservatezza commerciale?

In una Europa demograficamente sempre più vecchia, specialmente Germania e Italia, fra non molti anni il tema dei contributi per i passaggi sulle auto di Uber, Gett & C. diventerà probabilmente un tema importante e scottante ed una voce non trascurabile del welfare. I governi locali, statali, e continentali sembrano però avere un alleato dalla loro: la concorrenza tra i molti protagonisti interessati ad una quota di questi servizi sempre più allettanti e fondamentali. La concorrenza in questo caso sarà un antidoto contro la tentazione di sacrificare la trasparenza.


Credito foto di apertura: BYD global website