Uber e le altre startup della mobilità hanno messo in crisi il traffico di New York
Prendere al volo un taxi privato con Uber, Lyft, & C. è sempre più facile, ma nel traffico sempre più in crisi di Manhattan la media oraria è scesa a soli 9,6 km/h
A Manhattan, il cuore di New York City, il traffico sta peggiorando di anno in anno e nel 2017 la media oraria di chi tenta di percorrerne le strade nelle ore di lavoro è scesa del 15% rispetto al 2010: solo 9,6 km/h. La demografia di New York è cambiata: la popolazione è cresciuta del 4% circa nell’ultima decade. Ma i nuovi arrivati responsabili del problema non sono persone, sono aziende: le startup del ride hailing Uber, Lyft e tutte le altre.
Bruce Schaller, un esperto di traffico che in passato ha lavorato anche per il dipartimento dei trasporti della metropoli nordamericana, la settimana scorsa ha pubblicato uno studio basato sui dati della New York City Taxi and Limousine Commission. Schaller ha messo sotto il microscopio le velocità dei viaggi, i totali delle corse con passeggeri e la distanza oraria di taxi e veicoli di Uber & C. percorsi tra 2013 e 2017.
Come sosteneva l’economista classico Jean-Baptiste Say, in questo caso l’offerta si è creata la propria domanda. Ovvero, il totale delle corse passeggeri è cresciuto complessivamente del 15% anche se la fetta che va ai taxi tradizionali si è ridotta rispetto a quella degli autisti delle compagnie di ride hailing. Il chilometraggio che questi ultimi hanno percorso è anzi aumentato del 36%, in quel lasso di tempo.
Perciò oggi è molto facile per un cliente non dover aspettare a lungo per salire su un taxi privato o pubblico a Manhattan. Ma, una volta salito a bordo, le buone notizie sono terminate. Perché il ride hailing ha aggiunto la bellezza di 965 milioni di chilometri al traffico di New York, confermando i risultati di altri studi precedenti come quello pubblicato dall’ITS presso l’università California-Davis.
Se un tempo nel cuore della grande mela cresceva il numero di passeggeri del trasporto pubblico (metropolitana e autobus) ora è il contrario. E sono soprattutto i passeggeri con redditi medio-alti ed alti ad abbandonare la metro, salendo sempre più spesso sui taxi privati di Uber & C.
Questa dinamica fa sì che calando i ricavi del trasporto pubblico diventi anche più difficile migliorare quei servizi ai quali i newyorchesi dai redditi meno floridi restano obbligatoriamente legati. Servizi dei quali (nel caso degli autobus perlomeno) peggiora costantemente anche l’efficienza per il crescere della congestione del traffico.
Un motivo fondamentale della congestione sembra risiedere nel tempo necessario agli autisti del ride hailing per passare da un cliente all’altro: in media 11 minuti. Un tempo durante il quale i loro veicoli di solito continuano a viaggiare e un’attesa superiore anche rispetto ai taxi convenzionali, che tra un cliente ed il successivo attendono in media 8 minuti.
Se, come riconosce Schaller, in aree suburbane o perfino dell’America rurale il ride hailing ha sopperito a carenze di un trasporto pubblico scarso o assente, in un contesto urbano ad alta densità demografica (e con trasporti pubblici più diffusi rispetto alla media americana) si assiste ad un effetto boomerang.
Confermato dal fatto che i dati esaminati testimoniano che i tempi di attesa per gli autisti dei taxi privati non migliorano nelle zone con alta densità di uffici o con alta percentuale di locali pubblici, quelli dove la clientela in cerca di una corsa è più numerosa: perché è proprio lì che gli autisti si affollano.
Il che spiega perché non sia facile per Uber e le sue rivali trovare soluzioni all’interno del meccanismo di domanda ed offerta dei servizi di trasporto. E nemmeno la concorrenza, in questo caso, è una soluzione: avere più società di taxi privati in azione forse vorrebbe dire che il cliente aspetterebbe 1 minuto invece che 4 o 5 il suo Uber, ma poi il traffico, congestionato da un numero ancora maggiore di veicoli in strada, si prenderebbe subito una rivincita.
La ricerca di soluzioni pare quindi essere in mano ai regolatori delle città. Il che fa pensare che l’approccio bellicoso scelto di solito dagli americani (soprattutto da Uber quando la guidava Travis Kalanick) si riveli alla lunga meno pagante di quello collaborativo scelto dalle società tedesche che iniziano ad operare nella mobilità come servizio.
Moia ad Amburgo e Via a Berlino, ad esempio, fin dalla loro creazione hanno cercato una integrazione coi servizi di trasporto delle città in cui hanno iniziato ad operare. Inoltre punteranno su piccoli autobus per più passeggeri, di per sé un passo avanti rispetto ai taxi privati per singoli passeggeri.
Come hanno sempre promesso Uber e Lyft, anche Ole Harms, che guida Moia, si è posto come obiettivo di togliere auto dalle strade cittadine. Nel suo caso ha fissato la cifra ad un milione in meno entro il 2025. Di certo non sono calati i taxi privati, in America. Ci sono ormai 103.000 veicoli di Uber, Lyft e Juno a New York City, rispetto ai 47.000 del 2013, mentre i taxi gialli sono rimasti circa 13.000.
Le società del ride hailing come Uber, Lyft, Juno & C. hanno sempre promesso meno auto in strada, ma i loro veicoli dai 47.000 del 2013 sono saliti a 103.000
In sintesi, le società americane del ride hailing si trovano a dover fronteggiare le contromisure alle conseguenze del loro successo. Il governatore Andrew M. Cuomo vuole far passare una congestion charge, una tassa simile a quelle che in Europa già conosciamo, con l’obiettivo non solo di superare il collo di bottiglia che ha messo in crisi il traffico di New York ma di pagarci l’ammodernamento della metropolitana.
All’ex-sindaco di New York Michael Bloomberg lo stesso risultato era sfuggito. Ma quando ci aveva provato si era nel 2008: i taxi privati di Uber non affollavano ancora le strade di Manhattan contendendosi l’asfalto. A Chicago, dove si è passati dalle parole ai fatti, nel 2018 per ogni corsa con un servizio di ride hailing si pagheranno $65 centesimi di tasse locali.
Tasse di questo genere trattano lo spazio cittadino come una materia prima scarsa, per la quale far pagare l’elevata domanda. Una soluzione che, facendo salire il prezzo medio delle corse dei taxi privati sembra voler spingere anche più passeggeri degli attuali verso i meno costosi servizi pubblici.
Lo studio di Schaller raccomanda anche, in questa ottica, di ridisegnare i percorsi e le strade. Ad esempio cominciando a riservare corsie ai mezzi pubblici ad alta efficienza: gli autobus cittadini anzitutto, certo. Peraltro questo riaprirebbe la porta anche ai servizi privati di car pooling o microtransit, come lo si voglia chiamare.
Col fenomeno-Uber e le sue alter ego, l’economia della condivisione sembra aver effettuato solo un primo passo. Quello successivo sembra destinato ad andare in una direzione che aggiunga più equilibrio ad una situazione che sta sfuggendo di mano. E la risposta abbozzata punta sull’aspetto originario della condivisione, mettendo in secondo piano quello della comodità individuale.