BATTERIE

Da Zurigo progressi nella tecnologia delle batterie basate sugli ioni di zinco

L’offerta di tecnologia delle batterie che faccia a meno di metalli come litio, cobalto o nichel è preziosa per diversificare gli scenari dell’industria green: gli ioni di zinco creano interesse dall’accumulo stazionario ai device wearable

L’offerta di batterie per fornire energia alla mobilità elettrica negli ultimi tempi si sta diversificando rispetto alla proposta originaria concentrata sulle celle agli ioni di litio, con una differenziazione che oggi sta per proporre su scala commerciale ad esempio celle agli ioni di sodio, coinvolgendo anche grandi gruppi del settore, a iniziare dal numero uno globale CATL già molto avanti con una “seconda generazione”.

Peraltro nell’ottica di non creare colli di bottiglia alla filiera delle materie prime, una ulteriore differenziazione viene ritenuta salutare, anzitutto per evitare in futuro cicli boom and bust dagli effetti nefasti; perciò i progressi della ricerca anche collaterale alle batterie per uso veicolare sono importanti per tenere aperti più canali di offerta in grado di mitigare i picchi di domanda.

Questo vale specialmente per il settore dell’accumulo stazionario a stabilizzazione delle reti elettriche (specie quelle con quote rilevanti di rinnovabili), dove le batterie acquose agli ioni di zinco sono ritenute dei candidati realistici per partecipare a un mercato per il quale si prevede una crescita costante nei prossimi lustri. Ma per questa tecnologia non mancano altri spazi, a cominciare da quello dell’elettronica wearable, particolarmente in settori molto attenti alla sicurezza a cominciare da quello bio-medicale.

Un riepilogo interessante delle prospettive delle batterie agli ioni di zinco, per chi volesse approfondire, è il paper “Open challenges and good experimental practices in the research field of aqueous Zn-ion batteries” uscito recentemente su Nature Communications” a firma di Giorgia Zampardi e Fabio La Mantia.

Gli scienziati italiani attualmente al lavoro in Germania (presso l’ateneo di Brema), tuttavia non mancavano di sottolineare come l’accelerare la commercializzazione di questa tecnologia comporti superare alcune sfide per giungere ad “allineare gli sforzi di ricerca accademica con le realistiche condizioni di lavoro industriale per lo stoccaggio stazionario”.

Un team internazionale di ricercatori guidato dal Politecnico ETH di Zurigo in collaborazione con colleghi americani ha ora messo a punto in un nuovo studio una strategia che apporta progressi chiave allo sviluppo di tali batterie allo zinco, rendendole più potenti, più sicure e più rispettose dell’ambiente.

Ci sono una serie di vantaggi per le batterie allo zinco a cui si sono dedicati a Zurigo: il metallo è abbondante, economico e ha una filiera del riciclo già matura. Inoltre sono di grande interesse per l’elevata capacità teorica sia gravimetrica (∼820 mA h g−1) che volumetrica (∼5800 mA h cm−3) di anodi metallici realizzati con lamine di zinco. E quanto a fattore-sicurezza, le batterie allo zinco non richiedono necessariamente l’uso di solventi organici altamente infiammabili, ma possono essere prodotte utilizzando elettroliti a base d’acqua.

Ma la strada non è solo in discesa per i tecnici che devono affrontarne lo sviluppo: quando le batterie allo zinco vengono caricate, l’acqua nel fluido elettrolitico reagisce con uno degli elettrodi per formare idrogeno gassoso (reazione HER).

Quando ciò accade, si riduce l’efficienza coulombica, il fluido elettrolitico e le prestazioni della batteria peggiorano. Inoltre, la reazione provoca l’accumulo di una pressione eccessiva nella batteria che può creare problemi, riducendo la stabilità del ciclo.

Un altro ostacolo è la formazione di depositi di zinco durante la carica della batteria: insomma i dendriti, che possono perforare la batteria e nella peggiore delle eventualità persino causare cortocircuiti rendendo la batteria inutilizzabile, non sono un grattacapo solo per le celle agli ioni di litio, possono esserlo anche in quelle basate sullo zinco.

Negli ultimi anni, gli ingegneri hanno perseguito la strategia di arricchire l’elettrolita liquido acquoso con sali al fine di mantenere il contenuto di acqua il più basso possibile. Ma ci sono anche degli svantaggi: rende viscoso il fluido elettrolitico, che rallenta notevolmente i processi di carica e scarica. Inoltre, molti dei sali utilizzati contengono fluoro, rendendoli tossici e dannosi per l’ambiente.

Maria Lukatskaya, professoressa di Sistemi Energetici Elettrochimici all’ETH di Zurigo, insieme a colleghi di diversi istituti di ricerca negli Stati Uniti e in Svizzera, ha lavorato sistematicamente per trovare la concentrazione salina ideale per le batterie agli ioni di zinco a base d’acqua. Nel recente passato gli elettroliti water-in-salt (WIS) sono stati proposti come soluzione producendo miglioramenti nella stabilità ciclica degli anodi metallici di zinco.

Ma se gli elettroliti water-in-salt aiutano ad aumentare l’efficienza coulombica, richiedono elevate quantità di sale (non di rado tossico) e hanno una viscosità notevolmente elevata, che a sua volta peggiora la cinetica o in altre parole limita la loro proprietà di trasporto, i tassi di carica-scarica e quindi l’usabilità nelle celle agli ioni di zinco.

Utilizzando esperimenti supportati da simulazioni al computer, i ricercatori sono stati in grado di rivelare che la concentrazione ideale di sale non è, come si pensava in precedenza, la più alta possibile, ma relativamente bassa: da cinque a dieci molecole d’acqua per ione positivo del sale.

I risultati dei ricercatori dimostrano che utilizzando anioni coordinati come l’acido acetico è possibile ottenere un ambiente di coordinazione dello zinco simile a quello di elettroliti water-in-salt anche in condizioni relativamente diluite, consentendo cicli prolungati degli anodi realizzati in questo metallo disponibile in grandi quantità.

Oltre alla forte capacità di coordinazione dell’anione acetato verso gli ioni dei metalli di transizione, questo soddisfa l’esigenza dei ricercatori di non utilizzare sali dannosi per l’ambiente per i loro miglioramenti, di essere pertanto una alternativa green.

“Con una concentrazione ideale di acetati, siamo stati in grado di ridurre al minimo l’esaurimento degli elettroliti e prevenire i dendriti di zinco proprio come altri scienziati hanno fatto in precedenza con alte concentrazioni di sali tossici”, afferma Dario Gomez Vazquez, uno studente di dottorato nel gruppo di Lukatskaya e autore principale dello studio. “Inoltre, con il nostro approccio, le batterie possono essere caricate e scaricate molto più velocemente”.

Finora, i ricercatori dell’ETH di Zurigo hanno testato la loro nuova strategia per batterie agli ioni di zinco su una scala di laboratorio relativamente piccola. Il prossimo passo sarà quello di ampliare l’approccio per accertare se può essere tradotto con successo anche in batterie di grandi dimensioni.

Ci sono ancora ostacoli da superare prima che queste celle allo zinco siano pronte per il mercato, spiega la professoressa Lukatskaya: “abbiamo dimostrato che regolando la composizione dell’elettrolita è possibile abilitare una ricarica efficiente degli anodi di zinco”, sostiene la scienziata del Politecnico elvetico. “In futuro, tuttavia, anche i materiali catodici ad alte prestazioni dovranno essere ottimizzati per realizzare batterie allo zinco durevoli ed efficienti”.

Nei concetti oggi più diffusi e studiati di celle agli ioni di zinco, i tipici materiali di inserimento per i catodi fin qui sono stati basati sull’ossido di manganese, su ossidi di vanadio e analoghi blu di Prussia (PBA), in quest’ultimo caso un materiale che troviamo anche nella tecnologia alternativa degli ioni di sodio.

Per le batterie allo zinco destinate al settore wearable, i ricercatori cinesi che hanno presentato lo scorso anno nell’articolo “Research Progresses and Challenges of Flexible Zinc Battery” una panoramica delle possibilità di questo campo, hanno attirato l’attenzione anche su catodi basati su ossido d’argento, per le buone proprietà elettrochimiche e meccaniche a dispetto del costo, e su polimeri conduttivi come la poli-anilina ampiamente rimaneggiata dai team di ricerca.

Creditoimmagine di apertura: ETH Zurich / Xin Zou