BATTERIE

Interlayer: come “mettere il turbo” alle batterie solid-state coi liquidi ionici

I progressi nelle batterie continuano, anche attingendo a questi materiali dalle mille sorprese: approfondiamo questo e altri percorsi della ricerca avanzata di settore col Professor Stefano Passerini, che alla Sapienza continua un instancabile lavoro di innovazione

Abbiamo già avuto l’opportunità di occuparci dell’ampia gamma di miglioramenti resi possibili dai liquidi ionici per le nuove generazioni di batterie. Oggi la ricerca di avanguardia sembra più correre che camminare; per tenere traccia dei suoi progressi abbiamo chiesto di aiutarci ad approfondirli a Stefano Passerini, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Chimica all’Università La Sapienza di Roma.

L’ultima volta che ci aveva aiutato a far luce sull’innovazione di settore, ci aveva illustrato un paper apparso sulla prestigiosa testata “Joule” relativo all’applicazione di liquidi ionici a celle con catodi nickel-rich. Quasi nello stesso periodo stava uscendo un altro importante lavoro sulla rivista scientifica “Batteries & Supercaps”, che sottolineava il grande potenziale dei liquidi ionici per le celle con elettroliti solidi quando utilizzati come interlayer: è proprio da qui che prende le mosse questa intervista.

Per cominciare, potremmo partire dal fornire una definizione di cosa siano questi interlayer per cui i liquidi ionici si rivelano così preziosi?

“Un interlayer praticamente è uno strato di compatibilizzazione. Agiscono e compatibilizzano, nel caso di quello studio, due materiali solidi. Uno dei grossi problemi con le celle allo stato solido è compatibilizzare le sollecitazioni meccaniche dei due solidi durante le fasi di carica e scarica. Mettendoci questo strato sottile di liquido si ottimizza l’interfaccia. Ma da allora siamo andati avanti su questo”.

Quali sono stati i passi successivi di questo filone di ricerca?

“La cosa sta procedendo: anzitutto i liquidi ionici adesso sono considerati anche a livello industriale, quanto meno come additivi, cosa che non avveniva fino a pochissimo tempo fa, perché hanno delle caratteristiche peculiari. In un futuro un po’ più remoto, quando il loro costo calerà a sufficienza e le loro prestazioni aumenteranno ulteriormente, potrebbero essere considerati non più solo come additivi, ma anche come componenti principali degli elettroliti”.

“Per quanto riguarda i liquidi ionici come interlayer, anche lì ci sono stati molti progressi perché le batterie all-solid-state si stanno un po’ arenando contro la possibilità di realizzarle in grandi scale, in produzioni industriali. E quindi questi interlayer stanno sviluppandosi perché facilitano gli accoppiamenti dei vari strati tra loro e semplificano il processo di produzione notevolmente. Dal punto di vista dei loro vantaggi, questi erano noti da anni e abbiamo pubblicato molti lavori che li approfondiscono. I liquidi ionici presentavano delle stabilità, facilitavano notevolmente la deposizione del litio metallico e via dicendo. Lì non c’era niente di nuovo, solo che li abbiamo applicati a dei casi specifici. In verità quel lavoro citato uscito nel 2021 era già il secondo: il primo l’avevamo pubblicato nel 2020 con uno studio tutto svolto all’Helmholtz Institute di Ulm”.

“Il nostro primo lavoro è stato pubblicato su ‘Small’ e si proponeva di superare i limiti imposti dall’interfaccia solido-solido grazie ad interlayer ottenuti con liquidi ionici. (n.d.A. l’illustrazione schematica di apertura tratta da quel paper mostra l’interlayer tra catodo ed elettrolita solido). Il vantaggio del liquido ionico come interlayer è che questi liquidi non sono volatili e quindi, una volta messo lì, quello non va mai via, non cambia mai la sua composizione e quindi rispetto a tanti altri sistemi quasi-solid state (di cui si trovano tantissimi esempi adesso) il grande vantaggio degli interlayer e dell’impiego dei liquidi ionici in generale è che dal punto di vista della volatilità hanno le stesse prestazioni di un solido. Oltre tutto sono molto viscosi, il che è uno svantaggio dal punto di vista della conducibilità, ma è un vantaggio quando uno non vuole che migrino, che se ne vadano in giro”.

Possiamo chiarire quale differenza ci sia tra le batterie con elettroliti semi-solid state (di cui ormai troviamo anche i primi esemplari commerciali) e le celle quasi-solid state?

“In verità non c’è tutta questa differenza: in una recente review pubblicata su “Energy Materials” (col titolo “Quasi-solid-state electrolytes – strategy towards stabilising Li|inorganic solid electrolyte interfaces in solid-state Li metal batteries”) riportiamo anche materiali che potrebbero essere semi-solid, perché dipende fondamentalmente dal contenuto di liquido e soprattutto se il liquido è volatile o no. Secondo me la definizione quasi solid-state si dovrebbe applicare solo a materiali non-volatili. Però questa è una definizione mia, non una definizione universalmente accettata. Se non ci sono componenti volatili dovrebbero rientrare secondo me nella definizione quasi-solid, mentre se ci sono componenti volatili come solventi organici allora trovo semi-solid più appropriato, come definizione personale”.

L’attuale fermento nella ricerca per far progredire le batterie con elettroliti solidi grazie ai liquidi ionici, implica anche che stia un po’ calando l’interesse verso questi materiali come alternativa agli elettroliti liquidi?

“L’interesse c’è sempre, non è trascurabile. C’è sempre perché in verità fare delle celle convenzionali con separatore ecc. e riempirle con un liquido ionico è sicuramente un vantaggio: non devi cambiare l’impianto della produzione. Per quello stiamo lavorando su un’altra famiglia di elettroliti (che penso presto ‘esploderà’) ed è quella dei ‘locally concentrated ionic liquid electrolytes (LCILE)’. Sono dei liquidi ionici a cui noi aggiungiamo una piccola quantità di solvente molecolare. Il loro vantaggio qual è? Se è vero che il solvente molecolare mantiene una certa volatilità, però è anche vero che il flashpoint (la temperatura di infiammabilità) del tutto si sposta a valori che sono al di sopra del limite massimo per i composti infiammabili. Quindi riusciamo a portare il flashpoint al di sopra dei 95°. Il solvente molecolare ci aiuta perché riduce moltissimo la viscosità del liquido ionico aumentando la conducibilità degli ioni litio “.

Sembra uno sviluppo sostanziale per la sicurezza dei materiali che compongono le batterie: può essere anche una risposta ai timori diffusi (specie tra assicurazioni e aziende dei trasporti) per lo spostamento di grandi numeri di veicoli elettrici, specialmente via mare?

In verità alla fine, per quello che ne so io, i veicoli elettrici bruciano sempre meno di quelli a combustione interna. I numeri totali di quanti veicoli a combustione interna bruciano è difficilissimo trovarli: si trovano quelli a cinque anni, quelli meno aggiornati, non quelli dell’anno scorso. Vengono tenuti ben mascherati… Però il problema c’è, non possiamo negarlo. D’altro canto quando vengono spedite le auto termiche hanno il serbatoio molto vuoto, questo è il vantaggio. Ma ci sono già batterie che hanno una risposta a questo genere di timore, perché le celle sodio-ione possono essere scaricate fino a zero e adesso cominciano ad esserci delle buone dimostrazioni pratiche di questa tecnologia”.

Con l’ultima frase il Professor Passerini anticipa già la seconda parte della nostra intervista sulle novità più interessanti della recente ricerca sulle batterie: sarà dedicata proprio agli sviluppi delle celle sodio-ione, alternative a quelle tradizionali agli ioni di litio e uscirà lunedì 18 settembre.

Credito immagine di apertura: Small, “Overcoming the Interfacial Limitations Imposed by the Solid–Solid Interface in Solid-State Batteries Using Ionic Liquid-Based Interlayers” – Syed Atif Pervez, Guktae Kim, Bhaghavathi P. Vinayan, Musa A. Cambaz, Matthias Kuenzel, Maral Hekmatfar, Maximilian Fichtner, Stefano Passerini (open access paper)