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Apollo 2.0 non è stato lo show più applaudito a Las Vegas ma i suoi fan crescono

La piattaforma open source per la guida autonoma raccoglie sempre più consensi e partner e nel 2020 Baidu sarà pronta al lancio di auto di Livello 3 SAE

Non è il protagonista più visibile della guida autonoma né, con la pioggia di presentazioni di gruppi dell’automobile ormai in agenda, è stata la compagnia più attesa dagli addetti ai lavori presenti al CES 2018. Eppure a quello che sta facendo Baidu, che ormai siamo quasi stanchi di indicare come la “Google cinese”, bisognerebbe probabilmente prestare più attenzione.

A rischio, in caso contrario, di scoprire che si è persa di vista la crescita costante di un protagonista potenziale dell’auto senza pilota. Una crescita che per il Progetto Apollo, la piattaforma open source per la guida autonoma, ora è arrivata alla fase 2.0.

Che contiene nuove piattaforme, ha nuovi veicoli di riferimento, nuovi servizi di mappatura globali. Ormai con Apollo 2.0 le auto sono in grado di effettuare test di guida anche sulle più semplici strade urbane. La startup americana AutonomousStuff, che fino a questa edizione dell’evento di Las Vegas viaggiava in incognito o quasi è in grado di farlo adesso anche in condizioni di guida notturna.

L’idea di Baidu di affidarsi a un progetto collaborativo open source può apparire abbastanza strana pensando alle abitudini di riservatezza (ed alle cause in tribunale) tipiche della Silicon Valley. Ma è una soluzione che sembra portare i frutti, come avvenuto nel caso di Alphabet quando ha lanciato il suo sistema operativo Android ormai affermatosi come standard.

Se la scelta di Baidu assomiglia a quella di Google forse è anche perché, come ha ricordato in una intervista con Rachel Metz della MIT Technology Review, Jingao Wang (oggi direttore del programma per la guida autonoma nella divisione Apollo) ha passato anni a lavorare sulle versioni iniziali di Android ed alle prime release.

Con la guida autonoma, si è detto convinto Wang, l’approccio open source è in grado di semplificare le cose anche perché la tecnologia basata sugli algoritmi che fanno marciare i sistemi di intelligenza artificiale ha imperativo bisogno di volumi colossali di dati per arrivare a risultati sempre migliori.

Che Wang non sia un sognatore sembrano indicarlo il numero sempre crescente di collaborazioni al progetto Apollo da parte di aziende globali, dalla Cina all’Europa passando per la California. Ormai Apollo è in grado di integrare i chip di tutti i maggior produttori che si muovono nello spazio automotive: Intel, Nvidia, NXP e Renesas.

Parallelamente crescono i tipi di veicoli per i quali la piattaforma è in grado di funzionare: oltre alle automobili con cui sono iniziati i test, Apollo 2.0 è ormai integrabile in SUV, ma anche in autobus e camion. Nelle città cinesi, dove gli autobus elettrici ormai sono una realtà quotidiana, stanno anche partendo i primi test per aggiungere funzionalità di guida autonoma a veicoli di linea.

Ma per cercare spazio con una concorrenza che, da Waymo a Cruise Automation ormai scalpita per passare alla fase di commercializzazione coi primi robo-taxi in grado di affrontare il mercato della mobilità, Baidu sta anche cercando di replicare all’insegna della economicità.

Nel 2020 quando metterà in strada i primi veicoli saranno non troppo pretenziosi: di Livello 3 SAE, quell’automazione parziale che finora sappiamo essere presente solo sull’ultima generazione di ammiraglia Audi. Inoltre i  sensori con cui Apollo 2.0 è in grado di funzionare tenderanno ad essere sempre meno impegnativi dal punto di vista del budget necessario.

Come un giorno questo sforzo di Baidu e delle decine di partner possa finire per generare ricavi per tutti non è ancora chiaro. Ma proprio a Las Vegas l’amministratore delegato del colosso cinese Qi Lu una prima indicazione l’ha voluta fornire. Le mappe 3D necessarie ai veicoli autonomi potrebbero un giorno rivelarsi per Baidu un business migliore di quello originario dei motori di ricerca.

A sentire le parole di Lu, che aziende specializzate nelle mappe come Here o TomTom stiano lavorando al progetto Apollo potrebbe quindi sembrare una iniziativa ai limiti del masochismo. Ma lavorare con Baidu per le due compagnie europee ha almeno due spiegazioni. La prima è geografica, la seconda tecnologica.

I rapporti stretti di Baidu con le autorità nazionali e locali cinesi sono essenziali per avere un accesso efficace nel paese per chi lavora con le mappe. I clienti di Here o TomTom come Volkswagen o Volvo che vogliano vendere auto con funzionalità autonome parziali o complete in Cina dovranno avere accesso a tutte le mappe opportune.

Un altra spiegazione è che le mappe integrate nei sistemi di guida autonoma sono in realtà strati di mappe. Quelle sulle quali sono specializzate Here o TomTom sono collocate in uno strato diverso da quello in cui lavora una piattaforma di guida autonoma come l’open source Apollo 2.0, e se i due strati si integrano e compenetrano nel momento in cui la vettura è in marcia i livelli lasciano opportunità di business a chi opera nell’uno e a chi progetta l’altro.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Baidu via BusinessWire