Elon Musk annuncia gli advisor che aiuteranno Tesla a uscire dal NASDAQ
Ad ogni ora che passa sembrano crescere le incertezze sul buyout che toglierà Tesla da Wall Street, forse al prezzo di dare le “chiavi di casa” all’Arabia Saudita…
Stanotte con uno dei suoi immancabili tweet Elon Musk ha annunciato chi saranno gli advisor destinati ad accompagnare Tesla nella controversa uscita dalla borsa: per la part finanziaria accanto alla casa californiana ci saranno Silver Lake e Goldman Sachs, mentre la parte legale chiama in campo una coppia di studi, ovvero Wachtell, Lipton, Rosen & Katz insieme a Munger, Tolles & Olson.
L’annuncio chiude ventiquattro ore di tensione attorno alla vicenda del buyout di Tesla, schiuse dalla rivelazione di un post dello stesso Musk che contatti in corso fin dal 2017 con il fondo sovrano dell’Arabia Saudita lo avevano convinto in modo inequivocabile della opportunità e necessità di togliere l’azienda dalla borsa.
La questione del supporto apparentemente totale del fondo sovrano saudita alle intenzioni di Musk appare ancora controversa: il giorno prima del post di Musk l’agenzia Reuters aveva indicato che fonti saudite non prevedevano di espandere ancora l’impegno economico in Tesla oltre i $2 miliardi già allocati.
Musk invece sembra giocare tutte le sue carte proprio su quello (nel suo primo annuncio aveva garantito funding secured). Al contrario dei leveraged buyout convenzionali, nei quali la parola è importante è la prima, ovvero il debito contratto per l’operazione, fin dall’inizio l’imprenditore sudafricano non ha nascosto che l’uscita di Tesla dal NASDAQ dovrebbe a suo avviso comportare il riacquisto di pochissime quote.
Musk ha sottolineato a più riprese di augurarsi che la maggioranza degli investitori attuali, da quelli grandi ai dipendenti Tesla, resti azionista in una società privata. Un risultato che dal punto di vista dell’assetto societario in America guardano con perplessità, visto che azionariato privato diffuso non è qualcosa a cui nella grande industria (Tesla capitalizza quanto e più di GM e/o Ford) si è abituati.
Ma anche arrivare a quel traguardo con uno sforzo che porti a riacquistare un terzo delle azioni attualmente sul mercato, per un esborso di circa $24 miliardi, è un percorso che sembra appoggiarsi in modo sproporzionato alle intenzioni dei sauditi.
In una colonna per Bloomberg, Liam Denning ha rimarcato come Musk stia, col suo piano che prevede di affidarsi più all’equity che al debito, di fatto consegnando al fondo sovrano arabo le chiavi di Tesla. Molto più di quanto a suo tempo la FIAT dell’avvocato Agnelli avesse fatto nei momenti di crisi in cui aprì alla proprietà libica nel gruppo allora ancora torinese.
Il problema per Musk è che ci si può chiedere, scrive Denning: “perché l’Arabia Saudita (o qualsiasi altro candidato) si impegnerebbe a pagare miliardi, incluso un premio sul takeover, per una quota di minoranza in una azienda che non fa utili e nella quale dovrebbe affrontare gli ostacoli di un esame dei comitati sugli investimenti stranieri con effetti sulla sicurezza nazionale?“.
Lo farebbe, probabilmente, solo se fosse per una quota molto più importante. Per un ruolo da passeggero invece che da timoniere, l’investimento è molto meno attraente. Ieri un lungo articolo del New York Times ha citato tre fonti vicine alle operazioni del fondo saudita che hanno riferito che il fondo non ha ancora fatto nessuno dei passi per partecipare al buyout.
L’annuncio da parte di Musk della nomina degli advisor potrebbe essere un segnale che sta per partire un’offensiva Tesla per convincere i sauditi ad aderire al piano. In altre parole sembra sempre più chiaro che il delisting è all’inizio, non alla fine del suo percorso.
Lo si capisce molto bene dalla scelta di parole usate da Tesla, più eloquente che mai. Riportiamo qui quelle che Denning ha evidenziato in grassetto come conferma di questa sensazione, nella versione originale: “following the August 7th announcement, I have continued to communicate with the Managing Director of the Saudi fund. He has expressed support for proceeding subject to financial and other due diligence and their internal review process for obtaining approvals. He has also asked for additional details on how the company would be taken private, including any required percentages and any regulatory requirements“.
Robert Pozen della Sloan School of Management del MIT, in una colonna su Marketwatch, ricordava che proprio un advisor scelto da Musk, Goldman Sachs, stima che Tesla abbia bisogno di $3,6 miliardi di nuovi finanziamenti l’anno prossimo e quello seguente per far fronte alle spese in conto capitale, assorbire le perdite e rimpiazzare $1,8 miliardi di obbligazioni che scadranno nel 2019.
Aggiungere all’attuale ed imminente debito $24 miliardi sembra poco credibile, specialmente in questo caso perché si tratterebbe di debito destinato a diventare meno liquido, una volta Tesla ritornasse una società privata.
Il fatto che Musk nei suoi piani sottolinei vigorosamente il ruolo dell’equity più che quello del debito sembra far pensare sempre di più alla pista saudita come a un percorso obbligato. Ammesso che chi amministra il fondo sovrano saudita si faccia davvero convincere.