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Abbiamo scherzato: non ci sarà una “Airbus delle batterie” europea

Il pressing di Bruxelles non pare riuscire a scalzare l’attendismo dei colossi continentali dell’auto e della fornitura: si andrà verso centri di produzione regionali

Quando, ad ottobre 2017, l’idea di creare nell’Unione Europea un consorzio equivalente ad un Airbus delle batterie si è trasformata in progetto, il programma sembrava aver ricevuto una accelerazione persino insolita per i tempi abituali a Bruxelles. Una fretta giustificata da quello che c’è in gioco.

Il vicepresidente per l’Unione dell’energia Maros Sefcovic aveva infatti fatto i conti: “Il potenziale stimato di questo mercato in Europa è enorme, dal 2025 potrebbe raggiungere i 250 miliardi di euro annui, poiché si prevede che la nostra domanda di celle per batterie arrivi a 200 GWh e quella globale a 600 GWh“.

A gennaio Sefcovic aveva confermato al quotidiano finanziario Handelsblatt che i passi avanti stavano susseguendosi in modo sorprendentemente rapido. Ma se la cornice entro la quale la nuova “Alleanza per le batterie” potrà giocare sembra effettivamente definirsi in modo rapido, quella cornice assomiglia sempre di meno a come ce la immaginavamo.

Alla domanda sulla realizzazione di un super-consorzio continentale postagli dal giornalista Frédéric Simon di Euractiv, Sefcovic in conferenza stampa ha risposto che il sogno di una Airbus delle batterie sarà probabilmente superato dalla creazione di centri regionali di eccellenza europei.

Ovvero una Northvolt in Scandinavia, una SAFT (ora di proprietà del colosso petrolifero Total) in Francia, magari in Germania potrebbe perfino esserci spazio per due o tre società, con TerraE, Lib4Lab e Deutsche Accumotive candidate.

Ma nessun player di quelle dimensioni parrebbe in grado di intimorire le coreane Samsung ed LG Chem, oppure le cinesi CATL e BYD. L’esatto contrario dell’obiettivo di cui avevamo sentito parlare durante la prima riunione dell’allora neonata “Alleanza per le batterie” nell’ottobre 2017.

Insomma le aspettative di Sefcovic & C. sembrano già essersi ridimensionate: “quello che spero potremo avere sarebbero dieci o più Gigafactory che saranno competitive nel fornire prodotti di alta qualità sui mercati globali”.

Un messaggio in sordina che sorprende fino a un certo punto, se si considera che le principali case tedesche (e francesi) e i colossi della fornitura Tier1 che nell’automotive fanno il bello ed il cattivo tempo (BASF, Bosch, Continental, Valeo & C.) avevano puntato i piedi sui rischi di investire nel settore delle batterie.

Certo, alcuni tra i Tier1 stanno guardando con interesse alla possibilità di entrarci quando dalla tecnologia attuale agli ioni di litio con elettroliti liquidi sarà il momento di passare alla prossima generazione con elettroliti solid state, più economici e sicuri. Questo, è la logica, offrirebbe loro la chance di ripartire quasi ad armi pari con la concorrenza asiatica che domina il settore.

Fino a pochi giorni fa l’Unione Europea e Sefcovic avevano indicato di ritenere masochistico l’atteggiamento attendista: senza acquisire esperienza produttiva nel settore si rischia di perdere così tanto terreno da non recuperarlo più.

Ma Bruxelles e Sefcovic hanno armi limitate nel mettere fretta ai giganti dell’automobile. Perché le Gigafactory hanno lo svantaggio di richiedere colossali investimenti e non riescono nemmeno a compensarli con grandi numeri sul versante dell’occupazione, dato che gli impianti sono altamente automatizzati.

Bruxelles per incoraggiare la produzione continentale aveva a disposizione €200 milioni in fondi allo sviluppo già pronti. In pratica significa che l’arsenale economico a disposizione della “Alleanza per le batterie” è molto meno fornito di quello che occorre per mettere in piedi partendo da un foglio bianco una sola nuova Gigafactory di batterie.

Più utile, forse, potrà rivelarsi per chi deciderà di investire trovarsi la strada spianata dal punto di vista delle normative e della burocrazia. Inoltre, se il settore fosse dichiarato un comune interesse europeo sarebbe esentato dalle restrizioni sui sussidi.

In altri termini l’Alleanza europea per le batterie può principalmente fornire un quadro ai partenariati da poco nati o a quelli futuri lungo l’intera catena del valore ma non orientare in modo netto le decisioni e gli investimenti dei principali gruppi privati che restano alla finestra in attesa di decidere cosa e dove spendere.

Un’altra cosa che Bruxelles potrà fare è spingere per moltiplicare gli interventi di realtà come la Banca Europea per gli Investimenti (che ha appena confermato un prestito da €52,5 milioni a Northvolt, tra le piccole Airbus quella col progetto più avanzato).

A quelli della BEI potrebbero affiancarsi, senza particolari rischi di successive “sgambetti” da parte di Bruxelles, altri aiuti regionali, come fiscalità favorevoli o sgravi.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Commissione Europea