MOBILITA

I passeggeri continuano a salire sui taxi Uber e Lyft: ma gli investitori scenderanno?

I conti di Lyft e Uber ancora in rosso: le società del ride hailing continuano a perdere vistosamente e un modello di business vincente vacilla, assediato da micromobilità e intermodalità

Quella che abbiamo visto dipanarsi in queste ore attraverso la presentazione dei conti di Lyft e Uber Technologies appare un’ennesima puntata della marcia sempre più faticosa a cui si devono sottoporre le due protagoniste americane del settore mobilità per convincere investitori sempre più inquieti che saranno in grado presto (un presto continuamente rinviato) di smettere di perdere milioni di dollari ogni trimestre.

Un compito che sta diventando più complicato da quando le due società sono diventate pubbliche quotandosi in borsa. E che mette in questione non solo il loro business model, ma di riflesso mette in questione anche la traiettoria di società protagoniste dell’economia globale da molti più anni, i gruppi dell’auto, in cammino verso un’era in cui le auto non si comprano e possiedono ma si utilizzano per andare da A a B.

In effetti questi punti interrogativi riguardano non solo le società americane ma anche la loro corrispondente cinese Didi Chuxing, che a fine aprile aveva indicato che le perdite minacciavano in modo ormai insostenibile l’attività, malgrado secondo più fonti la società riesca a mettere in cassa fino a un quarto di quello che i passeggeri pagano con le loro corse.

Sia Lyft sia Uber hanno recentemente aggiornato al rialzo i loro prezzi delle corse, e tuttavia la loro redditività non sembra esattamente dietro l’angolo. Tra le due società quella che ha inviato segnali più incoraggianti è stata in questo caso la più piccola: Lyft.

Nel secondo trimestre ha registrato ricavi per $867 milioni a fronte di $505 del corrispondente periodo 2018. Le perdite nette sono state di $644 milioni rispetto a $179 nell’analogo trimestre 2018. I ricavi hanno battuto le aspettative degli analisti di Wall Street, come i clienti attivi del trimestre: 21,8 milioni che hanno generato ciascuno una media di $39,77 contro previsioni di 20,9 milioni di passeggeri per $38 di entrate ciascuno.

Wall Street è stata relativamente sorpresa in positivo dalle prospettive annunciate dall’amministratore delegato Logan Green, con migliori aspettative per i ricavi e gli utili, anzi le perdite nei prossimi due trimestri. L’azione però nelle ore seguenti è apparsa andare sulle montagne russe, con improvvisi rialzi e tonfi, in altre parole l’indicazione che la discesa del 30% dalla quotazione iniziale richieda tempo per essere superata.

Le prospettive di successo di Lyft e Uber in questa fase sembrano non stare più tanto nel ride hailing in se stesso, ma nella mobilità combinata e nella intermodalità. Mercoledì, quando Lyft ha reso pubblici i conti, l’azienda ha sottilineato che un quarto della propria clientela è nuova, ovvero quasi certamente proveniente da settori come le bici e gli scooter elettrici.

La voce micromobilità potrebbe essere la risposta alla domanda di amministratori delegati che stavano terminando la lista di santi a cui votarsi per spiegare l’inavvicinabile traguardo degli utili e la sempre più inquietante processione di semestri in perdita? In questa fase pensare alla micromobilità come toccasana per i guai cronici del ride hailing appare quanto meno ottimistico.

Almeno a guardare i risultati di Uber (che nella micromobilità è presente, controllando la marca Jump): ieri sera ha pubblicato i conti con perdite trimestrali di $5,2 miliardi, sostanzialmente in linea con le attese degli analisti.

Sì, avete letto bene: gli addetti ai lavori si attendevano che una società quotata in borsa perdesse ad un ritmo che su base annuale quasi equivale alla manovra di una Legge di Stabilità. Wall Street ha reagito con perdite iniziali nell’after hours fino al 12%, poi contenute a circa il 6%.

La società specializzata FactSet aveva calcolato anche le perdite rettificate, escludendo le voci una tantum, ipotizzando $659 milioni in rosso, e Uber qui ha fatto lievemente meglio, perdendo $656 milioni. Ma i ricavi di $3,17 miliardi, che rettificati si traducono in $2,87 miliardi, hanno fatto peggio delle aspettative di $3,05 miliardi.

La micromobilità sarà anche un canale per aumentare la clientela ed i ricavi, ma i monopattini elettrici per ora non fanno il miracolo. In questo quadro in cui la crescita a tutti i costi non appare più credibile come fattore fondamentale su cui fare leva con gli investitori, si fa largo anche il quesito dei possibili effetti degli aumenti delle tariffe.

I dati di Uber rivelano anche che l’aumento dei prezzi delle corse ha già un effetto sull’utilizzo dell’app in alcuni quartieri a New York, con calo delle chiamate in quelli meno benestanti. Uber e Lyft hanno appena dovuto ammettere dai risultati di una ricerca che hanno finanziato insieme che i servizi di ride hailing tendono ad aumentare la congestione nelle metropoli.

Il nuovo effetto delle loro tariffe più alte sembra poter essere che aumenterà la congestione nelle zone già intasate, mentre i loro servizi diventeranno un’alternativa meno praticabile ai servizi di trasporto pubblico per le zone periferiche e meno ricche. E, in aggiunta, è evidente che la ricerca di maggiori margini sulle corse si potrebbe tradurre in minori ricavi.

In questo senso diventa forse più comprensibile il sempre maggior interesse di Uber & C. per servizi alternativi, come l’offerta di biglietti delle linee di trasporto pubblico già in via di sperimentazione in alcune città nordamericane, in concorrenza con app quali Moovit, già disponibile anche in Italia.

L’itinerario appare sempre più portare a medio termine a società che offrono servizi a 360° e nei quali il ride hailing appare sempre meno una bandiera del progresso tecnologico e della libertà economica nella mobilità, una bandiera che sempre meno è facile proporre con una narrativa credibile.

A lungo termine invece società come Uber & C. appaiono attratte da un richiamo come quello della mobilità intermodale, a cui anche i gruppi auto sono tutt’altro che insensibili. Pertanto destinati ad entrare in concorrenza con Uber, Lyft e Didi su scala globale.

I gruppi tedeschi, da Daimler e BMW a Volkswagen si stanno da tempo sbilanciando su questo versante, mentre altrove c’è chi come Ford nonostante qualche battuta d’arresto (il carpooling Chariot chiuso) si è messa a costruire un puzzle di una struttura in grado di affrontare molti settori del trasporto.

A fine giugno la sussidiaria Ford Smart Mobility ha completato l’acquisizione di Journey Holding, una società specializzata nel realizzare software per gestire sistemi di trasporto per municipi, aeroporti, ospedali o flotte. Journey in questi mesi sarà integrata con TransLoc, altra divisione Ford che aiuta società del trasporto pubblico con la gestione delle rotte e delle linee.

Con ampio margine sull’effettiva disponibilità dei suoi futuri robotaxi per consegne merci e corse passeggeri a cui sta lavorando la divisione Argo, Ford si muove per combinare i servizi di trasporto a più livelli, pubblici e non, con altre divisioni come i monopattini elettrici di Spin e i servizi di trasporto medico di GoRide Health, con una conoscenza sempre più capillare dei servizi che si muoveranno in futuro nelle metropoli.


Credito foto di apertura: press kit Lyft