La febbre delle due ruote elettriche cresce grazie ai dollari (e al petrolio)
La velocità con cui i gruppi che vogliono primeggiare nella mobilità si buttano sui veicoli elettrici per l’ultimo chilometro è una moda o una necessità?
Pochissimi non se ne sono accorti. La crescita del successo delle due ruote elettriche potrebbe diventare straordinaria nei prossimi mesi, grazie a due ingredienti che ci sono già piuttosto familiari come catalizzatori del successo (e del suo contrario): dollari e petrolio.
In un passato non ancora remoto quest’ultimo fattore, più precisamente il picco dei prezzi della materia prima e del carburante alla pompa, ha dato una spinta decisiva all’interesse per i veicoli elettrici di gruppi tradizionali convenzionali come Renault e Nissan e dei nuovi protagonisti come Tesla.
Adesso l’aumento dei prezzi del carburante, che soprattutto in America sta avvicinandosi alla soglia critica (psicologicamente) dei $3 a gallone, oltre a rinforzare la quota delle auto elettriche, potrebbe rappresentare un punto di svolta per le società che offrono a noleggio in sempre più metropoli.
Quella che sembrava una moda passeggera californiana di recente si espande anche in Europa. A cominciare da Berlino e Parigi si vedono non solo sempre più bici a pedalata assistita (o i monopattini elettrici che sul Pacifico chiamano scooter, come la nostra Vespa), ma lanci di noleggio su larga scala.
Startup come Lime e Bird stanno facendo una pressante azione di convincimento sulle istituzioni municipali o regionali per corroborare l’idea che siano in grado di sostituire efficacemente su brevi tratti le auto private.
Sono tratti che ai comuni e alle città metropolitane interessano perché sono, di solito, quelli tra una fermata metro o una stazione ferroviaria ed aree di uffici o commerciali. Quell’alternativa diventa man mano più credibile più il prezzo alla pompa sale e la scomodità di una alternativa fatta di offerta di mobilità combinata, ad esempio ferro/bici elettrica diventa meno importante.
La possibilità di capire se questa esplosione di interesse per le due ruote con la batteria siano destinati a rivelarsi… un nuovo Segway, oppure qualcosa destinato a trasformarsi in realtà quotidiana e duratura forse non sta tanto nell’odore del petrolio quanto nel colore dei dollari (o euro, o yuan) che si stanno riversando nel settore.
Un anno e mezzo fa la maggior parte delle società di noleggio di scooter e bici elettriche neppure esisteva, o nel migliore dei casi solo pochi addetti ai lavori ne avevano sentito parlare. Solo due mesi fa, però, l’importo che investitori avevano scommesso su questa nuova offerta di mobilità arrivava già a $255 milioni.
Gli investitori, come la maggior parte degli esseri umani, tendono a muoversi a ondate, e l’altezza dell’onda cresce. A giugno la californiana Lime ha ricevuto $250 milioni da GV (il fondo di investimento di Google), mentre la concorrente Bird Rides ne ha ottenuti $300 da Sequoia Capital.
I due maggiori protagonisti americani nel settore dei taxi privati (Uber Technologies e Lyft) stanno chiedendo i permessi per partire con il noleggio di scooter a San Francisco, dove il municipio a seguito di una invasione “selvaggia” di monopattino nelle strade e sui marciapiedi ha dovuto attuare un blocco per iniziare a mettere ordine nel servizio.
Sono in particolare i recenti accordi di Uber con Jump e di Lyft con Motivate, due società attive nel noleggio delle bici, elettriche e non, a rispecchiare la trasformazione dell’offerta di mobilità a 360°.
Con la scelta dell’intermodalità come faro, l’unica certezza sembra essere che non vale più il concetto, familiare ed accettato nel ventesimo secolo, che con l’auto di proprietà si arriva ovunque, o quasi.
Se ci si chiede perché tante startup della mobilità si facciano sotto alle opportunità che sembrano esserci nelle due ruote, può essere utile ricordare che, come segnala un recente libro di Daniel Sperling, professore all’Institute of Transportation Studies dell’università della California a Davis, la presenza dei taxi privati sta erodendo una quota di clienti del trasporto pubblico.
In Italia, uno studio di Legambiente uscito nel luglio 2017, sottolineava come il trasporto pubblico perda clienti e gli spostamenti in auto crescano a scapito di quelli coi mezzi pubblici. Il tutto malgrado a queste latitudini Uber e Lyft siano simboli più che vere imprese.
In America dove invece i taxi privati ci sono, secondo recenti studi una parte non trascurabile della clientela del ride hailing avrebbe viaggiato col trasporto pubblico o forse non viaggiato se non ci fosse stata l’offerta di taxi privati comodi, flessibili ed economici.
Ma per società come Uber o Lyft il successo può essere un boomerang. E la febbre delle due ruote elettriche si spiega anche con la voglia di trovare alternative di efficienza nella fase più delicata e spinosa della mobilità.
Perché un numero crescente di corse, quelle che nemmeno sono dell’ultimo chilometro ma in qualche caso perfino più brevi, rischiano di essere viaggi nei quali è difficile guadagnare: per la società come per l’autista.
Così non c’è da meravigliarsi se viene cercata un’alternativa per convincere la clientela a spostarsi in certe condizioni ed in certi tragitti verso le due ruote nonostante il… disturbo di cercarle dove sono parcheggiate e farsi pochi minuti di strada in sella.
Il che lascerebbe alle società della mobilità elettrica e condivisa l’occasione di lavorare coi veicoli a quattro ruote concentrandoli su servizi nei quali è più agevole far andare a braccetto efficienza e redditività come i car pooling flessibili o il micro-transit.
Uber e Lyft recentemente stanno cercando di attirare clienti in questa direzione, mentre le case auto che sgomitano per lo spazio in questo settore, come i marchi legati al gruppo Volkswagen (Moia) o quelli da poco unificati di BMW e Daimler, stanno iniziando a fare altrettanto.
Senza contare che scaricare tutta la mobilità su veicoli a quattro ruote in ambito urbano, per quanto efficienti siano, è un potenziale moltiplicatore di congestione, non fosse altro perché anche il volume della più piccola kei-car giapponese è maggiore di una due ruote elettrica.
Ogni volta che Uber o le sue rivali (tra cui dal 2019 WE, il nuovo servizio di car sharing del gruppo Volkswagen che pare puntare a sua volta anche sui monopattini elettrici) riusciranno a togliere un’auto dalla strada mandando il cliente su una pista ciclabile, la velocità media dei veicoli a quattro ruote rimanenti non ne avrà certo un danno.
La cosa più interessante, almeno stando al “conto della serva” che Brad Stone si è preso la briga di fare per conto dell’agenzia Bloomberg, è che spingere su questo nuovo settore della mobilità potrebbe essere perfino un affare e non solo una necessità.
In America si paga $1 (venerdì $1 era cambiato a €0,85) ogni volta che si sblocca un monopattino elettrico di Bird o di Lime, più $0,15 al minuto. In Italia, per confronto, attualmente paghiamo €0,50 una mezz’ora in sella ad una bici Mobike, che non è però a pedalata assistita.
Le due ruote elettriche sono ovviamente più veloci delle bici a noleggio tradizionali come quella di Mobike ed i viaggi potrebbero essere quindi più rapidi. Così, secondo Stone, facendo una media di sei minuti a noleggio, una società può intascare $2. Attualmente le batterie bastano per 5-6 corse, poi occorre ricaricarle.
Se la società ha incassato $10 e paga $5 per ogni monopattino (o bici) recuperata e ricaricata, e riesce a pagare un monopattino circa $350 in poco più di due mesi ha coperto le spese del veicolo e da quel momento guadagna.
Moltiplicate le cifre per il numero di bici o monopattini elettrici necessari per renderli accessibili in modo capillare in una grande città e forse anche voi vi domanderete se per caso robo-taxi e shuttle autonomi del futuro non saranno per le bici elettriche quello che i Boeing 737 di Ryanair sono per caffé e bibite che il vettore irlandese serve a bordo: enormi spese in conto capitale che mettono in condizione di guadagnare con esosi prodotti e servizi poco appariscenti…