OPINIONI

Quegli amministratori delegati fuori strada sui conti dell’elettricità

L’amministratore delegato Dallara Andrea Pontremoli sostiene che per alimentare l’intera flotta elettrica italiana dovremo raddoppiare la produzione di elettricità: ma quei conti indicano un valore tre volte quello reale…

L’intervento più sorprendente di questa settimana non è stato quello, ormai periodico, con cui Akio Toyoda ha segnalato la necessità di più alternative di tecnologie per combattere la CO2 (e sappiamo a memoria ormai che con questo intende continuare a produrre auto ibride convenzionali, così come espandere la filiera dell’idrogeno).

È stato invece un intervento di un manager italiano: Andrea Pontremoli. Si tratta dell’amministratore delegato di Dallara, la fabbrica emiliana creata anni fa da un punto di riferimento dell’ingegneria auto italiana come il fondatore Giampaolo. Rappresenta da decenni un’eccellenza nel settore di nicchia dell’auto da competizione, oltre a costruire dal 2017 vetture stradali molto sportive e molto esclusive in piccoli numeri.

Pontremoli nel corso di un convegno si è sbilanciato a favore della richiesta di neutralità tecnologica, criticando i politici troppo favorevoli all’elettrico. Non si tratta certo di una novità e anzi l’istanza di alcuni grandi gruppi auto verso una neutralità tecnologica che non punti troppo esclusivamente sull’elettrico in passato ha creato fortissime tensioni.

In particolare in seno a una potente associazione datoriale come la tedesca VDA, spazio in cui si sono manifestati attriti specialmente tra da una parte BMW, che continua a credere alle opportunità dell’idrogeno, e Porsche, molto favorevole ai carburanti sintetici e dall’altra l’ex-amministratore delegato Volkswagen Herbert Diess totalmente schierato con la tecnologia delle batterie.

Per un amministratore delegato è del tutto logico e apprezzabile portare argomenti basati sui numeri e questo è quanto ha fatto Pontremoli, citato da La Stampa, quotidiano storicamente certo non ostile all’auto.

“Vi do un numero: il consumo di energia elettrica in Italia è di 310 Terawattora all’anno”, ha detto. “Se domani mattina i 32 milioni di auto che abbiamo in Italia diventassero tutti elettrici, consumerebbero altri 310 Terawattora all’anno. Quindi noi dobbiamo raddoppiare la produzione di energia. Ci stiamo creando un problema da soli”.

Secondo l’amministratore delegato dell’impresa emiliana, per colpa di alcuni politici, il mondo dell’automotive si sta rassegnando a questo problema senza che nessuno abbia “il coraggio di dire che non è possibile”. Pontremoli vorrebbe che la politica desse l’obiettivo, ad esempio inquinare zero, lasciando le mani libere all’industria: “sarà con l’elettrico, l’idrogeno, la nitroglicerina… Però lascia fare all’industria l’industria”.

Un’opinione che, sebbene legittima e tutt’altro che nuova, parte da una premessa completamente sballata. E sballata nei numeri. Perché i conti sui Terawattora di elettricità necessari citati dall’A.D. Dallara sono del tutto campati per aria.

E così privi di fondamento che viene da pensare che se li avesse sbagliati in modo così pacchiano uno stagista ospitato presso la sede di Varano Melegari non avrebbe alcuna speranza di proseguire la sua carriera presso la casa della Motor Valley italiana.

Il calcolo corretto della domanda di energia richiesta da una flotta italiana tutta trasformata in veicoli elettrici a batteria infatti è di estrema semplicità: richiede di moltiplicare il nostro parco auto circolante per la percorrenza media annua e per il consumo medio dei modelli al 100% elettrici.

Tre semplici moltiplicazioni, alla portata perfino di chi scrive, che non proviene da un Politecnico ma ha conseguito una laurea (vecchio formato) presso una facoltà di Lettere e Filosofia, in un dipartimento di Filosofia e con una tesi in Psicologia. Ma laurea né breve né magistrale sono un requisito: le moltiplicazioni necessarie sono alla portata della scuola dell’obbligo.

Secondo i dati ANFIA, lo scorso anno il parco circolante sfiorava i 40 milioni di veicoli passeggeri. Usiamo per rapidità di calcolo una media di 15.000 chilometri annui per veicolo (la percorrenza reale è inferiore, ma semplifichiamoci la vita e usiamo numeri favorevoli agli argomenti di Pontremoli).

Quanto al consumo prendiamo come riferimento la Porsche Taycan con 200 Wh/km (lo sappiamo, il consumo combinato della Taycan è inferiore a questo valore e nemmeno abbiamo dubbi che la maggioranza delle 500e o delle Zoe consumino meno, ma semplifichiamoci la vita e usiamo numeri favorevoli agli argomenti di Pontremoli).

Il risultato della nostra moltiplicazione è che quei 40 milioni di veicoli tutti alimentati a batteria creerebbero una domanda italiana annuale di 120 TWh, non di 310 TWh come indicato dall’amministratore delegato Dallara.

La cifra, che dovrebbe intimorirci inducendoci magari a far marcia indietro sulla transizione all’elettrico, è sbagliata di almeno tre volte, non di pochi decimali. E come si è visto, quella ottenuta dal nostro conto della serva non lesinava in arrotondamenti favorevoli agli argomenti di Pontremoli.

A questo punto potreste avere la curiosità di domandarvi se questo genere di calcoli sia stato eseguito anche da fonti molto più attendibili di una pubblicazione non scientifica come questa o di un amministratore delegato i cui numeri sono così traballanti. Ovviamente la risposta è sì, e lo è anche da molto tempo, visto che si tratta di una questione di pianificazione fondamentale.

BNEF long term
(schermata durante lo streaming della 72^ Conferenza del Traffico/ACI)

Nel giugno 2018 Stefano Besseghini (adesso ai vertici ARERA ma allora in RSE) prese parte alla settantaduesima Conferenza del Traffico organizzata dall’Automobile Club d’Italia e dedicò una parte delle slide della sua presentazione proprio al tema dell’impatto dell’elettrificazione della flotta italiana sulla rete elettrica nazionale. Il centro studi della società di Ricerche sui Sistemi Energetici ipotizzava l’eventualità (allora come adesso ottimistica) che nel 2030 in Italia marciassero 33,7 milioni di veicoli spinti da batterie.

In un articolo dell’epoca riportavamo le parole di Besseghini: “se quella cifra si traducesse in realtà corrisponderebbe a 64 TWh di domanda aggiuntiva o, se preferite le percentuali, ad un 19% di richiesta aggiuntiva sulla rete. Come vedete nella diapositiva che abbiamo riprodotto poco sopra, a soddisfare quella domanda sarebbe necessario aggiungere oggi 3 GW eolici, 5 GW di fotovoltaico e 8,5 GW di gas combinato”.

I calcoli sull’impatto dei consumi della flotta elettrica che erano già il pane quotidiano di esperti di una società come RSE e di molte facoltà di ingegneria, lo sono anche di società di consulenza come BNEF, la divisione del gruppo Bloomberg che si occupa di attività ed investimenti sostenibili. Purtroppo per la credibilità dei calcoli dell’amministratore delegato Dallara, proprio in questi giorni il suo numero uno Colin McKerracher ha aggiornato la situazione al riguardo.

Nel 2022, indicano i conti dell’esperto canadese, la domanda globale derivante dai veicoli con la presa viene stimata in complessivi 60 TWh, da confrontare con una domanda globale di elettricità che ammonta a 28.000 TWh. In altri termini i veicoli elettrici pesano per una quota dello 0,2% sul consumo totale della domanda, equivalente alla domanda di una nazione come Singapore.

Ma Singapore è in Asia, potreste obiettare, ed è anche un hubin cui sono molto presenti le tecnologie avanzate. La situazione sarebbe analoga nella Vecchia Europa? Il paese che a queste latitudini ha la più alta penetrazione di veicoli elettrici nella flotta passeggeri, la Norvegia, attualmente vede una domanda aggiuntiva dell’1,4% rispetto alla domanda totale di elettricità, scrive ancora BNEF.

Ma ci si potrebbe anche chiedere: se oggi il rischio di dover spegnere le luci per colpa delle auto elettriche, che sono tutto sommato poche, appare limitato e molto inferiore a quelli dovuti a ben altri effetti delle crisi globali, non succederà di dover spegnere le luci magari nel 2040, perché troppi automobilisti vorranno ricaricare le loro vetture tutti insieme?

Sempre BNEF, risponde con stime comprese in una forchetta di scenari più o meno ottimisti: avere nel 2040 730 milioni di veicoli passeggeri con la presa sulle strade del mondo aggiungerebbe un 7% ai conti globali della domanda di elettricità. Se la flotta dovesse invece arrivare al miliardo di veicoli, quella quota salirebbe al 9% della domanda.

Il grafico tratto dall’Electric Vehicle Outlook 2022 mostra l’incidenza della domanda dei veicoli elettrici da oggi al 2040 rispetto alla domanda globale di elettricità (credito grafico e fonte dati: BloombergNEF)

Naturalmente si può pensare anche all’elettrificazione di altri settori e aggiungere l’impatto della flotta elettrica a due ruote (sempre più popolare in Asia), autobus e altro che porterebbe la domanda totale tra l’11% e il 15%.

Pontremoli per fortuna non ci ha proposto cifre anche per scenari diversi da quello italiano, ma se siete arrivati fin qui nel leggere forse vi sarete già domandati che cosa avesse in mente con quei 310 TWh.

Considerato che non crediamo minimamente che un amministratore delegato di un’azienda come Dallare non sappia fare davvero i conti, l’unica spiegazione che riusciamo a darci è che lo scopo sia quello di spaventare e mettere in soggezione il pubblico, per rendere più credibili alternative ritenute adeguate e convenienti alla propria azienda.

Nel campo delle competizioni il problema è del tutto platonico. Per un’azienda come Dallara in uno scenario di fine decennio la diffusione o meno di gare a propulsione elettrica, piuttosto che a idrogeno, oppure affidandosi come pare sempre più probabile a carburanti sintetici carbon neutral nel loro ciclo completo, dovrebbe avere ben poche conseguenze su ricavi, utili e prospettive aziendali.

Questo soprattutto perché Dallara non si è mai occupata di motori e trasmissioni, ma ha sempre avuto un articolato know-how in telaistica, compositi, aerodinamica; tutte specializzazioni nelle quali il sostituire un motore elettrico a flusso assiale là dove era installato un turbo quattro cilindri non rappresenta un problema o un pericolo esistenziale per l’azienda.

Le cose cambiano se si pensa invece alla Dallara Stradale, la vettura destinata a una clientela esclusiva e appassionata a partire da €200.000 e prodotta in una decina di esemplari al mese. Per i conti di una piccola casa come Dallara pensare di sostituire un progetto di questo genere è un investimento importante, quasi vitale. E con poco margine per gli errori.

Per una casa di auto sportive con la capitalizzazione di borsa di una Porsche o Ferrari il margine è molto superiore a quello che pesa sulle scelte di un amministratore delegato di una società molto più piccola. Così c’è molto meno da meravigliarsi se una Porsche o una Ferrari abbiano aperto o stiano aprendo all’elettrico con una energia che lascia intimorite invece aziende molto, molto più piccole.

Una transizione di questo genere, per una azienda delle dimensioni di Dallara, rende improponibile viziare la clientela dove questo richieda un’infrastruttura complessa e dai costi astronomici. Quello che invece ha fatto dagli albori Tesla e sta facendo Porsche, senza scordare Audi, con l’idea di hub di ricarica riservati ed esclusivi.

E, last but not least, anche le alternative tecnologiche come idrogeno e carburanti fossili contengono un problema che un’azienda di piccola stazza non è certo in grado di risolvere da sola ma ineludibile. Per far partire gli investimenti richiesti dal progettare una nuova auto stradale sportiva ad idrogeno, ad esempio, ai vertici Dallara dovrebbe essere ben chiaro che in Occidente, non nella sola piccola Italia, ci sarà una infrastruttura in grado di consentire al cliente di fare il pieno con una certa facilità.

Questa settimana il Parlamento Europeo ha approvato una bozza che si pone l’obiettivo di creare una rete di rifornimento continentale nell’ambito del programma Fit for 55. Le postazioni di idrogeno per le auto dovranno avere una distanza massima di 100 chilometri l’una dall’altra, rendendo la rete più folta di quanto non fosse nella bozza iniziale.

Ma la sola infrastruttura essenziale non basterà per i progetti di aziende che vendono auto con le caratteristiche di una Dallara. Perché non sarebbe gratificante, per un automobilista che spenderà oltre €200.000 per un suo esemplare, fermarsi in autostrada a fare rifornimento in mezzo ai veicoli pesanti ed ai camionisti.

E se è complesso creare una rete di rifornimento di base, immaginiamo quando si tratterà di mettere a disposizione l’idrogeno in posti turistici appetibili per una clientela di fascia alta, da Porto Cervo a Cortina.

In poche parole, le alternative tecnologiche a quelle auto elettriche che stanno diventando sempre più comuni, avranno necessariamente da affrontare la stessa strada in salita dei primi pionieri che si sono avventurati sulle Nissan Leaf o Smart Fortwo di un decennio fa. Per renderle gradualmente sempre più popolari, sono stati necessari anche molti o moltissimi soldi pubblici.

L’infrastruttura dell’idrogeno o quella dei carburanti sintetici ben difficilmente potrà affermarsi e prosperare contando solo su investimenti privati. Al tirare delle somme, quindi, quando amministratori delegati con il curriculum di un Pontremoli sbagliano i conti come nel caso che abbiamo visto, è perché hanno in mente di farli pagare ai cittadini, quei conti del futuro.

Credito foto di apertura: ufficio stampa RWE