BATTERIE

La luce di sincrotrone illumina il decadimento degli elettrodi ad alto contenuto di nickel

Ricercatori dei laboratori americani di Brookhaven e Stanford collegati al Dipartimento dell’Energia individuano su scala microscopica criticità nei materiali a strati dei catodi

Un’équipe di scienziati che fanno capo a centri di ricerca avanzati quali il Brookhaven National Laboratory del Dipartimento dell’Energia e lo SLAC National Accelerator Laboratory ha pubblicato sulla rivista scientifica Advanced Functional Materials i risultati delle ricerche mirate ad identificare le cause del decadimento che può verificarsi nei catodi delle batterie agli ioni di litio.

Per assicurare ai veicoli del prossimo futuro batterie affidabili ed efficienti,  la ricerca su alternative che abbassino i costi e migliorino il rendimento è costante. Se è viva la ricerca sugli anodi e molto attiva quella sugli elettroliti, i ricercatori di Brookhaven come numerosi colleghi del mondo accademico e dell’impresa privata hanno preferito concentrarsi sui catodi.

All’interno di un consorzio supportato dal Dipartimento dell’Energia e chiamato Battery500 (da non confondere con l’europeo Battery2030+ di cui fa parte anche il Politecnico di Torino) il gruppo americano sta lavorando con l’obiettivo a lungo termine di triplicare l’odierna densità di energia delle batterie dei veicoli.

Uno degli obiettivi della ricerca era ottimizzare una classe di materiali per i catodi nota per essere ricca di nickel. Con l’eccezione del duo Tesla/Panasonic, la maggior parte dei veicoli più moderni fa ricorso a batterie con chimica del catodo NCM, dove ciascuna lettera indica le materie prime: rispettivamente Nickel, Cobalto e Manganese.

Uno degli autori della ricerca, Enyuan Hu, ha spiegato: “i materiali a strati [usati per i catodi] sono molto attraenti perché relativamente facili da sintetizzare, ma anche perché hanno alta capacità e densità di energia”.

Tuttavia malgrado il cobalto abbia il vantaggio di contribuire a stabilizzare il materiale dei catodi, il suo costo, la tossicità e i dubbi sulle origini della materia prima sono diventate una passività più che un asset. Ricercatori e tecnici da anni a livello globale lavorano per sostituirlo con materiali più facilmente disponibili senza compromettere sicurezza e prestazioni degli apparati.

Ad esempio passando a catodi con chimica a maggior contenuto di nickel: la formulazione originale delle batterie NCM 333 (33% di ciascuna materia prima) col tempo è diventata NCM 532, poi NCM 622 e stanno cominciando ad apparire i primi veicoli con batterie NCM 811, dove 8 indica un 80% di Nickel rispetto al 10% di Manganese e Cobalto.

BMW per il solo mercato cinese ha appena presentato la nuova X1 xDrive25Le for, SUV compatto costruito a Shenyang dal partner locale Brilliance. Questa ibrida ricaricabile spicca per la batteria con chimica NCM 811 che le consente di arrivare ad una autonomia solo elettrica fino a 110 chilometri, malgrado il nuovo pacco pesi solo 2,5 chili più del precedente.

Ma esiste un trade-off nella scelta di catodi di questo tipo, come ha spiegato ancora Hu: “Scegliamo un materiale a strati ricco di nickel perché è meno costoso e tossico del cobalto. Tuttavia, il problema è che in una batteria i materiali iniziano a decadere dopo cicli multipli di carica-scarica. Il nostro scopo è indicare con precisione la causa del decadimento e fornire possibili soluzioni”.

I vari tipi di elettrodi hanno pregi e difetti. I materiali dei catodi ricchi di nickel sono molto complessi e le loro proprietà possono cambiare durante ripetutti cicli di carica e scarica, portando ad una riduzione della loro capacità.

Il team di ricercatori ha voluto esaminare come cambiava la struttura del materiale sia su scala fisica, in pratica a livello atomico, che chimicamente nell’interazione degli elementi multipli coinvolti in ogni ciclo: nickel, cobalto, manganese, ossigeno e litio.

Per studiare le proprietà fondamentali e le dinamiche di reazione dei materiali è stato fatto ricorso a laboratori di luce di sincrotrone: le sorgenti di raggi X più potenti e versatili oggi attualmente disponibili. Il team si è servito del National Synchrotron Light Source II (NSLS-II) a Brookhaven e dello Stanford Synchrotron Radiation Lightsource (SSRL).

Leggere solo sigle esotiche dei laboratori dai quali la ricerca è transitata forse non rende l’idea del suo spessore; per questo AUTO21 ha chiesto a Paolo Ghigna, oggi all’Università di Pavia ma che ha trascorso molti mesi presso il laboratorio ESRF di Grenoble, la struttura (un anello circolare di 844 metri di circonferenza) che in Europa rappresenta lo stato dell’arte, di fare un punto su quello che significano esperimenti di questa portata.

Fare un esperimento di luce di sincrotrone non è mai semplice”, ha spiegato il docente della Facoltà di Chimica di Pavia. “Se si vuol fare un esperimento si deve fare una proposta che viene valutata da un comitato di esperti. Se viene valutata positivamente, il che capita ragionevolmente nel 30% dei casi, si riceve del tempo-macchina al sincrotrone. Un esperimento ben motivato è comunque one-shot: l’accesso ad una grande facility comporta che quando si arriva al sincrotrone bisogna essere preparati al 200%”.

Ma le tecniche tomografiche ad alta energia seppure estremamente esigenti quanto a definizione degli obiettivi e delle metodologie possono dare frutti molto maturi, che è il motivo per il quale settori tanto diversi quanto possono essere elettrochimica ed archeologia, ove possibile aspirano a servirsene.

Eli Stavitski, co-autore dello studio e scienziato presso il NSLS-II sottolineava: “in questo materiale ad ogni scala, dagli angstrom ai nanometri ai micrometri, succedeva qualcosa durante il processo di carica e scarica della batteria. Qui abbiamo usato una tecnica chiamata spettroscopia ad assorbimento di raggi X (XAS) per rivelare una foto atomica dell’ambiente che circonda gli ioni di metallo attivi nel materiale”.

Gli esperimenti di spettroscopia ad assorbimento di raggi X al NSLS-II hanno fatto identificare il nickel come principale origine dello stress dei materiali. A seguire, il team si è dedicato principalmente a mappare la distribuzione chimica del materiale catodico, spostandosi presso il SSRL.

La colossale mole di dati prodotta dagli esperimenti allo SSRL mediante microscopia a raggi X in modalità full field (TXM) ha richiesto un’analisi in cui è stato fatto ricorso al machine learning per filtrare le informazioni e trovare le criticità.

La principale conclusione dell’esperimento è stata che c’erano disomogeneità negli stati di ossidazione degli atomi di nickel attraverso i materiali esaminati, in particolare le aree sulla superficie erano frequentemente sottoposte a riduzione irreversibile, mentre nel nucleo erano abbondanti gli stati di ossidazione avanzata.

Inoltre erano presenti micro-crepe nella struttura del materiale dovute ai cicli di espansione e contrazione del catodo, effetti che riducono l’efficienza dell’elettrodo. La ricerca suddivisa tra i laboratori di Brookhaven e Stanford non si conclude indicando quali materiali si possano usare in alternativa ai catodi NCM ricchi di nickel sui quali l’industria specializzata fa sempre più affidamento.

Ma lo studio ipotizza che si possa mitigare il decadimento degli elettrodi ad alto contenuto di nickel lavorando sull’ingegnerizzazione della morfologia dei materiali a strati. Un materiale con struttura cava invece che piena sarebbe meno soggetto agli stress dei cicli di carica e scarica, e la distribuzione migliorerebbe l’efficienza. Un suggerimento per altre, future opportunità di ricerca sulle batterie.

La luce di sincrotrone illumina il decadimento degli elettrodi ad alto contenuto di nickel
Un dettaglio della beamline ISS di Brookhaven, dove sono stati effettuati alcuni degli esperimenti di luce di sincrotrone per studiare i materiali impiegati nei catodi ad alto contenuto di nickel (credito foto: Brookhaven National Laboratory via Flickr)

Credito foto di apertura: sito web Brookhaven National Laboratory