OPINIONI

A novembre cadono le foglie; quest’anno anche le «Gigafactory»

In poche settimane dal panorama europeo di produzione di celle per i veicoli elettrici sono sostanzialmente sparite Britishvolt e Varta: la lezione sembra essere che i piani, senza accordi con case auto, non stanno in piedi

Novembre è ancora lontano dall’essere concluso e tuttavia sono già due le notizie che questo mese aveva in serbo di drastico fermo a progetti di imprese delle batterie.

In un caso questo riguarda una startup, Britishvolt, che sta trascorrendo novembre lottando contro il tempo per trovare fondi sempre più sfuggenti per non chiudere definitivamente il progetto di una Gigafactory nel nord dell’Inghilterra.

L’altra è addirittura una storica casa delle batterie, Varta, che però ha dovuto bloccare i piani di una grande fabbrica di celle cilindriche per la clientela automotive. E proprio il gruppo tedesco lo scorso 15 novembre ha dichiarato chiaro e tondo che riprenderà i piani per una Gigafactory solo di fronte a un impegno contrattuale definitivo di un gruppo auto, altrimenti continuerà a produrre soltanto celle primarie per l’elettronica di consumo.

Britishvolt aveva già firmato degli accordi di programma non vincolanti: con case come Aston Martin e Lotus, ovvero clienti di nicchia non in grado coi loro volumi abituali di accogliere una quota rilevante di una produzione di massa.

L’assenza di contratti affidabili, che in questa fase contano soprattutto sulla domanda proveniente dai gruppi auto, appare determinante per qualsiasi protagonista delle batterie che voglia avventurarsi nella produzione: la tecnologia delle celle potrebbe infatti essere avviata anche su licenza.

Ma in una fase di prezzi delle materie prime alle stelle, per partire con la produzione è indispensabile predisporre con adeguato anticipo contratti a monte coi fornitori di litio, nichel, e altri materiali per i quali la domanda oggi è effervescente.

Senza una cassa in buona salute, o destinata ad esserlo verso metà decennio (quando la maggior parte delle nuove Gigafactory allo studio dovrebbe avviarsi), mancherebbero i “mattoni” delle batterie senza i quali nessuna produzione sarebbe possibile.

Quello che è già successo a Britishvolt e Varta appare un campanello d’allarme per un’industria europea considerata strategica come le batterie: viene ormai da chiedersi, viste le difficoltà che hanno incontrato queste due, se per una società del Vecchio Continente sia plausibile una vita aziendale resiliente senza accordi con un gruppo dell’auto. E le alternative non sono infinite.

Infatti tra i gruppi principali Volkswagen ha da tempo scelto la strada di aprire una propria divisione specializzata: PowerCo, che mantiene rapporti con alcuni storici fornitori asiatici, ma ha anche aperto una relazione stretta con una startup europea come Northvolt.

La casa fondata da Peter Carlson e Paolo Cerruti, al contrario di società delle batterie europee oggi zoppicanti, di rapporti diretti ne ha addirittura due: il primo col gruppo Volkswagen e l’altro con Volvo Cars.

Il secondo gruppo auto europeo per dimensioni, Stellantis, si è associato a una joint-venture favorita dalle autorità di Bruxelles, da quelle di Parigi e di Berlino come ACC, che mette insieme Saft attraverso la capogruppo TotalEnergies e il gruppo Mercedes-Benz. Stellantis peraltro mantiene rapporti stretti anche coi coreani di Samsung SDI assieme ai quali lavorerà direttamente a una Gigafactory in Nordamerica.

Se la relativa tranquillità che circonda ACC e Northvolt indica come positiva la strada dei rapporti diretti tra batterie e auto, lo stesso sembrano suggerire le scelte Renault, che lavora e lavorerà a stretto contatto coi cinesi (ma con tecnologia di impronta giapponese) di AESC Envision e con la nuova startup francese Verkor.

Il probabile abbandono di due player europei potrebbe lasciare a medio o a lungo termine un vuoto nell’elenco di protagonisti della fornitura di batterie all’auto della regione, riempito come prevedibile da offerta asiatica, seppure con produzione inserita in quest’area. Produttori che sono come noto cinesi o coreani, visto che l’altro colosso, la giapponese Panasonic, ha da tempo archiviato l’idea di un progetto scandinavo.

In Scandinavia peraltro i progetti di Gigafactory continuano: oltre a quelli di Northvolt, ci sono Freyr e Morrow, ma sembrano entrambe principalmente intenzionate a lavorare per la domanda proveniente dai sistemi di accumulo, prima di passare a quella del più esigente mondo automotive.

Così nella fase attuale il solo gruppo europeo rimasto ad avere molte ambizioni per la capacità a cui punta, ma ancora privo di sostanziali contratti con l’auto è InoBat. Si tratta di un gruppo che in Slovacchia ha però un solido sostegno pubblico e gode anche dalla nascita delle simpatie del potente ex-Commissario europeo Maros Sefcovic, uno dei grandi promotori dell’idea di un “Airbus delle batterie” da cui sono di fatto nate ACC, Verkor e InoBat. Similarmente a InoBat pare avere un sostegno pubblico convinto nei Paesi Baschi Basquevolt: questa startup però ha ambizioni iniziali più limitate, con un progetto di capacità di 10 GWh nel 2027.

Pensando a un tale business plan in una Penisola Iberica che va ricordata come la seconda area della manifattura auto europea dopo la Germania, appare purtroppo più velleitario a questo punto il piano Italvolt (lanciato da un co-fondatore di Britishvolt) di partire nel 2024 puntando per Scarmagno fino a 70 GWh di capacità. L’azienda avviata da Lars Carlstrom finora, come i baschi o gli inglesi, non ha sottoscritto alcun accordo definitivo con gruppi auto, né nella filiera delle materie prime.

Credito foto di apertura: Tiffany Anthony on Unsplash