Tokyo: dove taxi e tecnologia non sono in guerra
In Giappone i tassisti per fare concorrenza ad Uber preferiscono l’intelligenza artificiale ai cortei
L’età media dei tassisti giapponesi può essere alta, sulla sessantina circa, ma non per questo la categoria volta le spalle alla tecnologia. Certo, anche loro come tutti i colleghi del pianeta (ad esempio gli italiani, come si è visto in questi giorni) si irritano a sentir nominare Uber e compagnia. Quando Toyota ha investito nella società americana le loro associazioni l’hanno criticata aspramente e lo stesso Akio Toyoda ha dovuto intervenire per non incrinare il rapporto coi tassisti. Certo non è un caso, visto che l’80% dei taxi in Giappone ha lo stemma con le tre ellissi davanti al radiatore.
Ma come detto, il tassista giapponese non è allergico al nuovo, o alla tecnologia. Il che aiuta a capire perché la società telefonica giapponese NTT Docomo abbia potuto, usando i dati di viaggio raccolti da un campione di 4.425 taxi della compagnia Tokyo Musen Kyodo Kumiai abbinati alle informazioni raccolte da posizioni GPS, informazioni meteo ed altro, mettere alla prova i propri sistemi di apprendimento automatico (o intelligenza artificiale, se preferite) per localizzare e predire i picchi di domanda per i servizi di taxi.
L’obiettivo era anticipare di mezzora la domanda in un’area di 500 metri quadri. I tassisti che hanno preso parte al progetto pilota, annunciato nell’estate del 2016 e poi realizzato in collaborazione con Fujitsu, utilizzavano tablet con dati aggiornati ogni dieci minuti che consentivano loro di spostarsi in modo da far fronte alla potenziale domanda.
Nel 90% dei casi, secondo quanto riferito dalla compagnia di telefonia cellulare, il margine di errore della predizione sarebbe stato minore o uguale al 20%. In soldoni, nel migliore dei casi un tassista ha registrato un incremento dei ricavi del 20%..
Fin da quando l’idea era stata presentata l’anno scorso, il presidente dell’azienda nipponica Kazuhiro Yoshizawa pensava ad un servizio esteso a tutto l’arcipelago, il che ora sembra scontato. Il tutto grazie ad una tecnologia facilitata dallo sviluppo della rete cellulare di nuova generazione 5G (che avrà il suo momento di gloria per le Olimpiadi e Paralimpiadi di Tokyo nel 2020), che permette di far passare agevolmente da un capo all’altro dell’infrastruttura sempre più dati.
Quello che merita attenzione è che, grazie a collaborazioni come quella con NTT Docomo, i taxi del Giappone si sono messi a fare concorrenza ad Uber usando le sue stesse armi, a cominciare dalla tecnologia e dalla sua punta di lancia avanzata: l’intelligenza artificiale.
Nelle isole del Sol Levante, va notato, non sono permesse le app di ride sharing come UberPop, con cui chiunque può fare il cottimista del trasporto. Ma Uber a Tokyo è ugualmente presente col suo servizio UberBlack (che in Italia coinvolge gli autisti NCC) e contrariamente a quello che avviene in Italia, anche col servizio UberTaxi, che offre anche una versione di lusso, che propone ai clienti di salire a bordo solo su Lexus o BMW Serie 7.
In breve: a Tokyo l’app della società americana funziona né più ne meno come le app delle vecchie compagnie di taxi oppure come l’app MyTaxi, controllata da Daimler, in Germania. A quanto pare però, in Giappone l’app UberTaxi è meno popolare di quella della associazione dei taxi. I prezzi sono circa gli stessi tra Uber e taxi convenzionali.
C’è ben poco di diverso nella sostanza tra gli esperimenti del sistema predittivo di NTT Docomo sviluppato insieme ai tassisti di Tokyo e le pratiche ormai abituali di Uber. La società del ride sharing da tempo traccia via smartphone la posizione dei clienti per cinque minuti dopo la fine del viaggio, a meno che questi non abbiano disattivato l’opzione. Anche in questo caso per elaborare predizioni sulle richieste di passaggi nelle aree urbane interessate, Italia compresa.
Chiunque si impegni a sviluppare tecnologie di predizione, che sono solo un altro modo di chiamare l’intelligenza artificiale, punta a velocizzare le corse e a non perdersi clienti potenziali. Migliorando l’offerta e non tagliandola, oppure proponendo soluzioni che la concorrenza vogliono stroncarla.